Politics | Quale metodo per arrivare ad una riforma dell'autonomia più partecipata

Una "Convenzione per la riforma dell'autonomia" per far cosa?

Esattamente un anno fa i senatori Zeller e Berger presentarono il loro disegno di legge costituzionale sull'autonomia integrale. Una proposta evidentemente non concordata con i partner della maggioranza e che attende ancora di essere discussa. Ma il punto è: una revisione generale dello Statuto non meriterebbe forse di venir progettata in senso più partecipativo?
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Senza dubbio il nostro Statuto di autonomia ha bisogno di una revisione accurata, ma con un metodo aperto e trasparente, coinvolgendo tutti, non solo la Commissione speciale del Consiglio provinciale, come avvenuto due settimane fa. La SVP sembra avere le idee già piuttosto chiare, ma ciò non elimina la necessità di costruire un'autonomia "integrale" con un metodo più integrativo.

Da tempo come metodo appropriato per tale fine si prefigura una Convenzione, cioè un'assemblea democratica a tempo determinato e con un compito preciso. Una tale Convenzione dovrebbe coinvolgere tutte le forze politiche della Provincia, stimolare il supporto degli esperti, ascoltare i cittadini, far di tutto affinché il progetto di riforma trovi ampio interesse e partecipazione. Tutto questo procurerà al prodotto finale, una carta statutaria aggiornata, più legittimità e quindi più peso politico. Una Convenzione composta solo da consiglieri provinciali ed esperti, come suggerito da qualche politico, non sarebbe altro che una specie di Consulta. Anche un organismo composto da presidenti di enti e associazioni di categoria non potrà sopperire ad un'Assemblea democraticamente eletta. Non è detto che con personaggi nominati dall'alto si guadagni in qualità e rappresentatività dei lavori.

In merito di Convenzioni la nostra provincia poi non deve reinventarsi l'acqua calda. In due Regioni speciali tale procedura si è già svolta, purtroppo senza arrivare a buon fine. Nel Friuli Venezia Giulia nell'aprile 2004 fu insediata una Convenzione regionale composta da 49 membri, sia politici sia personaggi della società civile. Dopo un lavoro serrato di appena 5 mesi l'Assemblea arrivò a formulare un nuovo Statuto, poi approvato dal Consiglio regionale e presentato al Parlamento. Da 9 anni esatti a Roma non si muove niente.

Nella Valle d'Aosta nel 2006 venne istituita una "Convenzione per l'autonomia e lo statuto speciale della Valle d'Aosta" con il compito di sottoporre al Consiglio regionale un nuovo statuto. Tutto quanto si protrasse per due anni, ma poi si trasformò in un'operazione più di facciata, senza reale partecipazione della popolazione. Il processo alla fine restò sospeso e a Roma non si arrivò a nessuna riforma dello statuto. Sembra che da queste esperienze abbia imparato la Sardegna, dove nel referendum del 6 maggio 2012 l'elettorato con gran maggioranza incaricò il Consiglio regionale di costruire un percorso diverso alla riforma dello Statuto: una Convenzione per un nuovo statuto, eletta direttamente dai cittadini. Purtroppo anche i sardi da quasi due anni aspettano che le forze politiche, fra diatribe dei partiti e cavilli giuridici, diano disco verde a questa innovazione democratica.

È per questo che per l'Alto Adige/Sudtirolo non solo occorre pensare ad una Convenzione che possa coniugare la concordanza etnica con la legittimità democratica, cioè con legge provinciale dar vita a un processo con alti standard di partecipazione dal basso, della società civile. Ma occorre definire bene quali dovranno essere i compiti e i tempi della Convenzione, quali il regolamento interno - soprattutto per garantire pari diritti a tutti i gruppi - e i metodi di coinvolgimento dei cittadini, e alla fine anche il carattere giuridico del prodotto finale. Quale fine farà una proposta di Statuto rinnovato, una volta approvato anche dal Consiglio provinciale e regionale, nel Parlamento? Partecipare alla stesura di un documento destinato a finire in un cassetto del Parlamento? Un aspetto importante che va chiarito a monte.