Sports | Inclusione

"Streetworker e boxe mi hanno salvato"

La splendida storia di Youssef Al Mourchid: i problemi a scuola, le risse in strada, i tribunali, l'incontro con un educatore, il pugilato, il lavoro all'Aias e il titolo italiano. Ora è diventato un professionista.
Youssef Al Mourchid
Foto: Othmar Seehauser per SALTO
  • Sulle proprietà salvifiche della boxe sono stati versati fiumi di inchiostro e girati chilometri di pellicole in tutte le lingue del mondo. Del resto, molti dei pugili più forti di tutti tempi avevano un passato da ragazzi difficili strappati alla strada. La storia di Youssef Al Mourchid, 23enne nato e cresciuto tra San Genesio e Bolzano, è in questo senso paradigmatica: nel giro di quattro anni il ragazzo da boxeur des rues è diventato pugile professionista.  

  • (c) SALTO

  • Finito nei guai diverse volte durante l’adolescenza in particolare per una serie di risse, Youssef viene in contatto con uno streetworker che riesce ad aprire un canale di comunicazione con lui. Dopo essere stato protagonista di un video di un incontro clandestino nei cortili delle case popolari nel quartiere Don Bosco, il ragazzo, in libertà vigilata, viene convinto dall'educatore ad entrare in una palestra di boxe. L'associazione gli paga l’abbonamento e Youssef dimostra da subito il suo talento, in tre anni cambia completamente pelle e diventa campione italiano dei 60 kg. La sinossi di un film, praticamente. Anzi, tenendo conto che il suo maestro è Francesco Nicotera, forte pugile bolzanino che nel 1993, a 26 anni, nel pieno della maturità atletica fu costretto a chiudere la carriera per un problema medico mentre si trovava al secondo posto della classifica italiana, al quarto in quella europea ed al settimo in quella mondiale, ci sarebbe materiale per una mini-serie su Netflix. 

    Youssef ha da poco disputato e vinto il suo primo incontro da professionista. Il secondo è in programma il 6 ottobre a Milano. Occhi bassi e aria tranquilla, quando fa il suo ingresso nella palestra di viale Trieste il ragazzo sembra uno dei tanti. Alla spicciolata arrivano gli altri agonisti, il giovane pugile si mette alla testa del gruppo che inizia a correre intorno al ring per il riscaldamento. E’ lui a dettare i tempi degli esercizi. 

  • Riscaldamento: Youssef guida il gruppetto di ragazzi nei primi minuti di allenamento Foto: Othmar Seehauser per SALTO
  • Quando prende la corda già si vede la differenza dai compagni: sguardo perso nel vuoto, saltelli velocissimi con funambolici cambi di ritmo, variazioni nell’inclinazione delle gambe, incroci con la fune e figure geometriche vertiginose. 

  • Funambolico: Davvero impressionante il modo in cui Youssef salta la corda. Foto: Othmar Seehauser per SALTO

    Un minuto per riprendere fiato e dopo il rito del bendaggio delle mani il maestro aiuta l’allievo a stringere i lacci dei guantoni. Già mentre prende a pugni il sacco, lo sguardo di Youssef si trasforma, entrando in modalità “falco a caccia della preda”. Il gioco di gambe e gli ondeggiamenti con la testa disorientano e le sequenze di jab e ganci risuonano potenti nella palestra. Quando è poi il momento di salire sul ring per fare “allenamento di figura” la trasformazione dei suoi lineamenti in modalità combattimento è completa. Nicotera suggerisce le sequenze muovendo i paracolpi e Youssef va a segno con grande forza e movimenti fulminei in una sorta di danza ritmata. 

  • Altra piccola pausa ed è il momento della chiacchierata a sei occhi. Fuori dal quadrato lo sguardo di Youssef torna timido e sorridente. “Le mie sorelle – racconta -  sono nate in Marocco, io invece sono nato a Bolzano, mia madre arrivò qui che era incinta. I primi anni abbiamo vissuto a San Genesio e poi ci siamo trasferiti a Don Bosco. Ho frequentato le scuole tedesche fino alla terza media. Poi alle superiori … , alle superiori ho cambiato tre volte, e ad un certo punto ho lasciato”. “E poi due anni fa abbiamo convinto a riprendere la scuola – interviene Nicotera – e facendo le serali dopo l’allenamento si è diplomato in ragioneria”. In uno splendido mini documentario della serie Zona protetta (episodio 10 assolutamente da vedere su Raiplay) Youssef racconta che il suo maestro per lui è diventato una specie di secondo padre e questa dinamica relazionale viene fuori continuamente nel gioco di sguardi tra i due. 

