Due stelle macchiate dal regime
L’organizzazione dei mondiali di calcio da parte del Qatar ha riacceso i riflettori sulle procedure di assegnazione dei grandi eventi sportivi. Mai come prima si è iniziato a discutere del lungo corso di eventi che ha portato l’Emirato ad essere il primo paese del Medio Oriente ad ospitare la competizione e dell’opera della FIFA (Fédération Internationale de Football Association), macchiatasi di complicità verso un complesso sistema di favori e regalie, culminato con le indagini di Stati Uniti e Svizzera, nel 2015. Tale modus operandi non sembra, però, essere nuovo alla Federazione, che solo un decennio fa aveva deciso di affidare il mondiale alla Russia, paese già ben noto all’epoca per la sua lunga lista di violazioni dei diritti umani. Tornando indietro nel tempo, infatti, si può ricostruire una lunga tradizione di vicinanza della FIFA ai regimi autoritari, dimostrata fin dalle prime edizioni dei campionati di calcio. È uno dei temi del volume Mondiali senza gloria, scritto dal giornalista Giovanni Mari e presentato a Trento nel corso della rassegna Mo’ ve o buco sto mondiale, organizzata dalla Libreria Due Punti per guardare al mondiale attraverso uno sguardo critico, finalizzato a non far scemare l’iniziale indignazione, manifestata all’apertura dei giochi.
Giovanni Mari racconta le vittorie della nazionale italiana del 1934 e del 1938 cambiando radicalmente la narrazione finora proposta. Gli italiani sono molto fieri delle prime due vittorie calcistiche, considerate come la dimostrazione della capacità sportive di una nazione che ha fatto del calcio uno dei pochi momenti di unità nazionale. Poche federazioni possono esibire 4 stelle sulla propria maglia e le vittorie ottenute nel ‘34 e nel ‘38 vengono rivendicate con forza, alla pari di quelle ottenute nel 1982 e nel 2006. Mari, però, ha ricostruito la storia di quelle due prime vittorie, ricorrendo soprattutto a fonti straniere, perché lontane dalla propaganda fascista che permeava il sistema di informazione italiano in quegli anni. Ne nasce una ricostruzione ben diversa dal ricordo con il quale tutti, fin da piccoli, siamo cresciuti, fatto di orgoglio e di rivendicazione di centralità geopolitica, almeno nel mondo dello sport. Si scopre invece che Mussolini, prima di altri, aveva capito le potenzialità dello sport come mezzo di propaganda e promozione del regime: in un’Italia dall’economia traballante la possibilità di accaparrarsi l’organizzazione della seconda edizione dei campionati mondiali di calcio diventa la via per mostrare al mondo l’italica potenza, non solo in campo. Per garantirsi l’assegnazione, Mussolini blandisce la FIFA, che tranquillamente cede alle sue lusinghe, tra promesse di un’organizzazione ferrea, senza problemi di sicurezza e senza alcun costo, poiché Mussolini si è offerto di pagare anche per la permanenza delle altre federazioni. Nel conto rientrarono anche gli arbitri, un prezzo imprescindibile per assicurarsi le vittorie ed arrivare ad alzare il trofeo, fondamentale via di celebrazione del primato nazionale e del modello dello sportivo soldato, addestrato allo sport come anticamera della guerra. L’edizione del ‘34 si chiude quindi con un successo, ma Mussolini è intenzionato a ripeterlo e, attraverso il medesimo sistema di corruzione, si garantisce anche la vittoria del ‘38, in un mondiale che si svolge in Francia, davanti ai molti esuli italiani fuggiti dalla barbarie fascista.
Mondiali senza gloria apre il dibattito sull’ennesima eredità fascista che, ancora una volta, si tenta di rimuovere
La ricostruzione contenuta nel libro si muove tra accordi sottobanco, scambi di favori e violenze, nel difficilissimo compito di analizzare il ruolo che gli eventi sportivi hanno avuto durante il regime fascista. Seppur il legame tra sport e dittatura non sia nuovo, basti pensare al più recente utilizzo da parte dell’URSS o della Cina, in Italia rimane ancora un argomento difficilissimo da trattare e Mari racconta di aver trovato un deciso astio verso questo volume: ridisegnando i contorni di una nazionale ancora considerata portatrice del sogno azzurro e alimentata dal mito dei suoi campioni, Mondiali senza gloria apre il dibattito sull’ennesima eredità fascista che, ancora una volta, si tenta di rimuovere. Difficilmente si può pensare infatti che le partite si esauriscano nei soli minuti di gioco, non riconoscendo il complicato sistema organizzativo e commerciale che le costituisce e che da sempre è oggetto di forti scontri politici. La testimonianza più recente è proprio l’attuale mondiale in Qatar, ma nelle ultime pagine il libro ripercorre le altre assegnazioni della FIFA, che quasi mai ha dimostrato di tenere conto dello Stato di diritto nelle sue scelte. Del resto fu proprio Jérôme Valcke, segretario generale FIFA dal 2007 al 2015, a dire: “A volte, con meno democrazia, è più facile organizzare una coppa del mondo”.