Society | rifugiati in Turchia

Le mani blu dei bambini siriani

Alle 'Giornate della cooperazione' il reportage di Valentina Petrini e Gabriele Zagni (La7) sul lavoro minorile nel tessile turco: “Il giornalismo racconti la realtà”.

Nella cornice di Castel Mareccio a Bolzano, da mercoledì 21 settembre, si svolgeranno anche quest'anno le “Giornate della cooperazione allo sviluppo”, dal titolo “Mondi in movimento”. Tra i temi affrontati nella quarta edizione – promossa dalla Provincia di Bolzano in collaborazione con la “Organizzazione per Un mondo solidale”, le “Botteghe del mondo” e youngCaritas – vi sarà il ruolo delle economie solidali nella produzione tessile, anche in rapporto alle situazioni di conflitto e povertà che inducono oltre 65 milioni di persone a fuggire dai propri paesi d'origine. Tra gli appuntamenti previsti, una sfilata di “alta moda etica” con la presentazione di abiti del commercio equo e solidale.

Alle giornate bolzanine interverrà il giornalista Gabriele Zagni, autore con Valentina Petrini del video-reportage “La fabbrica dei bambini” andato in onda su “Piazza Pulita”, il programma di La7 condotto da Corrado Formigli. Il servizio mette in luce lo sfruttamento del lavoro minorile nella produzione di scarpe e abbigliamento in Turchia, impiegando bambini rifugiati dalla Siria. Valentina Petrini è già vincitrice del prestigioso DIG Award (DIG sta per “documentari inchieste giornalismo”) con il reportage “Travelling with the refugees” trasmesso da “Piazza Pulita” e dove l'autrice percorre la rotta balcanica fingendosi profuga tra i profughi. Originario di Sospiro in provincia di Cremona, classe 1990, Gabriele Zagni è producer e social media manager di “Piazza pulita” dall'agosto 2013; sarà tra i relatori di venerdì 23, alla tavola rotonda pomeridiana “L’abito giusto – Di che stoffa sei?” e alla conferenza serale di chiusura del convegno intitolata “Nei panni degli altri”. Lo raggiungo al telefono mentre è alla guida, sotto un violento nubifragio.

La prima parte dell'inchiesta di Valentina Petrini e Gabriele Zagni.

salto.bz: Zagni, quale esperienza porterà alle Giornate della cooperazione?
Gabriele Zagni: A Bolzano verrò a raccontare un'esperienza molto forte, dal momento in cui abbiamo deciso di affrontare l'argomento sino a quando Valentina e il montatore Luca Lopilato hanno chiuso il reportage prima della messa in onda. L'idea ci è venuta leggendo un'inchiesta pubblicata dall'organizzazione no profit “Business & Human Rights Resource Center” (BHRRC) e rilanciata dai quotidiani italiani, secondo cui in Turchia ben 28 major brands internazionali – se non di più – producono vestiario, e diverse ONG hanno documentato la presenza di lavoro minorile principalmente legato all'immigrazione siriana. In Turchia ci sono tre milioni di profughi siriani, e in quei giorni l'Unione Europa discuteva l'accordo con Erdogan. Questo report interrogava le major brands, tra cui H&M: "Impiegate profughi siriani, anche minori, attraverso le fabbriche cui subappaltate?". Alcune aziende si sono dichiarate a conoscenza del fenomeno e stanno intervenendo, altre hanno negato categoricamente a seguito di controlli. Era chiaro ci fosse un fenomeno in sottofondo. Abbiamo preso in mano la situazione, contattato persone in loco, per vedere se la filiera di major brands (o meno) sfrutta il lavoro minorile. Già al telefono abbiamo capito che il fenomeno esiste. Alle Giornate della cooperazione racconterò cosa accade nella filiera produttiva dell'abbigliamento in Turchia, o almeno in alcune sue parti. Partiamo dal presupposto che la Turchia è il sesto esportatore tessile al mondo e il secondo fornitore in Europa. Che cosa compriamo e da chi? E con chi firmiamo accordi?