    Youssef nel documentario fa capire di avere avuto grossi problemi di inserimento nella scuola tedesca e di essersi sentito isolato in quanto straniero. Ora, per spiegare la rabbia che gli covava dentro, preferisce stare sul generico. “Come mai ho lasciato? Non mi trovavo bene a scuola, avevo un sacco di energia, non riuscivo a stare seduto al banco come gli altri. Andavo spesso in conflitto con gli altri ragazzi, frequentavo amici che mi incoraggiavano a fare le cose sbagliate.”. “Era una testa calda”, sintetizza il maestro. “Non andando a scuola ero spesso in giro e quindi facilmente mi sono trovato nei casini, soprattutto risse. Ero seguito dagli assistenti sociali e vedevo regolarmente, per lo più nel tribunale dei minorenni, questo streetworker di nome Stefano che lavorava per il Forum prevenzione. Facevamo due chiacchiere e mi diceva regolarmente: “Visto che fai spesso risse, perché non fai boxe?” Fino a che, quattro anni e mezzo fa, non mi ha proprio accompagnato in palestra grazie a un progetto tra Boxe Nicotera e Forum Prevenzione. Io ero in libertà vigilata con messa alla prova e dovevo venire in palestra tre volte alle settimana e svolgere lavori socialmente utili. E da lì è cominciato il mio percorso”. 

    Con il passare del tempo le sessioni in palestra aumentano e Youssef impara a convogliare la propria rabbia sul ring e, progressivamente, riesce anche a dominarla.“Ora mi alleno quasi tutti i giorni, solo d’estate un po’ meno, ma faccio potenziamento al mattino, allenamento nel pomeriggio. Il pugilato è la mia vita, il lavoro fisico non mi pesa per nulla. Anzi, sento che è una cosa che non posso non fare”. “Non riesce a stare senza allenarsi, quando la boxe ti entra nelle vene, è così”, commenta il maestro con un sorriso soddisfatto, e aggiunge: “Quando è arrivato si è visto che aveva talento, ma con la testa che aveva non si sapeva dove sarebbe potuto arrivare. Con gli assistenti sociali negli anni sono passati di qua in tanti e solo pochi sono andati avanti. Il lavoro sulla testa richiede un processo abbastanza lungo ma lui ce l’ha fatta. I primi match li perdeva per squalifica, perché portava i colpi in modo non regolare, e perché aveva molta foga, quasi fosse una rissa di strada. Ci ha messo un po’ a fare sue le regole del pugilato, ad essere disciplinato, a ragionare sul ring, ad avere cattiveria sportiva e non cattiveria. Ci è voluto praticamente un anno, ma poi l’ha capito”. Il talento è poi venuto fuori e i risultati sportivi pure. “Nel pugilato – spiega Youssef -  impari molto più dalle sconfitte che dalle vittorie. Nel campionato debuttanti ho perso il primo match, la seconda volta ho perso in semifinale e la terza l’ho vinto. Poi agli assoluti ho perso e ho fatto bronzo ….” – “Ecco – lo interrompe ridendo Nicotera – per lui fare bronzo è aver perso … In realtà ha avuto risultati molto buoni, ha preso un argento in Francia, un oro in Spagna, un oro in Bosnia con la nazionale italiana, ha vinto un Round Robin, ha vinto con la nazionale contro il Belgio, insomma, in 65 match disputati di risultati ne ha fatti parecchi. Di qui la scelta di avviarlo al professionismo”.

  • Allenamento di figura: Youssef colpisce e il maestro para Foto: Othmar Seehauser per SALTO
  • Ma cosa vuol dire per Youssef salire sul ring? “E’ una cosa che ormai ho fatto così tante volte che non so rispondere. E’ parte della mia vita, ne ho bisogno, sento che la boxe mi rappresenta. Per tanto tempo ho combattuto con spirito di rivalsa e di rivincita. Ora invece lo faccio perché sto bene e basta. Vorrei davvero che questa diventasse la mia professione-professione”.

    La vita di strada è ormai un lontano ricordo e di baby gang Youssef non vuol sentir parlare. “E’ un termine che usano i media  - dice – per attirare l’attenzione del pubblico. Ci sono ragazzi che fanno delle ragazzate, ma non sono gang, non sono associazioni a delinquere. Se rivedo i vecchi amici? Bolzano è piccola, qualcuno con cui lo reincontri, qualcuno ha preso una brutta strada, altri no”.

