Politics | Iran e Siria

L'informazione che rende liberi

Qual è lo stato dell'informazione in Siria ed Iran, due paesi nei quali prevale la censura e l'impossibilità di esprimere o comunicare liberamente il pensiero? Ne hanno discusso a Bolzano giornalisti ed esperti impegnati sul difficilissimo fronte mediorientale.

Nella sala di rappresentanza del Comune di Bolzano si è svolta ieri sera (20 febbraio) una tavola rotonda dedicata al tema dell’informazione in due paesi costantemente al centro dell’attenzione geopolitica mondiale, anche e soprattutto in virtù della loro complessità e turbolenza: l’Iran e la Siria. All’incontro, moderato dal sociologo di origini irachene Adel Jabbar, hanno preso parte l’iraniano Taghi Rahmani (insegnante, giornalista, attivista per il riconoscimento dei diritti umani nel suo paese e marito di Narges Mohammadi, vincitrice del Premio Langer 2001), Ahmad Rafat (giornalista e autore di diversi volumi sulla situazione politica iraniana) e Susan Dabbous (giornalista free-lance italo-siriana, vincitrice nel 2013 del Premio Internazionale per la Libertà di Stampa Information Safety and Freedom-Città di Firenze).

Il discorso intrecciato dai relatori si è soffermato essenzialmente su due temi: l’importanza del sostegno dato dalla società civile occidentale ai movimenti libertari che, in condizioni difficilissime, stanno tentando di incrinare la crosta del potere che governa i loro paesi d’origine, e – contestualmente – il ruolo che le nuove tecnologie, amplificate dal Web, hanno già dimostrato di poter svolgere nell’affermazione di questa causa.

Esempio indimenticabile di ciò – come ha ricordato Ahmad Rafat – la vicenda di Neda Agha-Soltan, l’attivista iraniana uccisa durante le proteste degli oppositori al governo del presidente Ahmadinejad, allorché, nel 2009, egli scatenò una durissima reazione contro i sostenitori di Mir Hosein Musavi, il reale vincitore delle elezioni presidenziali. La morte della ragazza – ripresa con i cellulari da chi assistette alla scena e diffusa quasi in tempo reale in tutto il mondo – scatenò un’ondata d’indignazione e solidarietà senza precedenti. Parimenti, Susan Dabbous ha ricordato con commozione l’atmosfera di speranza e di cambiamento associata alla stagione di aperture politiche che, in Siria, si sviluppò tra la morte del presidente Hafez al-Asssad e l’avvento al potere del figlio Bashar. Un’apertura, quella della cosiddetta “Primavera di Damasco”, subito smentita dall’irrigidimento degli apparati di potere consolidati, ma non per questo capace di spegnere la volontà di continuare a lottare nella direzione intravista. Ancora una volta il richiamo al ruolo della “società civile” e la fiducia in un’informazione orientata alla verità – ha concluso Dabbous – possono convincerci che vale la pena impegnarsi, ovunque, per cambiare lo stato di cose e poter aspirare così a qualcosa che dalle nostre parti, nel presuntuoso Occidente, è purtroppo diventato solo un concetto retorico: la libertà.