Qual è stata la reazione della politica al vostro servizio?
Ci ha stupito molto, e lasciato perplessi, che all'indomani della messa in onda del reportage non ci sia stata nessuna reazione politica in Italia. Risposte sono arrivate solo dal Parlamento europeo, lì c'è un work in progress sul tema, che ci sta un po' risollevando dallo stupore per il silenzio della classe politica italiana. La storia di Azam (uno dei bambini intervistati, ndr) e della sua famiglia è la storia di decina di migliaia, se non centinaia di migliaia di bambini siriani in Turchia, ma anche non siriani. Di fronte a una storia così ci si poteva porre delle domande prima di firmare l'accordo con la Turchia – e siamo ancora in tempo a porcele. Detto questo, io non faccio discorsi politici, mi occupo di storie e di raccontarle, e ognuno è libero di formarsi la propria opinione. Sono andati in onda 21 minuti di servizio, ma ho visionato decine di ore di materiale girato con decine e decine di bambini. Incontrarne così tanti in 7 giorni, significa che il fenomeno è diffuso. Si tratta delle scarpine che troviamo sui banchi dei nostri mercati, nel mercato della contraffazione. Contraffatti così bene che due domande ce le siamo fatte.

Cosa intende dire? Non è solo contraffazione?
Serve un lavoro più approfondito per trovare le prove della presenza di major brands in quelle fabbriche. La tecnica dei bambini siriani è davvero perfetta e precisissima. Rispondendo al report del “Business & Human Rights Resource Center”, H&M ha dichiarato che tra i propri subcontractor esiste il fenomeno. Ha cessato immediatamente i relativi contratti e avviato un percorso di ricollocamento e reinserimento di questi bambini e delle loro famiglie. Quindi uno di questo brands ha ammesso l'esistenza del problema, e noi lo abbiamo documentato. Ci sono fabbriche con 50 macchine da cucire, bambini con le mani e il volto blu di cui non dimenticherò lo sguardo, che iniziano a piangere quando sentono un aereo volare: li associano a un bombardamento. Valentina ha regalato ad Azam un album da colorare, e disegnava la sua famiglia nelle scene di guerra. Difficile dimenticare.

Azam ripreso dalle telecamere di "Piazza Pulita"

L'immane tragedia di Rana Plaza in Bangladesh mise in luce le condizioni di sfruttamento nella manodopera tessile. Crede che questo reportage, girato alle porte dell'Europa, faciliti la comprensione del fenomeno nel nostro paese?
Il caso è più vicino, ma la percezione di ciò che accade fuori dall'Italia è sempre distante. Esperienze come quella del Bangladesh sono lontane ma disgraziatamente vicine, perché la natura del fenomeno è la medesima. Spero che l'evento di Bolzano, avendo il focus sul tessile, faccia sorgere nelle persone una maggiore consapevolezza: quando leggiamo “made in -”, chiediamoci anche “made da chi?”. Non tutto ciò Made in Turkey l'hanno fatto bambini come Azam, ma nel momento in cui vedremo un “made in” del mercato di contraffazione, il livello di probabilità sarà alto. Domandiamoci quali conseguenze hanno 2,7 milioni di siriani imprigionati in Turchia: nel tessile lavora la stessa generazione di bambini che un giorno, a guerra finita (se finirà) andrà a ricostruire la Siria, a ricostituirne una classe dirigente. Questo è il mio mestiere, far sorgere delle domande rispetto a dei fatti. E il reportage racconta un fatto: nell'abbigliamento turco lavorano anche bambini. Per mantenersi, genitori mutilati dalla guerra sono costretti a far lavorare i propri figli. L'accordo tra Unione Europea e Turchia doveva correggere le storture prodotte da questo stato di irregolarità, ma a oggi non si hanno informazioni a riguardo.

Il nostro ruolo, dovere e mestiere di giornalisti è raccontare, sta agli esperti del tessile spiegare le conseguenze economiche ed etiche sulla filiera. 

