Non chiamatela guerra di religione
salto.bz: Professor Tosini, dopo l’escalation di attentati degli ultimi giorni che tipo di contraccolpi ci saranno? Quali scenari futuri si immagina?
Domenico Tosini: Gli ultimi attentati sono la manifestazione di una forma di radicalizzazione che definirei piuttosto sfuggevole dal momento che la propaganda dei gruppi estremisti, come quelli affiliati allo Stato islamico, pesca in una realtà caratterizzata da molte sfaccettature, e dunque le risposte dovrebbero tenere conto sia delle situazioni in cui si verificano gli attentati sia dei responsabili e del contesto sociale in cui vivono.
Troppa approssimazione nell'analizzare la questione, intende?
In alcuni frangenti quando diciamo che gli autori di un determinato attentato sono esponenti dello Stato islamico diciamo una cosa vera fino a un certo punto perché nella realtà non è sempre chiaro quanto questo sia coinvolto. A volte vengono diramati comunicati molto generici che danno l’idea che l’Isis approfitti di questi ragazzi per attribuirsi la paternità, nonché la capacità organizzativa degli attentati. Chi li compie sono spesso persone ispirate certamente da una propaganda che fa però leva su un disagio diffuso e che è collegato, come nel caso francese, ad esempio, a situazioni di marginalità, devianza, microcriminalità. Tutti fattori che portano a creare uno scollamento fra i ragazzi spesso originari dei paesi musulmani e la società ospitante. Certo, le azioni militari hanno, nel breve periodo, l’ovvio effetto di distruggere le basi e i campi di addestramento, ma se da una parte questo costituisce un vantaggio per bloccare l’operato dei gruppi armati, dall’altra questi ultimi faranno in modo di mostrare come tali azioni militari, nel loro colpire anche civili inermi, rispecchino quello che secondo loro è il vero volto dell’occidente, ovvero l'oppressore del mondo musulmano, e così si riaccende il circolo vizioso.
Sta dicendo che se la risposta militare è efficace la strategia di lungo respiro rischia invece di essere fallimentare, quindi.
E di riaccendere focolai di odio e di ritorsione.
"Parlare di guerra di religione significa trattare questi argomenti con l’accetta, significa avere nessuna capacità di penetrare il fenomeno."
Mettere sullo stesso piano terrorismo, religione e immigrazione, come spesso usano fare gli ultrà del populismo, non è forse una volontaria distorsione della realtà che rischia di inaridire un dialogo già così monosillabico?
Guardi, ho letto un editoriale di Pierluigi Battista qualche giorno fa, dopo i fatti di Stoccolma, sul Corriere della Sera, in cui si parlava di guerra di religione. Quasi contemporaneamente un inviato dello stesso giornale, in un pezzo, spiegava come in Svezia, in particolare proprio a Stoccolma, ci siano dei quartieri completamente ghettizzati di immigrati, isolati o autoisolati, in cui la spaccatura fra la società ospitante e la comunità ospitata è totale. Ci sono situazioni di tensione fra autoctoni e immigrati e in questo disagio ovviamente la propaganda islamista fa proseliti. Come si fa, dico io, a parlare di guerra di religione, che senso ha? L’ideologia estremista islamista che, si badi bene, non va però associata ai precetti dell’islam, viene usata per conferire un senso di gloria e di identità a chi vive una condizione di sbandamento, e così queste persone trovano nel martirio, dal loro punto di vista, una modalità per riscattarsi. Parlare di guerra di religione significa trattare questi argomenti con l’accetta, significa avere nessuna capacità di penetrare il fenomeno. Mettere sullo stesso piano comunità immigrate e terrorismo è un atteggiamento sbagliato, si fa passare il messaggio che c’è come una sorta di invasione dei gruppi armati nella forma dell’immigrazione. È chiaro che più si aprono canali per i flussi migratori e più aumentano statisticamente le probabilità di infiltrazioni terroristiche o di chi, vivendo situazioni di disagio, compie azioni armate per vendicarsi talvolta anche di questioni personali con la comunità ospitante, senza che poi la religione abbia un ruolo effettivo.
Ma a proposito di Stoccolma, se anche un modello di convivenza come quello svedese sembra non funzionare più cosa ci resta?
Dal punto di vista statistico il fatto che ci siano stati 2-3 attentati in Svezia, considerando la grandezza della comunità immigrata presente, non significa necessariamente trovarsi di fronte a un completo fallimento del processo di integrazione. O quantomeno mi sembra prematuro affermarlo. Spesso gli attentati che si verificano vengono presi come pretesto per generalizzare e dire che sono manifestazione del fallimento dell’integrazione, ma è giusto arrivare subito a queste conclusioni?
Eppure, in momenti come questi, c’è chi torna a sentenziare che il terrorismo è il prezzo da pagare per le politiche di accoglienza liberali.
I gruppi armati, dal punto di vista logistico e comunicativo, approfittano delle nostre libertà, della possibilità di muoversi liberamente in Europa, della libertà del web e dei social che gli estremisti islamisti condannano sul piano dottrinale ma che sfruttano, e sono ben contenti di farlo. La vera causa del terrorismo va cercata nella politica estera che i paesi occidentali conducono in Medio Oriente, sia dal lato degli interventi diretti, sia dal lato del rapporto che hanno con i regimi presenti in quei territori.
"Spesso gli attentati che si verificano vengono presi come pretesto per generalizzare e dire che sono manifestazione del fallimento dell’integrazione, ma è giusto arrivare subito a queste conclusioni?"
L’ex presidente del consiglio Romano Prodi ha detto, riferendosi all’attacco USA in Siria di cui non era stato preavvisato alcun leader europeo, che “con la nostra disunione abbiamo appaltato ad altri la nostra sicurezza”, è d’accordo? È un’Europa irrimediabilmente sfilacciata, questa?
