Chronicle | media & movimento

Disservizio pubblico.

I quotidiani italiani, anziché raccontare i fatti, li interpretano a piacere. In una democrazia già soggetta all'analfabetismo “di ritorno” e alla disinformazione televisiva, la politica non fa altro che specchiarsi nella sua rappresentazione mediatica. E i 5Stelle?

Martedì scorso, il neo-responsabile comunicazione del M5S Claudio Messora ha annunciato il silenzio stampa tramite un post eloquente, “L’esercito dei spalamerda”: «Certi giornali usano i titoli come manganelli, per asserire ciò che vogliono, senza nessun aggancio con la realtà». Il capogruppo al Senato del M5S rincara la dose: «I giornalisti mi stanno veramente sul cazzo». Corregge il tiro Federico Pizzarotti, sindaco “a cinque stelle” di Parma:

«Il sistema non premia l'impegno di tanti giovani, che potrebbero approfondire se guadagnassero cifre decorose: con 5-10 euro a pezzo, capisco non possa uscire il premio Pulitzer dell'approfondimento. A domande critiche ma documentate, rispondo volentieri. Non tollero una visione morbosa, la faziosità spinta e di partito, i giornalisti ovunque».

Il giornalismo italiano svolge dignitosamente il mestiere di quarto potere indipendente? La risposta è semplice: quasi mai. Salvo rare e lodevoli eccezioni – i programmi d'inchiesta, gli inserti culturali  oltre a qualche firma sparsa –, il tentativo di orientare più che informare l'opinione pubblica è macroscopico, come dimostra la passata (perenne) campagna elettorale. Qui l'informazione non si comporta da canale equidistante per il confronto tra leader, bensì da protagonista dello stesso, che promuove colpi di scena utili solo alla spettacolarizzazione della politica. Qualche esempio? L'adesione di alcune testate (tutt'altro che disinteressata) al vocabolario di Mario Monti, sudditanza che già contraddistinse il “governo dei tecnici” (e dei sacrifici) ed esplosa con la “salita in politica” del Presidente del Consiglio – che sostituiva la “discesa in campo” di Silvio –, accompagnato da una fitta “agenda”, dalla cd. “società civile” e da fiumi d'inchiostro ad ogni tweet del professore, uscito poi molto ridimensionato dalle urne. Mentre il paese è agonizzante, tv e giornali inseguono l'ansia al cardiopalma per l'altalena totalizzante dei sondaggi, con titoli di apertura sulla presunta “rimonta” del Pdl, favorita persino da Balotelli: profezie che s'autoavverano. Intanto a “Servizio Pubblico” c'è B., la sedia di Travaglio, il video di Angela Merkel spazientita dal Cavaliere che millanta una telefonata di Erdogan – e nessuno in studio ricorda la smentita turca.

Lo “tsunami” di Grillo spazza via ogni certezza, spiazzando le redazioni. L'imprevisto conferma quanto gli opinion-maker fossero avulsi dalla realtà. Parte la caccia al grillino: senatrici e deputate/i del Movimento 5Stelle diventano come per magia “cittadine/i” (così si definiscono) oggetto di derisione e trabocchetti, quasi per ripicca verso l'ostilità del M5S per televisione e carta stampata. «What do you like less, the political parties or the media?» domanda Time a Grillo, che risponde: «The worst is the media. Maybe the regional papers are ok. But those that shape public opinion, seven television stations and three newspapers, they’re inside the system». Come segnala Luca Sofri, la stessa intervista è ripresa malamente dal Corriere della Sera, scatenando l'ira dell'autore Stephan Faris. Il giornalista ritwitta un articolo del 2009, “Italy's Newspapers: Untrusted Sources”. Consuetudine vuole che retroscenisti “di professione”, per alimentare il gossip politico, inventino di sana pianta interi virgolettati. Pezzi palesemente infondati, senza rettifica, strumentalmente citati pure dal blog di Grillo. Il problema dell'informazione italiana, quindi, non è solo lo strapotere editoriale di Berlusconi. La responsabilità di tutti i media sullo stato della democrazia è notevole. Non c'è dovere o libertà d'informazione che tenga senza imparzialità – il che non significa assenza d'opinione, ma equilibrio ed obiettività –, mentre in Italia si disinforma alterando od oscurando la realtà. La coscienza di molti “commentatori” (senza far nomi: parlano i fatti) è decisamente sporca.

Bell'articolo. Sinceramente non sapevo che la situazione fosse così grave. Sono una lettrice selettiva e così non mi sono resa conto dello stato dell'informazione pubblica nel suo complesso. E cosa proponi di fare, a parte leggere salto? :)

Fri, 03/22/2013 - 07:53 Permalink

@Angelika: Grazie ;)

E' un problema sistemico, indubbiamente.

Pizzarotti, quando dice che «il sistema non premia l'impegno di tanti giovani, [...] con 5-10 euro a pezzo» non tocca il nocciolo della questione: oltre alla casta "dei partiti" c'è una miriade di caste professionali, compresa quella editoriale. A scrivere in prima pagina ci stanno - a volte da decenni - persone strapagate, che magari dalle colonne dei quotidiani lanciano strali ai costi e all'anzianità della politica. Inoltre il conflitto d'interessi va ben aldilà degli incarichi istituzionali: la linea editoriale è dettata più da interessi d'una ristretta cerchia (e della proprietà, spesso) che da servizio all'informazione.

Ci vorrebbe quindi, innanzitutto, un po' di ricambio non unilaterale e degli incentivi per "premiare" le capacità. Sono convinto che di persone brave, più brave dei giornalisti che ci ritroviamo, ne è piena l'Italia.

Fri, 03/22/2013 - 09:34 Permalink