Environment | Global Warming

Sono pericolosi i cambiamenti climatici?

Dipende dalla loro velocità e dalla nostra resilienza.
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Foto: @Nicola Arrigoni

[di Ernesto Crescenzi]

La maggior parte degli studiosi ritiene che i dati disponibili siano ormai in numero sufficiente per poter  sostenere che il global warming, il riscaldamento globale, è in corso; ed anche che la sua causa principale è di origine francamente antropica. In questo articolo ci si astiene dalle cause e ci si  sofferma sugli effetti.

Il susseguirsi di anni mediamente più caldi, l'accadimento di fenomeni naturali caratterizzati da un marcato aumento dei valori, a seconda dei casi, di intensità (ad es. vento e pioggia), di cumulata (ad es. pioggia), di durata (ad es. ondate di caldo), appare perfettamente compatibile con tale fenomeno.

In diversi casi, si è purtroppo assistito ad effetti localmente dannosi o disastrosi, per le persone e per i beni antropici ed anche per quelli naturali-ambientali, come le foreste. In Europa ed Italia, questo ha portato la comunità scientifica a riflettere sulla resilienza (capacità di adattamento) delle nostre comunità. Nel seguito, si propone una breve riflessione geologica sul tema.

La geologia ha alcuni principi fondamentali; quello in assoluto più importante fu dichiarato da Charles Lyell, nel 1830: “il presente è la chiave (di interpretazione) del passato”, principio che va congiunto, mano a mano che aumentano le conoscenze scientifiche su quello che è avvenuto in passato, al suo opposto: il passato è la chiave di interpretazione del presente. Per questo motivo, conviene esaminare qualche brandello di storie passate del nostro pianeta e provare a trarne qualche spunto o insegnamento.

La prima informazione di cui tenere conto è che sul nostro pianeta, le oscillazioni climatiche non sono affatto una novità. Il clima ha subito variazioni (più freddo o più caldo) da sempre. Sulle Alpi questo fenomeno è stato particolarmente evidente, a causa della crescita o del ritrarsi dei ghiacciai, un tempo molto più estesi (vedi ad es. le grandi morene che si spingono fino nella Pianura padana), e di cui all'attualità si teme la inesorabile, forse anche rapida, scomparsa.

Anche nel resto d'Europa e nei mari circostanti le oscillazioni climatiche del passato hanno comportato variazioni rilevanti; ciò, in taluni casi, a causa del raggiungimento di condizioni climatiche ben più calde di quelle che stiamo iniziando a sperimentare. Un esempio tra tanti: tra i reperti del Museo di Paleontologia dell'Università della Calabria compaiono delle belle conchiglie di Strombus bubonius, un animale marino (gasteropode) considerato un ospite caldo, ovvero un animale che oggi vive in climi ben più caldi dei nostri (lo si trova in Africa: Senegal); riuscì a  diffondersi lungo le coste meridionali del Mar Mediterraneo, durante uno dei periodi climatici caldi del passato.
 

 

I periodi caldi in cui lo Strombus venne a vivere lungo le coste calabresi e pugliesi (uno si ebbe luogo circa centoventimila anni fa) appartengono all'epoca geologica detta Pleistocene; questi periodi caldi furono caratterizzati da un livello del mare più alto di quello attuale, secondo alcuni sei metri più alto, secodo altri anche un po' di più. Quindi, se gli scienziati temono un aumento, entro i prossimi cento anni, dell'altezza del mare di quasi un metro, il passato ci insegna che tale altezza non è affatto la massima che il mare potrà raggiungere2.

Come reagirono le specie viventi ad un innalzamento di sei metri del livello del mare, ed al notevole contestuale aumento delle temperature ? La loro capacità di reazione variò molto e dipese dalle loro caratteristiche. Risultarono vincenti, in genere, quelle che riuscivano a spostarsi più facilmente nei luoghi ad esse adatti.

I molluschi marini, per esempio, possono avere una larva bentonica (che si attacca subito al fondo e si sposta di poco), oppure una larva planctonica (che viene trasportata dalle correnti e si sposta di più – il c.d. stadio veliger, che dura anche qualche settimana): durante le oscillazioni climatiche le specie con larva planctonica riuscivano a spostarsi più in fretta, e risultarono resilienti, capaci di adattarsi ai cambiamenti in corso, andando a popolare per prime le nuove aree a loro adatte3.

Nelle splendide pareti delle Dolomiti (ed in altri depositi carbonatici, composti cioè da cristalli di calcite o di dolomite: rocce dette rispettivamente calcari o dolomie) abbiamo invece rappresentate specie vegetali ed animali che non si spostavano facilmente: specie degli ambienti di scogliera, di piattaforma o di piana tidale, poco capaci di adattarsi ad altri ambienti ed incapaci di spostarsi velocemente4. Oggi troviamo situazioni simili nelle scogliere coralline, alle Bahamas.

Molte specie avevano necessità di vivere abbastanza vicino al pelo dell'acqua ed anche che l'acqua marina non fosse torbida (come avviene ai piccoli polipi dei coralli che formano le odierne scogliere coralline). Alcuni organismi viventi di questi ambienti non potevano vivere in ambiente emerso; alcune specie vivevano in ambienti poco profondi che andavano periodicamente in secca.

Tutte queste specie erano legate ad tipo di ambiente molto particolare, relativamente poco diffuso, fragile. Il fenomeno di scomparsa degli ambienti di piattaforma o di piana tidale nelle Dolomiti è osservabile in diversi casi: corrisponde alla zone dove le formazioni rocciose carbonatiche (ad es. Formazione di Contrin, Dolomia dello Sciliar, Dolomia Cassiana, Dolomia pincipale - Hauptdolomit) terminano, per essere sostituite verso l'alto da rocce di diversa natura.

