Trump
Foto: SALTO/Simonetta Nardin
Politics | Cartoline dagli US/6

Non sarà la fine dell'America

Due settimane dopo le presidenziali, il viaggio negli USA finisce fra le prime nomine di Trump e l'abbandono di X, in un paese dai valori forti – ma elettoralmente diviso.
  • Sono arrivata alla fine del mio viaggio americano. La costa est degli Stati Uniti è colpita da una forte siccità, offrendo l’ennesima prova del cambiamento climatico in corso ma anche, egoisticamente, un clima mite e asciutto perfetto per girare a Manhattan, sempre che gli incendi che si stanno sviluppando dal New Jersey al New England non oscurino il cielo azzurro. Non era mai successo prima che in autunno ci fosse questo forte pericolo - ma il clima, così come la politica, ci sta ormai abituando a cose mai successe prima.

    Sono trascorse solo due settimane dalle elezioni americane, ma sembrano passati già due secoli, o almeno questo sembra il tempo trascorso da quando a Washington bastava avere una babysitter non in regola per essere considerati indegni di una nomina presidenziale - figuriamoci poi arrivare alle audizioni al Senato. Ora lo stillicidio di nomine trumpiane - una appena più impresentabile e/o inadeguata di quella precedente - alza quotidianamente la posta in gioco: lo scopo non è più quello di guadagnare voti con la versione americana di aprire il parlamento come una scatoletta di tonno. La posta in gioco è quella di verificare subito, appena dopo l’inaugurazione di gennaio, quanto sono allineati i Repubblicani che dominano Camera e Senato, ma tra i quali qualcuno forse ha ancora una coscienza e una spina dorsale.

  • Una frase di Joseph Pulitzer che nella scuola di giornalismo da lui fondata presso la Columbia University a NY. Si legge tra l’altro: “Una stampa civica, mercenaria e demagogica produrrà col tempo un popolo tanto insignificante quanto essa stessa.” Foto: SALTO/Simonetta Nardin
  • Se l’accettazione rassegnata della realtà ha caratterizzato la maggior parte delle conversazioni degli ultimi 15 giorni, ogni nuova nomina è riuscita a sorprendere anche i più cinici o preparati al peggio anche per questa aperta sfida al Congresso - compresa la richiesta anti-costituzionale di approvare le nomine senza audizioni parlamentari. Mi trovo nel gift shop del Jewish Museum a New York quando il telefono mi allerta su Robert Kennedy, Jr. e non riesco a trattenere una lieve esclamazione - anche se la nomina alla Sanità era prevedibilissima. Spiego il perché della mia sorpresa alla signora che mi sta gentilmente chiedendo se ho bisogno di aiuto. “Non oso chiedere di cosa si tratti,” mi dice, aggiungendo quando glielo dico: “Sta facendo esattamente quello che ci aveva detto che avrebbe fatto. E siamo lo stesso profondamente shoccati.” 

  • Palazzo di giustizia a Lower Manhattan; la scritta dice: “La vera amministrazione della giustizia è il pilastro più solido di un buon governo.” Foto: SALTO/Simonetta Nardin
  • Negli ultimi 15 giorni ho sentito amici e conoscenti ripetere posizioni che, prese singolarmente, rappresentavano prese di posizione nettissime all’indomani del voto: che la sconfitta democratica è tutta colpa di Fox News, o della cultura woke e delle politiche identitarie, o dei social media usati come mazze da baseball dalla destra, o dell’inflazione, o di Biden che ha sottovalutato l’inflazione, o della misoginia, o della presupponenza dei Democratici che hanno dato per scontato il voto delle donne, degli afroamericani e dei latini, o dell’immigrazione illegale fuori controllo, o dei milioni di Elon Musk e dei signori delle criptovalute, o di nuovo di Biden per non aver mollato prima, o di Kamala Harris per non essersi differenziata subito da Biden… 

    Ora queste affermazioni formano un grande groviglio di opinioni che sembrano raccogliere ognuna un granello di verità.

