Economy | Intervista

“2 Sì per liberare il lavoro”

La presidente del direttivo provinciale della CGIL-AGB Doriana Pavanello spiega i motivi dei due referendum sui quali si voterà nella prossima primavera.
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Doriana Pavanello
Foto: CGIL

Per la campagna referendaria la CGIL ha adottato uno slogan che recita così: “2 Sì per liberare il lavoro”. Cosa intendete dire?

La libertà che pensiamo per il lavoro è la libertà dal ricatto. A fronte dell’indebolimento della legislazione posta a tutela del lavoro si è fatta strada l’idea che sia legittimo porre il lavoratore di fronte alla scelta o i diritti o il posto di lavoro. La precarietà, in cui i voucher costituiscono la massima espressione, ci offrono un esempio molto chiaro delle degenerazioni che possono subire i rapporti di lavoro e della conseguente perdita di dignità di chi lavora. Da sempre il lavoro è stato fattore di progresso sociale, di evoluzione culturale, di mobilità sociale.  Se diventa solo una delle tante variabili del mercato e se non contrastassimo l’idea che insieme al lavoro, qualunque esso sia, anche i diritti delle persone possano subire costrizioni e arretramenti, non potremmo dire di aver lasciato a chi verrà dopo di noi una società con un futuro.

La libertà di autodeterminarsi delle persone passa attraverso la garanzia di un lavoro e di un reddito soddisfacente in base al quale progettare la propria vita. Senza il presupposto di una condizione di lavoro dignitosa, diventa anche impossibile aspettarsi una condizione dignitosa di vita.

Ci pare quindi necessario mettere uno stop alla caduta verticale dei diritti e della dignità delle persone lavoratrici. La CGIL ha proposto quindi tre quesiti referendari abrogativi. Il primo è per abolire i voucher, per dare qualche certezza in più ai lavoratori impiegati negli appalti. Mentre il secondo è per cancellare quei cavilli giuridici che impediscono l’effettiva co-responsabilità tra appaltante e appaltatore. L’ultimo quesito, purtroppo non ammesso dalla Corte Costituzionale, era stato proposto per ripristinare la tutela dal licenziamento senza giusta causa che, nella formulazione attuale, prevede la perdita del posto di lavoro anche a fronte di una sentenza che convalida l’illegittimità del licenziamento. Ma su quest’ultimo argomento non ci fermeremo. Avere giustizia è l’altro lato per uscire dai ricatti e liberare il lavoro.

 

Perché siete convinti che un eventuale successo di questi referendum possa di fatto promuovere la libertà di cui parlate? 

Intanto partiamo da una considerazione. I referendum promossi dalla CGIL sono diventati argomento di dibattito nel Paese, ma soprattutto sono tornate sotto il riflettore le condizioni di lavoro delle persone. I voucher sono diventati argomento di ripensamento della politica e del governo. Dunque un effetto lo abbiamo già ottenuto. Improvvisamente il lavoro povero, bistrattato e senza diritti è entrato nel dibattito politico; non succedeva da anni e ciascuno ha potuto anche rendersi conto degli effetti dannosi e inconcludenti che ha avuto il Jobs Act. Parimenti il Parlamento si sta occupando di modifiche al codice degli appalti e si sta riflettendo, forse in maniera più seria, di clausole di protezione sociale da recepire nella legge.  E questo senza aver ancora votato. Se si affermassero i Sì con un quorum pieno, avremmo dato un bel contributo per fermare la deriva dei diritti e per dare una svolta alle attuali politiche sul lavoro.  

 

Si parla molto del quesito per abolire i buoni lavoro, ma sul secondo referendum, quello sulla responsabilità solidale, si registra invece un’attenzione minore. Nello specifico in cosa consiste il quesito sugli appalti e cosa riproponete di ottenere?  