Vi è ora da chiedersi in quale gruppo di specie convenga inserire l'uomo, se tra quelle resilienti e capaci di spostarsi o affrontare il cambiamento o tra quelle poco mobili e più a rischio.

Senz'altro, i singoli individui umani sono mobilissimi; ed infatti gli uomini popolano tutto il globo. Ma se, si considera l'uomo assieme al suo ambiente, assieme alla sua civiltà (Kultur), che è intimamente legata al costruito umano ed ad una dimensione cittadina, sociale o comunale, ci si rende conto che tanta mobilità in fondo non c'è.

Il costruito umano (vedi ad es. le piramidi egiziane) non si sposta per niente. La città, o il paesino, sono il nostro ambiente, le nostre scogliere coralline, da esse la nostra civiltà non può prescindere.

Gli spostamenti dei centri abitati sono spesso impediti da limiti fisici, come il livello del mare e le zone caratterizzate da rischio idrogeologico troppo elevato. Soprattutto in Italia ed anche nel resto delle Regioni alpine, che costituiscono un'area particolarmente soggetta a fenomeni quali frane, erosioni, alluvioni, valanghe, l'uomo civilizzato trova dei notevoli limiti, in termini di resilienza, quando resilienza significa spostarsi velocemente altrove.

 

Di civiltà che sono morte ne conosciamo tante, da quelle della Mezzaluna fertile a quelle sudamericane. Di molte resta solo il costruito: proprio come accade con le scogliere delle dolomiti. Ricordiamo anche che quando i Longobardi giunsero a Ravenna, essi abitarono il costruito umano e ammirarono i  mosaici dei predecessori, la cui società nel frattempo era scomparsa per sempre.

Ecco perchè, mentre i cambiamenti climatici iniziano ad accelerare, occorre operare una profonda riflessione, che porti:

  • alla valorizzazione e migliore organizzazione degli spazi vivibili sicuri esistenti, rassegnandosi ad avvalersi delle informazioni scientifiche, a volte scomode ma quasi dappertutto disponibili, sulla distribuzione delle aree a rischio idrogeologico, che vanno assolutamente evitate o abbandonate o, al limite protette da idonee opere di difesa attiva e passiva, che tengano conto della circostanza che i fenomeni attesi saranno mediamente peggiori di quelli finora verificatisi;
  • a riconoscere l'opportunità di investire risorse ed energie nel ripopolamento di aree abbandonate e depresse, che non possono essere dimenticate, in quanto questo creerebbe nel tempo ulteriori gravi problemi, anche “a valle”: occorre investire sulla sicurezza della montagna;
  • ad individuare, almeno lungo i principali corsi d'acqua, delle aree di rilevante estensione, che fungano da cassa di espansione delle piene, e che si potrebbero utilizzare anche per stoccare o raccogliere acqua potabile ed ad uso irriguo (le piogge sono sempre più intense, mentre si assiste a lunghi periodi secchi; gli apporti nevosi sono infine meno diffusi e meno persistenti, con conseguente rischio di piena in caso di scioglimento repentino di grandi masse nevose).
  • ad uno sforzo verso lo sviluppo di una resilienza di comunità, e non dei singoli, i quali potranno sempre “migrare” altrove, perdendo però la propria connotazione culturale e sociale, che davvero lo descrive come essere umano, e lo lega ad una terra, ed alla quale tanti sono giustamente affezionati.

Ogni iniziativa degli organismi pubblici in tal senso, tesa alla resilienza, va appoggiata. Il rischio dell'immobilismo, rispetto ai cambiamenti climatici in arrivo, è quello di perdere la partita, non come individui della specie umana ma come società, comunità umana nella quale ci riconosciamo: la storia ci insegna che solo coloro che hanno affrontato coraggiosamente e sollecitamente il cambiamento sono riusciti a salvarsi.

 

 

Letture consigliate:

  • Behringer, W. (2010) Kulturgeschichte des Klima. Von der Eiszeit zur globalen Erwärmung. Verlag C.H. Beck oHG, Muenchen – Traduzione italiana (2013) Storia culturale del clima. Bollati Boringhieri, Torino.
  • Bosellini, A. (1996) Geologia delle Dolomiti. Traduzione tedesca (2005) Geologie der Dolomiten. Athesia, Bolzano.
  • Brügel, E. (1985) Pflanzen und Bäume Christophorus Verlag, Freiburg i. Br. ISBN: 9783419528532.
  • European Environment Agency - Climate change adaptation and disaster risk reduction in Europe. Enhancing coherence of the knowledge base, policies and practices. EEA Report No 15/2017 - Publications Office of the European Union, Luxembourg. ISSN 1977-8449.
  • Geologische Bundesanstalt - Der Alpenraum zum Höhepunkt der letzten Eiszeit: “eiszeitkarte.pdf” Sito: www.geologie.ac.at.
  • Malatesta, A. (1985) Geologia e paleobiologia dell'era glaciale. La nuova Italia Scientifica, Roma.
  • Penck, A. (1885) Die Eiszeit in den Alpen. Ver. zur Verbr.naturwiss. Kenntnisse, download unter www.biologiezentrum.at.
  • Traverso, O. (1990) Botanica orticola. (Ristampa di un volume del 1926) Calderini, Bologna.
  • Sito: it.wikipedia.org – de.wikipedia.org.
  • Sito: www.climalteranti.it.
  • Sito: www.ladinia.it/de/informationen/490/ladinia/geologie-der-dolomitenwww.ladinia.it/it/informazioni/490/ladinia/geologia-delle-dolomiti.