Bisogna saper perdere
In genere si dice che saper perdere sia più difficile che saper vincere. E' vero. Ed è tanto più vero per chi a vincere era ormai abituato, considerando la vittoria quasi una emanazione naturale della propria attitudine a farlo. Come se, insomma, tra l'intenzione di vincere e l'ottenimento del risultato sul campo non ci fosse quasi frattura, gli ostacoli saltati uno dopo l'altro in leggerezza, talvolta persino con irridente sufficienza (un esempio per tutti: il trionfo per 4-0 sull'Italia negli all'ultimo europeo) sfruttando un abbrivio pensato come costante.
L'eliminazione della Spagna – la meravigliosa squadra capace di primeggiare per sei anni in Europa e nel mondo – assume particolare rilievo per questo: adesso che anche la prima della classe è rotolata nella polvere, la psicologia dei calciatori e dell'intero popolo che in essi si identificava deve fare i conti con una sconfitta già definita come generazionale, o – come si suol dire – con la fine di un ciclo.
Ci sono però indicazioni positive al riguardo. I giornali iberici, al netto della cocente delusione, non si sono accaniti in recriminazioni ingrate. A prevalere, invece, la riconoscenza per quello che è stato fatto di grande e che nessuna sconfitta può cancellare. E' un contributo di maturità che ci deve far riflettere, insegnandoci qualcosa. Ogni avventura, anche la più splendida, è destinata a finire. Importante è accettarlo sapendo cogliere, nell'attimo del declino, la scintilla luminosa che si riverbera dal passato. La malinconia non diventa perciò tristezza, ma consapevolezza dell'avvenuto raggiungimento di un limite.