Un accordo nato per fermare il flusso migratorio verso l'Unione Europea...
Il fenomeno della migrazione ci riguarda moltissimo e, senza voler fare un discorso politico, cosa succede se noi chiudiamo le porte? L'Europa le ha chiuse, e da quel momento i profughi si devono arrabattare come possono, lavoro minorile compreso. Eppure è una percentuale così esigua di persone, rispetto al numero di abitanti dell'EuropaI dati forniti ad es. da Migrantes dimostrano che le porte aperte risolleverebbero le casse previdenziali dell'Italia. E il fenomeno migratorio in se per sé farebbe bene alle casse dell'intera Unione Europea.

Qual è il ruolo dell'informazione in Italia nello spiegare quanto sta accadendo?
Il ruolo del giornalismo, da sempre e per sempre, è quello di raccontare i fatti dei fenomeni in corso. Le migrazioni sono un fenomeno storico che esiste sa sempre ma si è accelerato: dovere del giornalista è andare a raccontare perché s'è accelerato e perché divide l'opinione pubblica europea (evidentemente vi è un momento di difficoltà economica all'interno della UE) e quali conseguenze ha sulle persone che lo vivono in prima persona, ovvero i migranti, e non solo chi lo riceve. Il ruolo del giornalismo è raccontare i fatti, e questo è un fatto. A mio parere sono fatti pure le opinioni su questo tema, che siano a favore o contrarie, costruttive o distruttive. Il giornalismo deve raccontare il paese, le diverse posizioni al suo interno, ma di fronte a queste opinioni bisogna mettere il fatto. In questo momento il giornalismo ha un ruolo importante, perché raccontare questo fenomeno in maniera distorta genera conseguenze incalcolabili. Ho la fortuna di lavorare a un programma che ha un claim che adoro e non ci potrebbe rappresentare meglio: “La realtà è la nostra passione”. Quella di Azam è una realtà, e la nostra passione è raccontarla, anche quelle più difficili, poi sta agli altri farsi un'opinione. Non raccontarlo, censurarsi, sarebbe un errore gravissimo.

Come si è svolta concretamente la vostra inchiesta?
In ogni reportage di questa portata, ci lavora di solito una squadra di sei, sette persone, tra cui gli autori del pezzo (in questo caso io e Valentina Petrini) e l'inviata, ovvero Valentina che è andata fattivamente in Turchia. Ho firmato da producer, seguendo tutto il reportage, ero collegato prima e nel corso di tutta la permanenza di Valentina in Turchia, perché è sempre necessario un supporto a distanza: ogni volta che registravano, dovevamo verificare le informazioni fornite, altrimenti non si possono inserire nel servizio. Firmo tutti i pezzi per “Piazza pulita” in questa veste di producer, non sempre mi reco sul posto. Dopodiché, per quel che può valere, l'esperienza è stata talmente forte che era come fossi lì, anche grazie alla sintonia professionale con Valentina. Abbiamo condiviso ogni giorno la soddisfazione e il dolore di scoprire. Le sensazioni avute ascoltando la famiglia di Azam, come i racconti di Valentina e del nostro producer in loco Malmoud Al Basha, cercavo di condividerle e gestirle, perché erano forti. Ci svegliavamo al mattino vedendo che le trattative UE-Turchia andavano avanti...

Con quale spirito mostrerà il filmato a Bolzano?
Mi piacerebbe arrivare a Bolzano e scoprire quali sono le curiosità delle persone su questo tema, oltre al parere di cooperanti ed esperti del settore tessile. Nonostante il silenzio della politica su questo reportage, l'interessamento dei cittadini è stato molto forte. Sono molte le persone che ci hanno chiamato per raccontarci cosa c'è dietro, oltre i venti minuti di reportage. Noi di “Piazza Pulita” da due anni seguiamo questo filone intensamente. Raccontiamo tutti quei fenomeni che toccano il nostro paese, oppure prima o poi lo toccheranno: il fenomeno dell'immigrazione, dello Stato islamico, del terrorismo, fanno parte di un'unica grande storia, ovvero la realtà.