Di appalti si parla prevalentemente soprattutto se sono oggetto di indagini della magistratura. Si tratta di un settore in cui il malaffare purtroppo è di casa intrecciando malavita, interessi particolari, voto di scambio e tutto quanto la cronaca giudiziaria periodicamente ci racconta. Ma ormai appaltare è diventata una modalità di organizzazione dell’impresa in tutti i settori e purtroppo anche nel settore pubblico. Per cui molto spesso troviamo persone che svolgono lo stesso lavoro, ma con diverse retribuzioni e diritti perché uno è un lavoratore in appalto e l’altro ha un contratto pubblico.   Il quesito è abrogativo e quindi chiediamo agli elettori ed elettrici di mettere un SI per cancellare un articolo di legge che di fatto impedisce o rende oltremodo difficoltoso rivalersi sull’ente o l’impresa che ha affidato l’appalto nel caso in cui la ditta appaltatrice o subappaltatrice, fallisca o non paghi ai lavoratori stipendi, contributi, TFR.  Di questi casi ce ne sono migliaia: ditte o cooperative che nascono apposta per prendere un appalto e che poi improvvisamente spariscono o falliscono lasciando i lavoratori in mezzo alla strada. Per poi scoprire che gli stessi personaggi ricostituiscono da qualche altra parte un’altra cooperativa o un’altra ditta con diversa ragione sociale per gareggiare in qualche altro appalto magari al massimo ribasso e ricominciare il gioco. Allora, oltre che a offrire maggiore tutela a chi lavora negli appalti, quel semplice Sì otterrebbe pure l’effetto di responsabilizzare chi affida un appalto a scegliere bene l’operatore economico al quale consegnare servizi o lavori. Sarebbe una modalità per premiare le aziende serie e professionali, per operare una selezione nel settore degli appalti, per spostare la competizione tra imprese sulla base della qualità e affidabilità dei servizi e prestazioni offerte e non sul massimo ribasso delle condizioni retributive e di lavoro dei dipendenti.

 

Qual è oggi la condizione dei lavoratori degli appalti in provincia di Bolzano? 

Da noi ancora clamorose indagini della magistratura non ce sono state, anche se qualche caso si è già verificato. Comunque  la bassa o scarsa frequenza di casi di manifesta illegalità  non ci deve far abbassare la guardia sulla possibilità che si verifichino infiltrazione malavitose. Invece dalla cronaca e dalla nostra esperienza apprendiamo che le condizioni di lavoro negli appalti non differiscono di molto da quelle del resto del Paese. Abbiamo seri  problemi soprattutto nei cambi di appalto, ossia quando  una ditta perde la commessa e ne subentra un’ altra che ha vinto la gara per un costo minore. Fenomeno che si registra in misura notevole ad esempio nei servizi, anche in quelli alla persona, o nella logistica. Ogni cambio d’appalto lascia una ‘scia di sangue’, posti di lavoro e salari che si riducono, oppure - sempre per ritornate ai ricatti - cessione di diritti e demansionamenti in cambio del posto di lavoro. Non dimentichiamoci che stiamo parlando di persone, di famiglie e di aspettative di vita. E di un costo del lavoro che si aggira attorno ai 5/6 euro all’ora. La nuova legge provinciale in materia di appalti che recepisce la direttiva europea avrebbe potuto inserire qualche paletto per tutelare questi lavoratori, ma volutamente si è scelto diversamente, nonostante le nostre insistenze. 

 

Lo strumento referendario è inusuale per un sindacato. Perché in questa occasione la CGIL ha deciso invece di utilizzarlo, appellandosi per una volta a tutti gli elettori ed elettrici?

Premetto che noi crediamo fermamente nello strumento della democrazia diretta. Nel nostro agire e quando sono in ballo scelte programmatiche viene sempre attivata la consultazione e il voto degli iscritti e dei lavoratori e lavoratrici. E’ stato così anche per promuovere i referendum. Si sono svolte migliaia di assemblee nei posti di lavoro per chiedere l’approvazione di questa iniziativa confortata poi dalla raccolta di 3 milioni di firme che l’hanno sostenuta. Abbiamo presentato anche un’iniziativa di legge popolare per i diritti universali del lavoro e nel lavoro legati a diritti soggettivi applicati a tutti e tutte, indipendentemente dal luogo in cui si lavora, dal contratto che si ha, se si è lavoratori autonomi, a tempo determinato, indeterminato, co.co.co. oppure occasionali. In breve abbiamo rimesso in capo alla persona un bagaglio di diritti individuali inalienabili ed esigibili che ciascuno potrà portarsi oltre la porta dell’ufficio, fabbrica o cantiere. Abbiamo proposto una grande opera di unificazione tra garantiti e non garantiti. Parlare di diritto alle ferie, al riposo, alla maternità, di un salario equo e di un orario settimanale definito e tanto altro può sembrare scontato, ma in molte realtà di lavoro è una vera rivoluzione e consapevolmente 1 milione e 300 mila  persone hanno sottoscritto la nostra proposta di legge.

Sul piano politico è vero: non abbiamo mai usato lo strumento referendario. Magari abbiamo appoggiato e sostenuto altri referendum, ma finora la storia non ci aveva ancora visti come diretti promotori. Ma ci siamo anche detti che di fronte alla caduta libera dei nostri diritti non potevamo agire sono in difesa e che bisognava iniziare a mettere delle palizzate. Per farlo abbiamo dovuto iniziare proprio dai più poveri e dagli ultimi, voucheristi e lavoratori dagli appalti,  chiedendo a tutto il Paese un Sì per dare  una svolta migliorativa e radicale alle fallimentari politiche del lavoro attuate negli ultimi vent’ anni.