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L'ultima casa

Una fase della vita più delicata e fragile, che esprime situazioni di necessità, anche lo spazio fisico della casa assume un fondamentale ruolo funzionale. Molti alloggi, infatti, non sono facilmente ade-guabili alle nuove esigenze.
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Foto: Architekturstiftung Südtirol | Studio Mut
  • Nella nostra cultura siamo particolarmente legati alla «nostra» casa. Un luogo che possibilmente desideriamo avere in proprietà e che rappresenta una delle cer-tezze della vita. Siamo infatti poco inclini, rispetto ad altre società, a cambiare casa facilmente. Di fatto, le nostre esigenze cambiano, da singoli possiamo diventare coppia, costruire una famiglia, avere bisogno di maggiori spazi, per poi ritrovarci nuovamente soli quando i figli seguono le proprie strade. Queste diverse fasi della vita si svolgono per molti dentro le stesse mura, stesso paese, o stessa via e quartiere di una città. Di fatto la dilatazione e compres-sione delle esigenze spaziali si può gestire, se l’alloggio o la casa lo permettono.

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    Vi è però una fase della vita più delicata e fragile, che corrisponde all’anzianità. Non tutti hanno la fortuna di arrivare in età avanzata rimanendo lucidi e autosufficienti. L’evoluzione delle nostre capacità può subire un lento e graduale peggioramento, oppure in alcuni casi avere un repentino decadimento che esprime di fatto una nuova emergenza. La persona ha quindi bisogno di assistenza, di cure, di una presenza costante che non tutte le famiglie possono assicurare o permettersi. In questa particolare fase della vita, che esprime situazioni di necessità, anche lo spazio fisico della casa assume un fondamentale ruolo funzionale. Molti alloggi, infatti, non sono facilmente ade-guabili alle nuove esigenze. Se le previsioni progettuali sull’adattabilità delle nuove residenze possono garantire la possibilità di rendere accessibili gli spazi e i servizi, vi sono situazioni del patrimonio costruito difficilmente risolvibili. Spesso molte case del passato non sono state progettate in tal senso, altre invece possono non avere l’ascensore o essere organizzate su più piani, situazioni che difficilmente possono essere ridefinite con uno sforzo progettuale ed economico contenuto. L’idea di cambiare casa in questa fase aggiunge un’ulteriore criticità rappresentata dallo sradicamento della persona dal proprio luogo di origine e di affetto. Anche se la speranza di tutti è quella di poter vivere fino alla fine nella propria abitazione, in alcuni casi vi può essere quindi una sorta di possibile migrazione forzata verso nuovi luoghi che possono rappresentare la nostra «ultima casa».

  • Foto: Architekturstiftung Südtirol | Studio Mut
  • Sono temi molto complessi e delicati, che coinvolgono in primo luogo la persona, gli affetti familiari, la possibi-lità di un degno fine vita, in secondo luogo tutta la rete di assistenza sociale e medica, in terzo luogo la qualità degli spazi e quindi dell’architettura che corrisponde al contributo della nostra professione.

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    Per rispondere oggi alle «nuove» esigenze delle persone in età avanzata, vanno considerate le ripercussioni dovute al cambiamento della struttura sociale e alla trasformazione del concetto di famiglia. Se infatti un tempo la famiglia era caratterizzata da un nucleo plurimo che si prendeva cura delle diverse esigenze dei suoi componenti, bambini e anziani, dall’inizio alla fine della loro vita, oggi la trama estesa e avvolgente della famiglia è stata sostituita dall’au-tonomia dei singoli nuclei che sempre più spesso sono monoparentali. A questo si aggiunge il progressivo invec-chiamento della società, acuito dal preoccupante calo del tasso di natalità e al continuo progredire dell’aspettativa di vita, anche grazie ai continui progressi della medicina. Fare fronte nell’immediato futuro a questa emergenza comporta la necessità di rivedere e riorganizzare i modelli abitativi e assistenziali, che sempre più dovranno concentrare i propri sforzi per sostenere la permanenza a casa e per alimentare le strutture intermedie: dalle prime azioni di assistenza domiciliare e accompagnamento, alle strutture semiresidenziali come i centri diurni, ai cohousing e alle residenze protette, facendo leva sulle relazioni di vicinato e sul fondamentale supporto assi-stenziale di professionisti e volontari. Non saranno infatti sufficienti solamente le residenze per anziani, che continuano ovviamente a svolgere un fondamentale ruolo grazie alla presenza di personale specializzato in grado di assicurare un’adeguata assistenza. Tali strutture però possono essere ripensate, immaginando modelli abitativi e di assistenza capaci di rispondere alle esigenze fisiche degli anziani, ma allo stesso tempo diventando sempre più spazi di vita aperti al dialogo tra persone e luoghi. La risposta all’invecchiamento della società va trovata nella costruzione non solo di edifici ma anche di identità e comunità, condizioni necessarie per far sentire le persone ancora a casa propria.

  • TURRIS BABEL è la rivista di architettura della Fondazione Architettura Alto Adige, frutto della collaborazione appassionata e volontaria di giovani architetti. La Redazione si è posta come obiettivo, quello di risvegliare l’interesse per l’architettura non solo tra gli esperti in materia, ma anche tra la popolazione, di rilanciare su tutto il territorio ed a livello nazionale, il dibattito sull'architettura in Alto Adige, di promuovere la divulgazione di una buona progettazione, cosciente delle implicazioni socio-economiche ed ambientali che essa comporta.

  • Foto: Architekturstiftung Südtirol | Studio Mut