Politics | Siria

Cosa succede nel Kurdistan siriano?

Martino Seniga (inviato di Rai News 24) sulla conquista di Afrin da parte della Turchia, la repressione di Erdogan – e il “confederalismo democratico” in Rojava.
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Foto: Wikipedia

La notizia della presa di Afrin da parte delle milizie filo-turche siriane ha fatto velocemente il giro del mondo. Si calcola siano almeno 250mila i civili in fuga dalla città a maggioranza curda nel nord della Siria, lasciando sul terreno molte vittime, fra cui una combattente internazionalista inglese, la 26enne Anna Campbell. Campbell si era unita alle combattenti curde del YPJ (unità di difesa delle donne) nella battaglia per la liberazione di Raqqa dall’Isis, e poi aveva chiesto di partecipare alla difesa di Afrin. È stata colpita e uccisa, il 16 marzo scorso, da un bombardamento turco su un convoglio in uscita dalla città. Intanto si moltiplicano le mobilitazioni in difesa della “Rivoluzione del Rojava”: sabato 24 marzo in molte piazze si terranno manifestazioni di solidarietà verso il popolo curdo. A Bolzano, l'appuntamento è alle ore 15 nel parco di piazza della Stazione. Ma cosa sta succedendo esattamente ad Afrin? Lo abbiamo chiesto al giornalista Martino Seniga, inviato di Rai News 24, che ha viaggiato a lungo nel Kurdistan, dove ha realizzato una serie di reportage per il web sul progetto “confederalista democratico” dei curdi in Siria e Turchia.

Salto.bz: La Turchia è presente in Siria sin dal 2016. Quali sono le ragioni di questa nuova offensiva turca nella confederazione del nord, in particolare dell'operazione in atto dal 20 gennaio, all'interno dell'intricato groviglio del conflitto siriano?

Martino Seniga: È la prosecuzione di una situazione geopolitica che si è venuta a creare nell'area intorno alla Siria e che vede chiaramente la Turchia sin dal 2014 temere fortemente la presenza di un'autonomia curda ai propri confini, in particolare un'autonomia che si rifà alle nuove posizioni del movimento curdo predominante – ed è quello che preoccupa lo stato turco. Sino al suo arresto nel 1999, Abdullah Öcalan abbracciava posizioni nazionaliste ed indipendentiste, ma con la sua adesione alle teorie di Murray Bookchin e la sua rinuncia alla lotta per l'indipendenza, ha progettato invece un'autonomia di tipo municipalista-libertario per tutto il Kurdistan. Tale posizione portò a una prima fase di tregua e di trattative tra lo stato turco, lo stesso Öcalan e i rappresentanti dei partiti curdi in Turchia. Dal 2014 la posizione del governo Erdogan è completamente cambiata: hanno visto in questa nuova politica curda un pericolo forse ancora maggiore di quello che era rappresentato in precedenza dal movimento più tradizionalmente di guerriglia del PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, ndr). Il pericolo di una nuova forza politica, culturale e sociale in tutto il Medio Oriente capace di scardinare determinati poteri statali, tra cui il progetto del governo fondamentalista – benché inizialmente moderato – di Erdogan.

In realtà, l'intervento militare per prendere il controllo di Afrin è sostenuto in Turchia sostanzialmente da tutte le forze politiche, anche dalle opposizioni – tranne la sinistra filo-curda del HDP, il partito democratico dei popoli.

L'opposizione democratica, di sinistra e filo-curda in Turchia si è espressa sostanzialmente all'interno dell'HDP: alle elezioni del luglio e del novembre 2015 ebbe circa il 10-11% dei voti non solo nelle zone curde. Ma gran parte dei deputati dell'HDP come dei sindaci eletti in tutto il Kurdistan turco – che fanno parte del partito locale collegato all'HDP – sono incarcerati ormai da parecchio tempo e perciò completamente fuori dai giochi. L'unico partito che resta all'opposizione è il partito repubblicano kemalista, che tradizionalmente ha sempre combattuto allo stesso modo qualsiasi tentativo di indipendenza curda. Pure l'opposizione kemalista non è in una situazione facile: alcuni kemalisti sono stati incarcerati, così come molti redattori dello stesso Cumhuriyet – quotidiano che si colloca non distante dalle posizioni kemaliste. Secondo alcuni esponenti curdi che ho intervistato, il genocidio di Afrin (come lo chiamano loro) è in qualche modo una continuazione – sebbene molto più concentrata e drammatica nel breve termine – della forte stretta effettuata nel corso dell'ultimo anno anche in molte città e municipi del Kurdistan turco.

Qual'è stata la reazione curda? È vero che a un certo punto si sono ritirati da Afrin?

Sembra, ma non ho informazioni di prima mano.

Rispetto al Rojava, qual è l'obiettivo della Turchia? Prendersi l'intera area?

