Culture | Il libro

L’Alto Adige fuori dal suo ombelico

Da alcuni anni sempre più scrittori di lingua italiana hanno cominciato a dedicare la loro attenzione alla nostra terra. Un’antologia illustra adesso questa tendenza.

La produzione letteraria avente come tema esplicito, o anche come semplice sfondo, l’Alto Adige/Südtirol è contrassegnata da un’evidente asimmetria linguistica: sovrabbondante (e non raramente ridondante) in lingua tedesca, sparuta e titubante in italiano. Da qualche anno, però, la situazione è sensibilmente cambiata. Sempre più autori di lingua italiana, cioè, si sono rivolti all’Alto Adige prendendo spunto dalla sua particolarità antropologica, storica, sociale e paesaggistica. Un mutamento che coinvolge autori nati o vissuti in loco, ma anche scrittori operanti a sud di Salorno e persino all’estero. L’antologia “Narrare l’Alto Adige” (Edizioni alpha beta Verlag), curata da Toni Colleselli, fotografa quanto appena detto grazie a una selezione di 25 frammenti narrativi prelevati da altrettanti libri usciti tra il 1990 e il 2014, riuscendo così a darci un’immagine letteraria, se non esaustiva, certamente sfaccettata e attuale della “provincia meno italiana d’Italia”.

Salto.bz: Toni Colleselli, quando è nata l’idea di comporre questa antologia?
Toni Colleselli
: L’idea risale a qualche anno fa. Quando mi sono accorto della tendenza di cui stiamo parlando, avevo pensato ad organizzare un convegno per sottolineare come sempre più scrittori italiani stessero finalmente cominciando a scrivere della nostra provincia, esprimendo così sia una presa di coscienza territoriale da parte di chi ci viveva che una vera e propria scoperta per chi veniva o guardava i nostri fatti da fuori. Tramontato il progetto del convegno, i materiali che nel frattempo avevo raccolto mi hanno suggerito l’impresa della presente pubblicazione.

C’è un filo conduttore che lega la scelta dei vari testi?
Il filo conduttore è innanzitutto stilistico: sono tutte storie, cioè narrazioni. Ho perciò consapevolmente escluso la saggistica e, soprattutto, non ho voluto comporre una “storia letteraria” dell’Alto Adige. Quel che mi premeva era dipingere il volto contemporaneo di un territorio attraverso le parole che lo raccontano. 

Un volto con un’espressione che dunque risulta molto “mossa”…
Senza dubbio il risultato è più frammentario che unitario. Del resto, anche la stessa scelta dei testi – ci sono gialli, cronache, biografie, memorie… – non può che contribuire ad accentuare la diversificazione. Abbiamo così una visione di questa terra che oscilla tra esaltazione e disperazione.

Come mai nell’antologia ha raccolto anche testi pubblicati originariamente in lingua straniera?
Perché anche le traduzioni testimoniano del cambiamento di atteggiamento, dell’intensificazione d’interesse di cui parlavo. Ciò che mi premeva era insomma registrare le pubblicazioni apparse in lingua italiana – e dunque anche in traduzione – sull’Alto Adige. Per me non è rilevante solo l’autrice o l’autore, quanto piuttosto l’impronta che questo territorio ha lasciato nel suo animo, nella sua scrittura.

Si tratta allora di un libro più “utile” al lettore altoatesino o a quello italiano?
L’idea è quella di presentare l’Alto Adige nella sua complessità e nelle sue contraddizioni. Non so se ciò possa risultare più interessante per chi dell’Alto Adige ha già un’idea definita perché lo vive dall’interno, oppure per chi – al contrario – lo ha magari incontrato da turista o solo per sentito dire. In ambedue i casi, comunque, ne avrà una percezione quanto più prossima alla realtà.

Nel libro sono presenti autori assai noti (Claudio Magris, Francesca Melandri, Joseph Zoderer, Reinhold Messner, Lilli Gruber… per limitarci a quelli più famosi) e altri meno conosciuti al grande pubblico. Se lei però dovesse indicarci un racconto dal quale cominciare la lettura di “Narrare l’Alto Adige” quale ci consiglierebbe?
Così su due piedi mi viene subito in mente il brano tratto da “L’ombelico di Giovanna” di Ernest van der Kwast. Si tratta di uno scrittore di lingua olandese, anche se nato a Bombay nel 1981. Il suo romanzo Mama Tandori (pubblicato come “L’ombelico di Giovanna” dall’editore milanese Isbn) è la sua opera più famosa. Per otto anni ha vissuto a San Genesio e da questa esperienza, evidentemente, ha tratto ispirazione per comporre anche un libro di ambientazione sudtirolese. In poche pagine è riuscito a raccontare una vita immersa nel lavoro, nella solitudine, nella natura, nel ricordo e nella malinconia.

Beh, davvero singolare che la nostra terra si sia depositata nelle pagine di uno scrittore di lingua olandese, e per giunta nato a Bombay…
Guardi, è vero che l’Alto Adige è una terra molto particolare, ma non esistono posti al mondo che non siano particolari e poi, se raccontata bene, ogni particolarità può essere compresa e raffigurata con grande efficacia.