Environment | Il report

Pesticidi a tavola

Il dossier 2020 di Legambiente: oltre il 70% della frutta che mangiamo contiene uno o più residui chimici. Tra i “peggiori”: uva, pere e pesche.
Uva
Foto: Pixabay

Quasi la metà dei campioni dei prodotti alimentari analizzati contiene residui di pesticidi, e nella frutta si arriva a oltre il 70%. È quanto emerge dal dossier 2020 di Legambiente, realizzato in collaborazione con Alce Nero, secondo cui risulta “regolare e privo di residui di pesticidi solo il 52% dei campioni analizzati. Senza dubbio, un risultato non positivo e che lascia spazio a molti timori in merito alla presenza di prodotti fitosanitari negli alimenti e nell’ambiente. Analizzando nel dettaglio i dati negativi, si apprende che i campioni fuorilegge non superano l’1,2% del totale ma che il 46,8% di campioni regolari presentano uno o più residui di pesticidi”. Quelli più diffusi negli alimenti in Italia - si legge nel report “Stop pesticidi” che cita peraltro il processo bolzanino a carico di Karl Bär dell’Umweltinstitut München e dello scrittore e cineasta austriaco Alexander Schiebel - sono Boscalid, Dimethomorph, Fludioxonil, Acetamiprid, Pyraclostrobin, Tebuconazole, Azoxystrobin, Metalaxyl, Methoxyfenozide, Chlorpyrifos, Imidacloprid, Pirimiphos-methyl e Metrafenone. Si tratta per la maggior parte di “fungicidi e insetticidi utilizzati in agricoltura che arrivano sulle nostre tavole e che, giorno dopo giorno, mettono a repentaglio la nostra salute”.

 


Il quadro

 

La tendenza degli anni passati viene confermata: la frutta è la categoria più colpita. Nello specifico l’89,2% dell’uva da tavola, l’85,9% delle pere, e l’83,5% delle pesche sono campioni regolari con almeno un residuo. Le mele spiccano con il 75,9% di campioni regolari con residui e registrano l’1,8% di campioni irregolari. Alcuni campioni di pere presentano inoltre fino a 11 residui contemporaneamente. Situazione analoga per il pompelmo rosso e, tra i campioni esteri, per le bacche di goji che raggiungono quota 10 residui e tè verde con 7 residui provenienti dalla Cina.

 

Altro discorso quello della verdura: da un lato si registra il 64,1% di campioni senza alcun residuo, dall’altro si riscontrano significative percentuali di irregolarità in alcuni prodotti come i peperoni in cui si registra l’8,1% di irregolarità, il 6,3% negli ortaggi da fusto e oltre il 4% nei legumi. Ad accomunare la gran parte delle irregolarità è il superamento dei limiti massimi di residuo consentiti per i pesticidi (54,4%) ma non mancano casi in cui è stato rintracciato l’utilizzo di sostanze non consentite per la coltura (17,6%). Nel 19,1% dei casi, poi, sono presenti entrambe le circostanze.

 

A destare molta preoccupazione è il multiresiduo, che la legislazione europea “non considera non conforme a meno che ogni singolo livello di residuo non superi il limite massimo consentito, benché sia noto da anni che le interazioni di più e diversi principi attivi tra loro possano provocare effetti additivi o addirittura sinergici a scapito dell’organismo umano. Proprio il multiresiduo risulta essere più frequente del monoresiduo, essendo stato rintracciato nel 27,6% del totale dei campioni analizzati, rispetto al 17,3% dei campioni con un solo residuo” scrive Legambiente.


Una svolta radicale

 

“Serve una drastica diminuzione dell’utilizzo delle molecole di sintesi in ambito agricolo, grazie a un’azione responsabile di cui essere tutti protagonisti - dichiara Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente -. Per capire l’urgenza di questa transizione, si pensi alla questione del glifosato, l’erbicida consentito fino al 2022, nonostante il 48% degli Stati membri dell’Ue abbia deciso di limitarne o bandirne l’impiego per la sua pericolosità; l’Italia inizi dalla sua messa al bando. Inoltre, per diminuire la chimica che ci arriva nel piatto è necessario adeguare la normativa sull’uso dei neonicotinoidi, seguendo l’esempio della Francia che da anni ha messo al bando i 5 composti consentiti dall’Ue, e approvare al più presto il nuovo Piano di Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari”.

Serve una drastica diminuzione dell’utilizzo delle molecole di sintesi in ambito agricolo, grazie a un’azione responsabile di cui essere tutti protagonisti (Angelo Gentili)

Per il presidente di Legambiente Stefano Ciafani “occorre liberare l’agricoltura dalla dipendenza dalla chimica per diminuire i carichi emissivi e favorire un nuovo modello, che sposi pienamente la sostenibilità ecologica come asse portante dell’economia made in Italy, diventando un settore strategico per il contrasto della crisi climatica. Riteniamo anche necessaria - prosegue Ciafani - una svolta radicale delle politiche agricole dell’Unione, con una revisione della Politica Agricola Comune che superi la logica dei finanziamenti a pioggia e per ettaro per trasformarsi in sostegno all’agroecologia e a chi pratica agricoltura sostenibile e biologica”.

Riteniamo anche necessaria una svolta radicale delle politiche agricole dell’Unione (Stefano Ciafani)

E ancora: “Le risorse europee, comprese quelle del piano nazionale di ripresa e resilienza, vanno indirizzate all’agroecologia, in modo da accelerare la transizione verso una concreta diminuzione della dipendenza dalle molecole pericolose di sintesi, promuovendo la sostenibilità nell’agricoltura integrata e in quella biologica come apripista del modello agricolo nazionale, con l’obiettivo di giungere in Italia al 40 % di superficie coltivata a biologico entro il 2030”.