Ogni giorno

Se c’è una questione che interessa Alessandro Del Pero è la rappresentazione del Soggetto. E come tutti gli artisti che si sono occupati delle capacità proiettive anche Alessandro non rinuncia nei suoi quadri a enunciazioni di principio. Ciò ha una palese corrispondenza sia sui soggetti ritratti, sia nella disposizione delle forme che li determinano.
Intanto soffermiamoci sui soggetti. Dagli esordi la scelta Alessandro Del Pero ricade sulla rappresentazione del sé. Come da prassi ritratto, natura morta e ovviamente autoritratto convergono su una soglia specchiante la cui funzione è interrogativa ed emblematica. Ciò informa il quadro secondo una modalità assertiva e costitutiva che ne aumenta il peso specifico a carico dello Spettatore. Le immagini si propongono in forza di una fissità data e ineludibile, eppure incompleta. Della monade è assente l'elemento conclusivo, così l’epifania o la sublimazione lasciano il posto a un’inquietudine manifesta, ma non fatale che veste i panni dell'instabilità e dell'incompletezza quale condizione genetica.
Il campo in cui le immagini si presentano è sempre un ambiente privato conchiuso (uno spazio psicologico in vitrio) illuminato da una fonte nascosta alla vista. Interno e interiorità coincidono. L'intero compito di circoscrivere l'ambiente è per lo più demandato al tavolato del pavimento: un artificio prospettico e un appiglio compositivo che paga un nobilissimo tributo alla frugale “Stanza di Vincent” ad Arles. Le opere di Alessandro Del Pero condividono con il capolavoro del genio fiammingo un'inquadratura determinata a far schiantare l'esperienza psichica con la vita esterna a cui, a noi spettatori, è negata la vista, ma è concesso il gusto che filtra nella permeabilità sonora della finestra socchiusa. Ma nei quadri di Del Pero il mondo ci sorprende alle spalle. La luce entra prepotentemente in scena da una fonte che non vediamo, ma di cui intuiamo per riflesso i profili. L'evoluzione delle serie più recenti l'ha trasformata in una proiezione elidendo anche le ultime tracce – e speranze – di un naturalismo stabile e rassicurate di sapore tardo ottocentesco.
L'immagine perde la propria elezione pànica, ma in quanto elemento formalmente drammatico ne mantiene intatta la memoria. Le figure de “Il principe azzurro” o lo “Studio per un ritratto di donna” sono sculture intestinali cariche delle forze di alcune asserzioni della contemporaneità (ad esempio la scena Young British Artists), allo stesso modo la tauromachia di Alessandro Del Pero mostra un animale preda di un'eredità genetica già annunciata da Picasso. “Dipingo per vedere cosa c'è dopo” mi ha detto una volta l'artista certificando la generatività di una pratica che ci vede impegnati solo come spettatori. In altri termini l'oltre incastra la spazialità nel presente e non è possibile pensare ad un altro luogo, a un esterno che sia veramente tale. Il fondo prospettico del quadro, una tautologia della rappresentazione, è gemello dell'esteriorità evocata. Lo spazio materiale della tela, il quadro e la luce che lo bagna (lo sguardo) sono partner del medesimo principio. La loro scomposizione prospettica è pura clinica della rappresentazione il cui mediatore unico è la pittura. Il primato della più sporca fra le arti è d'altro canto certificato dai tanti omaggi che appaiono nei testi e nei sottotesti delle opere.
L'antropologia del paesaggio culturale italiano in cui è cresciuto ha consegnato a Del Pero la tradizione della pittura. Alla maestria di questa egli fa continuo riferimento come forza carsica i cui risultati superano le traiettorie della cronaca. E ad essa dedica alcune composizioni come la croce o la pietà presenti in mostra. L'esperienza spagnola prima e statunitense ora gli ha invece permesso di accedere alla migliore pittura internazionale del secolo passato. Il già citato Picasso, da cui mutua l'intuizione di una mostruosità psichica, formale e infine biologica.
A New York scopre invece gli straripamenti pittorici interpretati, ma non alla maniera di Pollock poiché la sua, di Alessandro, è materia rinascimentale, mentale. Ma al modo di Rothko, inseguendo la capacità della pittura di pulsare ed espandersi. Lo si vede nelle ombre che i quadri più recenti ci consegnano invitandoci come Spettatori nuovamente a un altro sofisticato confronto con il Soggetto.