Society | Meta civitas incolta

La distorta vocazione formativa della tv

Non chiamiamoli più talk shows. Sono piuttosto diventati degli stalk shows ovvero dei format di diseducazione e di disaffezione civica.
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talk show
Foto: Pixabay

Ogni anno vengono lanciati nuovi talk shows in tv, il cui scopo sbandierato è quello di favorire un dibattito tra politici e gente comune per approfondire argomenti di attualità. L’inserimento della voce della piazza, anzi, è stata l’importante innovazione apportata a questi format televisivi per renderli più spontanei delle dispute accademiche ovvero per contravvenire all’inconcludenza del politichese. Favorire un confronto diretto, hanno scoperto i think tank dei colossi mediatici, non aumenta soltanto l’audience - e per giunta il volume d’affari con la pubblicità -, ma può essere usato per diversi scopi secondari: testare l’appeal televisivo di nuove leve politiche, verificare la tenuta di politici professionisti, screditare avversari politici facendogli fare delle figuracce, delegittimare idee politiche per comprometterne il futuro cammino, ridocolizzare persone ed istituzioni ovvero provvedimenti decisi da governi o dall’amministrazione, accertare la capacità di persuasione degli influencer, sperimentare modalità per accendere le emozioni dell’opinione pubblica e condizionare l’agenda politica. L’importante è perseverare nella strategia di delegittimazione mettendo in campo tutto il ventaglio disponibile della strumentazione mediatica.

Rappresentazione rozza della dialettica politica

Ovviamente tutti si cimentano nel solco di predecessori illustri come „Mezzogiorno è" e „Mezzogiorno italiano“, „Porta a porta“, „Annozero“ e, più recentemente, „Ballarò“, „Otto e mezzo“ e „Dimartedì“. I modi rozzi nella rappresentazione della dialettica politica li introdusse Umberto Bossi e Gianfranco Funari riuscì a piazzare il gergo degli incolti come sfondo umorale nei salotti televisivi. Di fronte a tali inasprimenti nelle esternazioni, la parlantina di Silvio Berlusconi suggerì addirittura raffinatezza, pur concedendo dei toni in sintonia con la discesa in campo ed il sodalizio con i modi pacchiani e da bottega della gente comune. La performance di tali format dipende molto dalla conduzione. E qui ci sono coloro che tengono saldamente in mano la trasmissione come Bruno Vespa ed ostentano professionalità, anche quando si tratta di osannare certi personaggi o di far polpette di qualcuno, giostrando abilmente tra domande trannello ed improvvise interruzioni del tentativo di spiegare i fatti, flash di dati e collegamenti preparati ad arte per spingere la persona prescelta nel vicolo cieco, dove è già pronta la gogna. Al contrario, Lilli Gruber, conduttrice altrettanto navigata e con la capacità di bucare lo schermo, mantiene sempre una certa equidistanza, favorendo una dialettica più distesa e raffinata e rafforzando la sua aura deontologica di alto livello. Grande stima per la conduzione disinvolta se l’è guadagnata anche Giovanni Floris fin dai tempi di Ballarò, dove, oltre al supporto di un giullare del calibro di Maurizio Crozza ha avuto a disposizione un team affiatato per l’efficiente lavoro redazionale di ricerca e di approfondimento. Più aperto per un’analisi politica attenta ai problemi sociali ed alle prospettive della sinistra, pur con la difficoltà di identificarne le linee programmatiche e rappresentanti credibili e coerenti, ha tenuto il campo per la necessaria riflessione critica sui tentativi di omologazione neoliberale e neoreazionaria.

Dare voce alla piazza con vocazione formativa lungimirante

Comparativamente sono le nuove trasmissioni su Retequattro a rappresentare innovazioni con una valenza culturale e politica che richiede una particolare attenzione. Mi sono sempre chiesto che senso possano avere dei format televisivi, in cui mandare allo sbaraglio qualche personaggio politico in una corrida di disinformazione, protagonismo assoldato ed insulti gratuiti. Quando mi capita di vederle lo faccio con l’interesse ad osservare un fenomeno di alienazione culturale. Con le dirette dalle piazze e le interviste con vari personaggi che non sono presenti nello studio, in trasmissioni come „Dalla vostra parte“ e „Quinta colonna“ è stato esternalizzato il ruolo dei provocatori e delle sparlate emotive di gente arrabbiata in cerca di capri espiatori. Chi conduce il programma assume una posizione di terzietà di fronte alle arrabbiature e le invettive della piazza e di alcuni esperti o interlocutori privilegiati, diventa in primo luogo un documentatore dello stato d’animo della nazione, intercalando, secondo il copione che comunque c’é, servizi ed interviste di vario tipo.

