#parliamone: hacking e informazione
Quando leggiamo o sentiamo pronunciare la parola hacking ci vengono immediatamente in mente, se va bene, le immagini di ragazzi con scarse attitudini sociali, impegnati a cambiare il mondo scrivendo codice informatico. Se invece va male è probabile che ci venga in mente l’immagine altrettanto stereotipata di un cyber criminale intento a far scoppiare la terza guerra mondiale.
L’hacking, in realtà, è ben altro. Ben lontano dall’essere soltanto un’attività di carattere informatico, è piuttosto un’attitudine al problem solving. Un hacker è colui che, messo di fronte a un problema è capace di pensare a una soluzione da punti di vista inconsueti e realizzarla. Detta così, quest’attitudine non è appannaggio esclusivo di nerd appassionati di informatica ma può essere applicata a un numero potenzialmente infinito di discipline.
Perciò, la prima volta che mi sono imbattuto in #parliamone non ho potuto fare a meno di registrare l’iniziativa sotto questa categoria. #parliamone è un progetto di tesi realizzato da Noemi Biasetton, una giovane studentessa di design della LUB Libera Università di Bolzano. L’obiettivo dichiarato del progetto è “sfatare i cliché sull'immigrazione attraverso l'interazione fra youtubers, giornalisti e una designer”. Una dichiarazione d’intenti che ha colpito immediatamente la mia attenzione sia per la sua ambizione che per il metodo, assai interessante.
Perciò, in un’afosa serata di inizio giugno, ho contattato Noemi su Skype per capire se e quanto il suo progetto avesse colto nel segno. “#parliamone nasce dal grande interesse per You Tube Italia e la sua community” esordisce decisa Noemi “un luogo in cui venivano prodotti contenuti di altissima qualità e in cui, e questa era la cosa che mi interessava di più, si sviluppavano dibattiti di grande spessore”.
Per Noemi #parliamone è stato il primo progetto nell’ambito dell’information design, la disciplina in cui si sta specializzando in questi mesi in Olanda. “La mia intenzione era quella di isolare un tema, selezionare fonti attendibili e poi veicolarle attraverso un mezzo che conoscevo bene e delle cui potenzialità ero (abbastanza) consapevole. Perciò il primo passo è stato quello di selezionare dei partner attendibili che mi potessero fornire le informazioni. La scelta è caduta sul collettivo di giornalisti Valigia Blu e su Open Migration, un progetto creato dalla Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili”.
A quel punto, per Noemi è stato il momento di contattare e coinvolgere degli youtuber disposti a partecipare al progetto. “Alcuni, ad esempio, Claudio di Biagio, erano nomi che conoscevo da follower, insomma erano youtuber che seguivo e di cui apprezzavo il lavoro. Con altri invece sono entrata in contatto attraverso i network che stanno dietro tutti questi ragazzi. Il mondo degli youtuber è sorprendente. Questi possono sembrare dei ragazzi qualunque, ma alle loro spalle ci sono dei network molto strutturati, dei management preparatissimi e il lavoro necessario per stare al loro livello è durissimo. Perciò, se inizialmente pensavo che avrei dovuto lavorare molto per adattare le mie fonti al loro formato, quando mi sono accorta della loro preparazione mi sono resa conto che non era necessario un grande sforzo. Loro padroneggiano perfettamente il mezzo che hanno scelto e sono perfettamente in grado di comunicare informazioni di qualità con un linguaggio capace di parlare al e coinvolgere il loro pubblico”.
Ovviamente un’iniziativa di questo tipo non avrebbe senso senza un framework di misurazione in grado di restituire dei dati da analizzare per capire l’impatto generato. Noemi perciò ha analizzato i commenti apparsi in calce ai diversi video prodotti, dividendoli in base a cinque tipologie:
- Commenti che hanno scatenato dibattito
- Commenti che hanno scatenato dibattito fondato su dati reali
- Commenti che hanno scatenato dibattito infondato
- Commenti casuali
- Esternazioni di odio
“È stata una bella sorpresa” continua Noemi “accorgersi che il sentiment generato dall’intera operazione è stato sostanzialmente positivo. Abbiamo riscontrato nel pubblico una grande disponibilità a interagire con questo genere di contenuti. Credo che un ruolo fondamentale lo abbiano avuto il mezzo e i suoi linguaggi, perché sono loro che creano lo schema della comunicazione. Di conseguenza, sbaglia chi pensa che You Tube o i social in generale siano luoghi inadatti a distribuire informazione di qualità. Il problema, semmai, sta nell’essere capaci di usare i mezzi con cognizione di causa, perché gli influencer e i creator probabilmente non riusciranno mai a sostituire il lavoro che fa una grande testata, ma sono e saranno sempre più spesso delle figure di mediazione fondamentali”.
Affrontare questo problema, ne sono convinto, non sarebbe stato possibile senza la capacità di leggere il mondo che ci circonda con una disposizione d’animo orientata alla ricerca di soluzioni adeguate ai tempi e agli strumenti che abbiamo a disposizione. È con questa attitudine che possiamo incidere positivamente sulla realtà che ci circonda, indipendentemente dal campo che abbiamo scelto di praticare. Credo sia proprio questa la lezione più importante che possiamo trarre da un’esperienza del genere.