La nostra scuola non è selettiva!
Gentile professoressa Maria Prodi,
non so come faccia ad asserire che “la nostra scuola è selettiva”. Un quid di selettività ancora c’è, ma è sempre più esiguo: in prima superiore, da sempre la classe col grado più elevato di bocciature, verso la fine del secolo scorso la percentuale di bocciati era ancora del 20%, 15 anni dopo si era già dimezzata e oggi è scesa di altri due punti (8%). Percentuali che, guarda caso, rispecchiano fedelmente il decremento progressivo di iscrizione alle scuole professionali: un tempo spina dorsale del sistema produttivo, oggi volutamente depotenziate. Non è prova sufficiente il fatto che lei stessa auspica da anni “campagne di concorsi ben calibrati” per selezionare docenti? non penso creda che basti rettificare la calibratura dei concorsi per curarne l’inadeguatezza!
Non mi sembra corrispondente al vero affermare che “non esistono praticamente più lavori per ignoranti”. Il numero di coloro che li svolgono – penso ad esempio al settore edilizio ed agricolo – non credo sia sceso di molto; se sono invisibili al mondo scolastico è solo perché sono quasi tutti stranieri e operano dopo poche settimane di sommaria preparazione, il che non è il massimo per la sicurezza né per la qualità del lavoro. È vero che oggi un idraulico deve saper montare una pompa di calore, ma non per questo deve studiare da perito: cinque anni di scuola professionale riformata sarebbero più che sufficienti. Viceversa, diplomarsi o addirittura laurearsi per poi fare l’idraulico – eventualità tutt’altro che rara oggi – è un dispendioso spreco di mezzi e un pericoloso accumulo di frustrazioni.
Ma c’è un passaggio in particolare nella sua lettera che mi permette di spiegare la radice profonda del nostro disaccordo: “Una parte dei nostri ragazzi si perde, smette di andare a scuola. Una parte termina per sfinimento, proprio e dei docenti, ma non ha maturato gli apprendimenti connessi al titolo che riceve”. Questo, non me ne abbia se mi permetto di chiamarlo “lamento”, è il refrain che da anni ogni responsabile dell’istruzione nazionale sia esso sovrintendente o dirigente va ossessivamente ripetendo. È come se tutto nella scuola dovesse rispondere ad un unico imperativo: diplomare tutti anche a rischio di commettere un’illegalità (falso in atto pubblico). Non si mette nemmeno in conto che il successo scolastico del singolo dipende (e direi anche in parte notevole) dalle sue capacità e dal suo impegno. No! tutto è delegato all’insegnante: se lo studente non studia, non è perché non ne ha proprio voglia, nemmeno un briciolo, ma perché l’insegnante è poco coinvolgente; se è debole in matematica, non è perché al posto del bernoccolo ha un avvallamento, ma perché l’insegnante, anche se ferrato nella materia, non sa personizzarla. Il che, diciamocelo, non è proprio quello che si dice uno stimolante per la già debole di per sé volitività del giovane.
C’è chi ha provato ad indagare l’origine di quest’inquietudine ansiosa, quasi un senso di colpa, circa il timore di non poter garantire a tutti il successo scolastico. La più convincente è senz’altro quella avanzata dal prof. Ricolfi: molte cose – afferma – sono state cambiate nel campo dell’istruzione in nome di don Milani e molto probabilmente anche la sua denuncia alla scuola classista degli anni Sessanta di essere come “un ospedale che cura i sani e respinge i malati” deve aver lasciato tracce indelebili. Diciamo che è stata presa troppo alla lettera: a forza di dedicarsi esclusivamente alla cura degli ammalati, un po’ di malessere l’hanno patito pure i sani. Qualche attenzione per questi ultimi, oggi, bisognerebbe pur tornare ad averla: nessun paese può fare a meno di una classe dirigente (sia in senso culturale che tecnico) ben formata, ne va della democrazia.
Non posso non condividere
Non posso non condividere alcune riflessioni: sul depotenziamento delle scuole professionali in particolare, fatto per me grave. Che provoca una serie di ricadute che sono state evidenziate.
Diciamo che alla cura dei più deboli ci si è dedicati ma molto ci sarebbe da dire. Sulla valorizzazione nella scuola bisognerebbe impegnarsi di più: di alunni ed insegnanti.