  • Negozio Tesla a Manhattan con il bot umanoide chiamato Optimus: destinato a “fare lavori ripetitivi, noiosi o pericolosi per gli umani”. Foto: SALTO/Simonetta Nardin
  • Sarà sempre più difficile però condividere queste verità, o trovare quello che qui chiamano common ground. Nonostante l’evidente spostamento a destra, il voto popolare certifica un paese profondamente ed equamente diviso (secondo l’ultimo conteggio del New York Times: Trump al 50%, 48.3% per Harris, il resto ad altri candidati). Un caro amico mi racconta che suo fratello e sua sorella per la prima volta in molti anni terranno le famiglie divise a Thanksgiving - uno dei coniugi ha votato per Trump e gli altri non riescono a immaginare di sedersi insieme a mangiare il tradizionale tacchino tra due settimane. Ci si isola anche sui social, non solo nelle ormai tradizionali bolle ideologiche che ci creiamo o creano per noi gli algoritmi: si sceglie su quale social media andare così da evitare anche solo di incrociare e sbeffeggiare chi ha opinioni diverse. Se la destra spopola ovunque e Musk ha trionfalmente riconsegnato Twitter-X a Trump, provocando un esodo post-elettorale che verrà probabilmente ignorato o ridicolizzato dal miliardario (almeno fino a quando non farà male al portafoglio), i liberal stanno migrando in massa su Bluesky, che dopo le elezioni sta registrando un milione di nuovi account al giorno: creato by the people, for the people, qualsiasi cosa significhi per un social media, afferma di essere meno dipendente da un algoritmo incomprensibile e di offrire più indipendenza nel selezionare chi si segue e cosa si vede. Ma per ora basta che non ci sia lo zampino di Musk per offrire ai liberal il miraggio di una terra promessa, un mondo diverso, dove crescere i loro pensieri. 

  • Jon Stewart del Daily Show mostra i collegi elettorali Vinti da Reagan alla rielezione del 1984: "Non finì il mondo allora, non finirà adesso". Foto: SALTO/Simonetta Nardin
  • E a proposito di Musk fa bene all’ottimismo ricordare che, non essendo nato negli USA, non può candidarsi alla presidenza - certo sempre credendo che la Costituzione non possa essere cambiata o aggirata facilmente, così come non verrà cambiata per permettere un terzo mandato presidenziale (ma non fidarsi è meglio: un deputo democratico vuole far passare una regola per cui il divieto del terzo mandato si applicherebbe anche a un presidente con due mandati non consecutivi). E fa bene anche Jon Stewart del Daily Show a tamponare il pessimismo, ricordando che la vittoria dei collegi elettorali di Trump, per quanto massiccia, impallidisce di fronte a quella di Ronald Reagan che, nel 1984 venne rieletto inondando di rosso tutta la cartina degli USA. Non fu la fine della repubblica o del partito democratico allora, non lo sarà adesso, tra quattro anni, le cose potrebbero essere molto diverse, ci ricorda il conduttore di uno dei programmi satirici più arguti. Le sue parole risultano meno confortanti quando qualche sera dopo, durante la splendida rappresentazione del musical Cabaret a Broadway, in risposta allo scrittore americano che lo invita ad abbandonare la Berlino del 1930, Herr Schultz, già vittima di antisemitismo, risponde confidente che i tempi difficili passeranno: è solo un’altra stagione politica.

  • Il monumento dell’11 settembre a Manhattan: commemora gli attentati del 2001. Foto: SALTO/Simonetta Nardin
  • Passeggiando per Manhattan negli ultimi giorni di questo intenso viaggio americano ritrovo quasi ovunque iscrizioni ispirate ai valori fondamentali di questo paese. Valori certamente offuscati dallo schiavismo e dallo sterminio dei popoli indigeni, che rappresentano comunque il famoso arco dell’universo morale che è lungo ma tende verso la giustizia. La battaglia per la conferma delle nomine di Trump offrirà una chiara indicazione di dove tenderà l’arco dell’universo morale del Congresso, o se il paese lo possiede ancora, un universo morale, per poterlo tendere verso un’altra direzione alla prossima tornata elettorale. 

    Buon viaggio, America!