Preoccupa assistere a trasmissioni, in cui sembra prendere il sopravvento una dinamica che spinge la disputa a più voci, tra esperti, politici, e grappoli di cittadini pronti a gridare al vento i loro problemi, in una direzione di non ascolto degli altri e delle loro ragioni, di disprezzo totale delle istituzioni e della politica. Di fronte ad esternazioni che ostentano delusione e rabbia, alienazione e sgomento dinnanzi ad una società sregolata e cinica che non offre protezione, servirebbe una conduzione attenta e reponsabile. Se non sono stati preparati input sull’argomento con tanto di fatti e dati, il conduttore dovrebbe intervenire per favorire spiegazioni utili e necessarie e per sostenere i discorsi più responsabili e con spessore etico e non insistere soltanto sulle linee conflittuali. Altrimenti il risultato che ottiene è di alimentare una escalation di aggressione e di frustrazione esasperata.

Vengono colte sensazioni diffuse e reali di malcontento

Si è, quindi, aggiunto un obiettivo al format dello talk show, e cioè quello di dare voce alla gente comune, di presentare delle persone opportunamente selezionate a rappresentare il comune sentire della gente come espressione spontanea e legittima del malcontento che arieggia un po‘ dovunque in un paese dominato da pressapochismo politico, mediatico e civico e da esperienze e paure di perdita del proprio habitus di consumo e del relativo status sociale, recentemente documentata dal nuovo Rapporto Censis. „Dalla vostra parte“, sempre su Retequattro, fornisce un ottimo preliminary programm al concerto della lagnanza popolare, mostrando episodi di violenza o di torti subiti, con tanto di documentazione e di interviste ai protagonisti o alle protagoniste. In questo caladeiscopio di ingiustizie vere, presunte e comunque vissute come tali si finisce abitualmente ad incolpare i governi, i magistrati, le forze dell‘ordine o la legislazione di chiudere gli occhi davanti all’evidenza di un paese ingiusto, in cui i cittadini sono indifesi e lasciati allo sbaraglio. E bisogna prendere atto che questo format coglie sensazioni diffuse ed autentiche, al di lá della sceneggiatura drammatizzante utilizzata per accentuare il messaggio. C’è senz’altro molta gente che vive i problemi quotidiani in questo modo, sentendosi abbandonata dalla politica e dalle istituzioni, provando una frustrazione profonda perchè non sembra che ci siano strumenti a disposizione per dare una svolta alle ingiustizie, alla mancanza di legalità, alle lacune di sicurezza e di protezione nelle città e sulle strade. È la stessa gente che, quando andrà alle urne in primavera, non si ricorderà chi, nel corso della prima decade di questo secolo, aveva depenalizzato il falso di bilancio, tagliato le prescrizioni ed apportato modifiche procedurali che rendessero più difficoltosa l’azione penale ovvero aveva strizzato l’occhio ai furbetti legittimando l’evasione fiscale come un espediente naturale di fronte ad uno stato ingordo ed incapace.

Serve un rappresentante naiv dell‘establishment

In questo design di disinformazione e di disorientamento strutturale applicato alla TV come principale canale di educazione a qualcuno tocca il tentativo maldestro di provare a ragionare di fronte alle arrabbiature risaltate da una pluralità di voci della cittadinanza e di insistere testardamente a contrapporgli qualche risvolto positivo, in termini di sicurezza e di protezione dei diritti, a livello di politica e di legislazione. Questa funzione è necessaria per alimentare l’espandersi dell’arrabbiatura, inducendo gli intervistati a scagliarsi contro l‘evidente miopia sociale, aumentando man mano la dose delle invettive fino ad un infuriamento vero e proprio, tale da perdere le staffe, ottenendo anche dalla parte del pubblico televisivo un’immedesimazione nello stato emotivo dei perseguitati, dove la nube che li accompagna nella loro disgrazia, è chiaramente identificabile come politica o istituzione ovvero come la società nella sua interezza, rispetto alla quale il singolo cerca rifugio in soluzioni semplicistiche e promesse avventate. E buona parte dell‘audience lo farà, al di là del dubbio sulla loro realizzabilità. Basta che gli vengano offerte.