La situazione è molto diversa nei vari cantoni. Il Rojava era composto da tre cantoni, di Cezire, Kobane e di Afrin. Dopodiché si è aggiunta una zona a ovest dell'Eufrate, intorno alla città di Manbij, una zona su cui i turchi rivendicano la possibilità di fare una nuova immediata offensiva, in quella che loro considerano la propria zona di influenza a ovest dell'Eufrate. Poi si sono aggiunti una serie di territori a sud, che le milizie popolari curde hanno liberato dall'Isis. Di fatto, mentre nei due cantoni orientali e a Manbij – nonché nelle zone liberate dall'Isis – c'è una presenza di militari prevalentemente americani o comunque della coalizione contro il terrorismo a guida statunitense, questo non avveniva ad Afrin. Oltre al controllo del potere locale, dei curdi e degli esponenti delle varie etnie, a loro volta collegati – seppure separati geograficamente da una zona intermedia controllata dai turchi – agli altri due cantoni del Rojava, ovvero la zona autonoma del Kurdistan siriano del nord, lì non c'è mai stata una presenza americana perché nel cantone di Afrin non c'è mai stato l'Isis. Probabilmente venivano tollerati alcuni rappresentanti siriani del governo di Assad e forse anche qualche russo, che prima dell'offensiva turca si sono ritirati, salvo inviare qualche settimana dopo un manipolo di combattenti filo-Assad che però hanno svolto un ruolo più che altro simbolico. Se si voleva veramente difendere il territorio andavano fatte altre azioni.

Qual è la posizione di Assad?

La mia impressione è che sia stato fatto un accordo sottobanco che prevedeva che il governo di Assad potesse riprendere il controllo di Ghouta: Afrin in cambio di Ghouta.

Com'è nata la politica dei curdi in quell'area, il cd. “confederalismo democratico”, emerso come forma di governo locale con caratteristiche assai peculiari e avanzate, se viste da qui, dall'ecologia al femminismo – con lo sviluppo di una “scienza delle donne” denominata jinealogia, dalla parola curda “jin”, donna – e sulla base del pensiero di Murray Bookchin?

Öcalan l'ha sviluppata in quello che lui ha definito “confederalismo democratico”, però di fatto parte da questa teoria che in nuce aggiunge il concetto di glocale, il governo locale che può organizzarsi anche a livello globale, in una confederazione. Che prevede nuove forme di gestione del territorio, della società, dei rapporti culturali all'interno della società e tra uomini e donne, una serie di idee e posizioni che sono dirompenti persino in Occidente, tanto più in un contesto culturalmente, socialmente, politicamente arretrato come il Medio Oriente.

La partita si giocherà tutta nel rapporto con gli Stati Uniti.

Il discorso dell'autodeterminazione, ovvero l'idea di riunire il Kurdistan, è passato in secondo piano oppure è parte di questo disegno di autogoverno curdo?

L'idea originaria di Öcalan era di proporre una trattativa per l'autonomia e rinunciare all'indipendenza: il territorio più importante e più grande è il Kurdistan turco, dove vive la stragrande maggioranza dei curdi. Anche nel Kurdistan turco erano stati sviluppati – all'inizio di questo secolo sino al 2014/15 – una serie di passi verso l'autogestione del territorio: in tutti i municipi e nei consigli di quartiere venivano eletti un uomo e una donna, si praticavano forme di democrazia diretta. Un progetto completamente bloccato: tutti quelli che gestivano politicamente tale processo sono finiti in galera. Il progetto di fatto metteva in secondo piano l'indipendenza rispetto a un'autonomia politica, culturale e sociale. In questo senso, credo che la partita si giocherà tutta nel rapporto con gli Stati Uniti. Che si fonda non sull'apprezzamento di queste teorie – anche se sono le teorie di un filosofo ecologista americano – ma sul fatto che militarmente il Pentagono considera estremamente affidabili i curdi. Bisogna capire se questa cosa reggerà, oppure no. Nei due cantoni non vedo interesse degli americani a lasciare quella zona, anche perché è l'unica dove possano esercitare una loro presenza strategica, “politica” oltre che militare.

Dov'è la voce dell'Europa in tutto questo? La conquista e il saccheggio di Afrin a opera dell'esercito turco mentre Erdogan è accolto con tutti gli onori dalle cancellerie europee – ricorda, ha scritto Adriano Sofri, la Srebrenica del 1995.

L'Europa si sta comportando come l'Inghilterra di Chamberlain, fingendo di non vedere quello che sta accadendo. Poi c'è anche un'altra realtà “di fatto” da considerare: una forte presenza economica (e nei cda) in alcune grandi strutture d'informazione di esponenti collegabili al principale alleato della Turchia, ovvero il Qatar. Questo sta incidendo molto sull'informazione.

L'Europa si sta comportando come l'Inghilterra di Chamberlain, fingendo di non vedere quello che sta accadendo.

Lei ha curato un pubblicazione su Murray Bookchin, appena uscita per le edizioni BFS di Pisa. Come dicevamo, l'ecologista e libertario americano ha ispirato il “radicalismo democratico” dei curdi, che hanno abbandonato lo stato nazione per sviluppare degli strumenti di democrazia diretta. Ce ne può parlare brevemente?

Il libro è una selezione degli ultimi scritti, realizzata dalla figlia con un progetto politico: unire i testi nei quali il padre ha sviluppato in modo più concreto il proprio progetto politico per il futuro, innovativo rispetto a tutte le teorie tradizionali della sinistra – dal marxismo all'anarchismo. All'interno del municipalismo libertario e del comunalismo, Bookchin ha individuato gli strumenti per creare nuove forme di aggregazione politica e sociale nel contesto politico del XXI secolo. È d'altra parte il testamento di un grande pensatore politico ed ecologista del Novecento.