Direi di sì. Non c’è quasi mai una strategia comune, non c’è stata nel caso dell’Iraq, con l’occupazione del 2003, né nella fase più recente del conflitto iracheno o in quello siriano. L’Europa si sta comportando in maniera molto confusa di fronte a queste situazioni e ciò crea disorientamento nei cittadini europei. Anche noi italiani, dal mio punto di vista, non abbiamo una visione precisa su quale tipo di posizione assuma il nostro Paese, quali siano le intenzioni o le strategie di lungo periodo.
Accade tuttavia che l’ottusità ideologica del terrorismo abbia anche degli effetti inaspettati, dopo l’attentato di Dortmund, per esempio, è stato lanciato un appello su Twitter per dare un letto ai tifosi, di qualsiasi nazionalità, in attesa della partita di Champions League rinviata al giorno dopo. Un episodio che fa presagire una rinnovata compattezza europea, che potrebbe fare da contraltare alla violenza degli attentatori o si tratta solo di una conquista effimera?
Un risultato effimero, ahimè. Quello che manca è il passaggio da queste espressioni di solidarietà sul web e sui social a un movimento di opinione e protesta vero e proprio nei confronti di certe azioni militari dei paesi occidentali o della Russia. Un movimento caratterizzato da un’ampia parte della società che cerchi di far sentire la propria voce attraverso manifestazioni di piazza, come quelle che ci furono alla vigilia dell’invasione angloamericana del 2003 in Iraq.
"Noto molta apatia fra le persone, nessuno alza davvero la voce. E questo è un discorso che ci riguarda e ci accomuna tutti."
Il presidente USA Trump, nel frattempo, pare essere passato da una politica isolazionista a una interventista.
Proprio di fronte a questa escalation degli Stati Uniti nella politica estera, in cui il Presidente si è completamente smentito, mi chiedo cosa farà l’opinione pubblica americana. Del resto una buona parte dell’elettorato aveva appoggiato Trump proprio perché aveva dimostrato una certa cautela in politica estera. Insomma noto molta apatia fra le persone, nessuno alza davvero la voce. E questo è un discorso che ci riguarda e ci accomuna tutti.
Il compianto sociologo Bauman diceva che “il cuore che i terroristi cercano di colpire è quello dove abbondano le telecamere”, ogni elemento di aggregazione, dal calcio alla musica, è diventato evidentemente un potenziale target e amplifica le paure.
Colpire gli assembramenti, locali, come a Parigi, o stadi, è una tipica modalità del terrorismo che si conferma continuamente e non fa che mettere in luce la profonda vulnerabilità degli stati nemici, cercando di innescare reazioni emotive forti e di terrore.
È avvilente prenderne atto ma si fa quasi fatica ormai a tenere conto degli attentati di quest’ultimo periodo, senza contare tutti gli altri episodi di terrorismo et similia su cui i media non pongono altrettanta sufficiente attenzione, non rischiamo di abituarci e di sviluppare una pericolosa insensibilità a certi eventi?
In un certo senso c’è un processo di assuefazione di fronte a certe notizie. È qualcosa di macabro da affermare ma c’è il fatto che i gruppi armati non solo devono trovare modalità operative nuove per cercare di aggirare i controlli dei servizi segreti e delle forze dell’ordine ma anche mettere in luce le novità riguardo la capacità di colpire il nemico, le nuove tattiche, come quella del camion lanciato a elevata velocità sulla folla, per suscitare maggiore attenzione, creare maggiore allarme, costruire forme di insidia che vadano al di là delle tradizionali modalità di attacco.
E riguardo questo quadro desolante i suoi studenti cosa dicono?
C’è chi è più indifferente e ha legittimamente altri interessi di studio, ma si fanno avanti anche diversi giovani che chiedono di poter preparare la tesi sul tema del terrorismo a dimostrazione del fatto che c’è un desiderio forte di assimilare qualche coordinata cognitiva, scientifica e analitica per riuscire a comprendere questo fenomeno. È capitato che alcuni ragazzi, nella fattispecie figli di immigrati provenienti da paesi musulmani, abbiano mostrato segni di disorientamento perché la loro cultura islamica viene assimilata al terrorismo, cosa molto pericolosa perché si rischia di creare ulteriori fratture.
Anche a Trento c’è stato recentemente un attentato all’Università, benché la matrice fosse quella anarchica, come è stato vissuto?
In maniera molto allarmata, si è trattato di una dimostrazione di profonda intolleranza verso la ricerca, i responsabili del laboratorio peraltro hanno sottolineato che non lavoravano per organizzazioni militari, ma si occupavano di crittografia, principalmente per le banche o enti del genere. Sono episodi che vanno condannati senza mezzi termini.
L’ideologia estremista
L’ideologia estremista islamista che, si badi bene, non va però associata ai precetti dell’islam,
e il terrorismo non ha niente a che fare con il jihad? Il jihad non è una forma estremista del islam ma componente essenziale.
Non si può fare la divisione fra islamismo e islam perché l'islamismo fa parte del DNA del islam.
Il jihad, la divisione fra fedeli e infedeli, la violenza per espandere il proprio territorio e per divulgare la fede non sono cose estranee a chi prende il profeta come buon esempio.
Magari il signor professore potrebbe studiare più approfonditamente l'islam.
https://www.google.it/amp/s/www.nzz.ch/amp/meinung/nzz-standpunkte-hama…
Non chimamola guerra delle religione ma guerra tra una concezione della civiltà basata su umanesimo e illuminismo e una basata sul corano e la sharia.