Economy | Orario

Lavorare meno o di più?

Si moltiplicano i progetti per la riduzione dell’orario di lavoro in diversi paesi europei, ma sono tanti i fattori da tenere in considerazione.
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Lavoratori
Foto: (c) shutterstock

La pandemia e la digitalizzazione faranno inoltre lievitare queste richieste. Tra l’altro nella storia non è certamente una novità la riduzione dell’orario di lavoro.

In Germania nel 1891 l’orario settimanale era di 70 ore. Per motivi di consenso politico l’imperatore impose in quell’anno per legge 12-14 ore giornaliere per gli uomini, 11 per le donne, 10 per i giovani e ha proibito il lavoro
infantile.

Alla fine delle Grande Guerra si è passati poi alle 8 ore e salvo qualche accorgimento contrattuale ci siamo fermati lì da oltre 100 anni. Ma cosa dicono a riguardo gli studi fatti e la statistica?

A livello statistico il 50% degli uomini e il 40% delle donne dichiarano di lavorare più di quanto desiderano. Questo è certamente un fattore da tenere conto. Ma la domanda vera è, se - a parità di salario - sia possibile ridurre l’orario di lavoro.

Qui ci sono fattori che fanno propendere verso una risposta positiva e altri che lo rendono di difficile attuazione, soprattutto per l’incremento dei costi. Ma una cosa è certa: una riduzione generalizzata è un problema collettivo della società. Servono la disponibilità degli imprenditori a seguire strade nuove, la richiesta del mondo del lavoro e le condizioni legislative create dalla politica.

Ecco alcune considerazioni a favore della riduzione. Da studi scientifici emerge che le ore produttive sono meno dell’orario di lavoro, a volte anche in maniera considerevole. In generale dopo 7 ore cala l’attenzione e aumentano gli incidenti.

Qualche ricercatore afferma addirittura che il lavoro cognitivo cala dopo 25 ore. Cyril Northcote Parkinson ha descritto il fenomeno per cui esiste la tendenza ad adeguare la mole di lavoro alla durata dell’orario.

Da studi emerge comunque che una riduzione non incide negativamente sulla produttività se i processi produttivi vengono adeguati a un orario di lavoro più breve. I risultati sono invece negativi, se questi processi rimangono invariati e si comprime tutto in un arco di tempo ridotto.

Un fattore positivo spesso poco evidenziato riguarda il miglioramento delle pari opportunità tra i generi. Mentre gli uomini lavorano a tempo pieno (a volte anche oltre) le donne sono impegnate a tempo parziale per conciliare il lavoro domestico e di cura con il lavoro remunerato.

Le donne fanno 2,4 volte il lavoro di cura rispetto agli uomini e 1,6 volte quello domestico, beninteso senza stipendio. Una riduzione per gli uomini farebbe quasi sicuramente aumentare il lavoro a tempo pieno delle donne.

In Islanda una riduzione dell’orario di lavoro ha inoltre evidenziato, che con un orario di 35 ore la suddivisone dei compiti domestici tra uomo e donna migliora sensibilmente.

Lavorare di meno fa diminuire anche lo stress da lavoro con effetti positivi sulla salute dei dipendenti e non solo per quanto riguarda gli incidenti di lavoro legati a un calo dell’attenzione. Statisticamente calano le assenze per malattia o da stress.

Ma per incidere positivamente su questo aspetto servono anche qui modifiche sui processi produttivi. Comprimere i carichi di lavoro esistenti in un orario più corto farebbe invece aumentare nuovamente lo stress e vanificherebbe i vantaggi in termini di salute.

Si potrebbe allora concludere che indubbiamente ci sono vantaggi, dimostrati anche dalle ricerche e dalle sperimentazioni. Ma non è sempre così semplice. Il problema dei costi va comunque valutato.

Ci sono lavori, soprattutto nel terziario, che hanno bisogno della presenza fisica del lavoratore. La città di Goeteborg ha sperimentato una riduzione nelle strutture per gli anziani, ma non ha proseguito.

Nel lavoro di cura una riduzione dell’orario ha bisogno di nuovo personale. Non si possono lasciare soli i pazienti a causa di turni di lavoro più corti. In questo contesto sono quasi impossibili interventi organizzativi. In questi casi bisogna integrare le ore mancanti con nuovo personale e ciò aumenta inevitabilmente anche i costi.

Questo vale in quasi tutti i servizi alla persona, ma anche in tanti altri servizi dove prevale la necessità di presenza fisica.

Rimane infine il problema dei lavoratori autonomi che spesso lavorano ben oltre le canoniche 40 ore, anche perché non hanno orari fissi. Ma questo è un tema che va affrontato in maniera diversa.

In qualche settore economico alcune aziende hanno incominciato a sperimentare riduzioni di orario con buoni risultati. La soddisfazione dei dipendenti è migliorata e la maggiore flessibilità ha garantito anche risultati a volte migliori rispetto a quelli degli orari canonici.

Questo vale soprattutto nei settori innovativi e digitalizzati, che, per loro natura, sono già in fase di cambiamenti radicali, come il lavoro agile. Anche nell’industria tradizionale esistono diverse opportunità.

Nei prossimi anni il problema si presenterà comunque e andrà affrontato per garantire una migliore distribuzione del lavoro, che tra l’altro e ancora contraddistinto da troppe ore di straordinario.

Ma ci sono settori dove un minor tempo di lavoro fa lievitare considerevolmente i costi.

Qui l’attenzione si sposta sulla società e sulla politica che potrebbe intervenire con riduzioni dei costi del lavoro aggiuntivi, evidenziando l’interesse da parte della società di avviare questi processi, o in certi casi su una distribuzione equa dei costi aggiuntivi sui fruitori, esclusi ovviamente i servizi essenziali.

Con gli ultimi due contratti i metalmeccanici tedeschi hanno intrapreso percorsi nuovi per raggiungere alcuni obiettivi. Speriamo che sia un buon auspicio anche per i lavoratori italiani se non per quelli della Ue.

Alfred Ebner