A chi sta avanti al televisore fa bene riconoscersi nei suoi simili in una escalation di accuse a quegli altri che sono sempre e comunque la causa di problemi e disservizi o dell’esclusione di cittadini modello da benefici assegnati in modo arbitrario ad altri che non ne avrebbero diritto. Chi si sente svantaggiato si solidarizza con chi reclama diritti, tutela e rispetto sbraitando davanti ai microfoni, non appena gli si da la possibilità di gridare al mondo il messaggio già preparato, magari dietro un cenno dell’inviato o dell’inviata presente sul posto, possibilmente rispettando il piano di regia abbozzato. Fa bene all’autostima vedere la rabbia di altri cittadini delusi nelle aspettative verso la politica e verso le istituzioni, ai quali vengono accollate tutte le aspirazioni e le pretese non realizzate. Dare una possibilità di sfogo, in una sorta di familiarizzazione della generazione dei penalizzati, predispone alla gratitudine verso l’emittente e verso i messaggi che questa trasporterà in futuro.

Sarebbe semplice non farli parlare contemporaneamente

Non importa, se il dibattito non riesce a valorizzare le argomentazioni di chi prova a ragionare ed a costruire ponti di dialogo e di comprensione reciproca. Il format è impostato su monologhi autoreferenziali e su scatti emotivi che spesso finiscono in insulti. Alcuni sono diventati professionisti del parlarsi e del gridarsi addosso, interrompendo continuamente i discorsi degli altri, scuotendo continuamente il capo di fronte all’insensatezza delle loro affermazioni, inserendosi puntualmente in quei momenti, quando questi stanno per introdurre una argomentazione degna di attenzione. Hanno imparato persino a cogliere questi momenti di confusione per spezzare la dinamica antagonista con semplici messaggi di ragionevolezza delle proprie idee di fronte agli smarrimenti degli interlocutori.

Tra ospiti in studio e collegamenti con esperti, piazze e rappresentanti dei partiti sarebbe semplice non farli parlare contemporaneamente e gridarsi addosso. È uno spettacolo nauseante assistere a questi rituali incessanti del parlarsi addosso che creano un fracasso tale che stordisce chi sta davanti alla tv. Sembrebbe opportuno cercare di riportare i protagonisti entro i binari di una dialettica civile e rispettosa di fatti ed argomentazioni valide e, soprattutto, utile per la comprensione di problematiche reali ed impellenti e per l’individuazione di soluzioni certe, eticamente e socialmente sostenibili, che tengano conto del bene comune e degli strumenti politici, amministrattivi e finanziari disponibili. Basterebbe che il conduttore intervenisse in modo pacato ed autorevole per riaffermare gli obiettivi e le regole del dibattito e focalizzare i nodi veri della questione. Ma, spesso sembra che ciò non rientri nei suoi compiti o sia la sua ambizione o che, piuttosto, stia lavorando in sintonia con la regia per accentuare la percezione di dissoluzione sociale e politica. Basterebbe che la regia spegnesse il microfono a chi non rispetta le regole dell’educazione e l’etica di un confronto costruttivo. Ma la regia spesso sembra piuttosto interessata ad acuire la confusione ed il disorientamento dei cittadini spettatori. In questo modo la conduzione di questi format di crudità civile è deresponsabilizzata e la regia funge da manovratore occulto che simula di non disporre di strumenti per intervenire ad evitare lo sfascio della civilità odierna.

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Massimo Mollica Tue, 01/23/2018 - 22:22

Sottoscrivo in pieno! E' da anni che non guardo questi programmi.
Aggiungo anche che tutta la TV commerciale (e la maggioranza è MEDIASET) non trasmette altro che ciarpame. Niente cultura, niente che abbia motivo di essere ricordato. Solo intrattenimento di poco valore, insulso. E concludo con una riflessione. Com'è la TV in Germania? Com'è in Austria? Dobbiamo tendere ad avere una TV come quella lì. Dobbiamo auspicare meno TV e più libri, più cultura!

Tue, 01/23/2018 - 22:22 Permalink