    Fino all’anno scorso il campione bolzanino ha lavorato come segretario e ragioniere all’Aias, storica associazione bolzanina che lavora per migliorare la qualità della vita dei giovani con disabilità e delle loro famiglie. “Ho fatto anche l’accompagnatore nelle gite in montagna, e ho lavorato anche con i ragazzi in palestra spiegando loro la boxe. Un’esperienza molto bella, molto forte. Si è creato un bel rapporto con loro.  Alcuni quando li incontro mi abbracciano con calore. Forse è brutto da dire, ma esperienze di questo tipo ti fanno capire quanto sei fortunato e le difficoltà che vivono i genitori, perché un conto è fare un’ora di boxe in palestra, un altro è crescere i ragazzi giorno per giorno”. Nicotera annuisce orgoglioso. 

    Tra qualche mese Youssef Al Morchid salirà dunque per la seconda volta sul ring da professionista. Che prospettive ha il ragazzo? “La sua miglior dote – spiega Nicotera – è la velocità, solo che la sua boxe è molto dispendiosa ed è più adatta al dilettantismo. Per il professionismo dobbiamo cambiare qualcosa, deve imparare a muoversi meno e solo quando serve e a stare più vicino all’avversario. Poi stiamo lavorando sulla resistenza perché si passa dalle 3 alle 4 o anche 6 riprese e sul potenziamento per aumentare il peso dei colpi. Con il professionismo cambiano i bendaggi delle mani, cambiano i guantoni (quelli nuovi attutiscono meno i colpi, ndr) e quindi ogni pugno può essere pericoloso”.

    Ecco, appunto. Piccolo inciso: vedere la boxe dal vivo è un’esperienza da fare. La specie di squittio prodotto dai guantoni che arrivano a segno coincide anche con un “pam” che rimbomba per bene nella palestra dopo aver magari girato la faccia del pugile. Senza il filtro dello schermo televisivo, non serve essere granché empatici per immaginare l’effetto di quei colpi su di sé. E alla fine dell’incontro, quando l’arbitro alza il braccio del vincitore, indipendente da chi si tifa, non si può che provare ammirazione per entrambi i contendenti. Spesso può capitare che il vincitore abbia la faccia gonfia e tumefatta alla Rocky Balboa e forse per lui il sapore dolce della vittoria attutisce il dolore delle botte prese. Ma il povero perdente? E’ di fatto un piccolo “eroe” senza gloria. 

  • Maestro e allievo: Francesco Nicotera e, di spalle, Youssef Al Mourchid Foto: Othmar Seehauser per SALTO

    “Anche chi vince – osserva Nicotera – prende molti pugni. Per questo la boxe non è uno sport per tutti. Su cento ne viene fuori uno molto bravo, e un altro buono. Ma in tanti si sono arrabbiati con me e sono andati in un’altra palestra perché secondo me non erano pronti per salire sul ring”. 

    Per fare boxe a livello medio alto ci vuole una grande passione, perché di soldi se ne vedono pochi. “Di pugilato a questo livello non si vive. Un atleta che diventa campione europeo vince 50.000 euro, e gliene restano poi 35. Se diventi campione mondiale poi arrivano bei soldi, ma bisogna tenere conto che questi titoli importanti li difendi di solito una volta all’anno”. “La cruda realtà – aggiunge Youssef -è che di pugilato non si vive se non arrivi in Serie A. Non è come nel calcio. Da noi c’è la Serie A e chi prova ad entrare in Serie A, non ci sono vie di mezzo. Io sono qui per provarci, non ho fretta, lavoro più che posso, ma voglio provare a entrare nella Serie A. Il mio “titolo mondiale” ora è l’incontro del 6 ottobre, ora penso a quello. Dopo quell’incontro penserò al successivo, non voglio pormi obiettivi. Il mio sogno? Beh, il mio sogno è quello di tutti, conquistare la cintura verde del titolo mondiale”. 

    Dopo anni un po’ bui la boxe, in Italia e nel mondo, sta di nuovo riconquistando popolarità. “Ora ci sono le Olimpiadi – conclude Nicotera - se l’Italia vince qualche medaglia poi si vede subito che i ragazzi arrivano in palestra. Anche gli eventi che organizziamo funzionano molto bene per trovare nuovi atleti. E’ un buon momento per la boxe, speriamo di crescere ancora”. Ci vorrebbe un Sinner per riempire le palestre ovunque. “Sì, esatto, ci vorrebbe un Sinner” dice Youssef.