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Ferrario violinista e direttore

Il secondo appuntamento del nuovo format della Fondazione Haydn "Strumento protagonista" è affidato a Stefano Ferrario. L'intervista di Mauro Franceschi


Stefano Ferrario
Foto: Carlo Baroni

Stefano Ferrario si è diplomato al conservatorio di Milano, e a Vienna si è laureato alla Universität für Musik und darstellende Kunst. Dal 2004 è primo violino solista dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento. Nell’ambito della stagione sinfonica dell’ensemble regionale, nel ruolo di maestro concertatore proporrà la sua interpretazione della Sinfonia per archi n.9 in do maggiore di Felix Mendelssohn Bartholdy. Il concerto è il secondo della serie “Strumento protagonista”, programmi di circa 30 minuti, a Bolzano e Trento con inizio alle ore 19.

Salto.bz: Da piccolo si immaginava su un podio a dirigere una grande orchestra?

Il mio desiderio di dirigere è nato durante le mie esperienze giovanili con le orchestre del Festival dello Schleswig-Holstein e della Comunità Europea, dove ero stato impressionato dalla musicalità e dal carisma dei loro direttori, Bernard Haitink e Valery Gergiev. Un desiderio che è rimasto nel cassetto fino a pochi anni fa, quando ho deciso di regalarmi un corso di studi in direzione d’orchestra e diplomarmi in questa affascinante disciplina.

 

 

E’ più emozionante per lei suonare da solista oppure dirigere?

Entrambe le esperienze sono molto emozionanti. Con lo strumento si produce fisicamente il suono che immaginiamo nella nostra testa, invece con la direzione si plasma l’aria e sono altre persone a produrre i suoni. È incredibile però come diverse gestualità possano cambiare il suono dell’intera orchestra. Spesso con l’orchestra Haydn rivesto contemporaneamente i due ruoli, suonando e cercando di trasmettere le mie idee musicali con lo strumento in mano.

 

Cosa la affascina della Sinfonia per archi di Mendelssohn?

La straordinaria precocità del talento del compositore, che scrisse questa Sinfonia a soli 14 anni. Il talentuosissimo autore, riesce a rielaborare i differenti modelli compositivi, barocchi e classici, studiati insieme ai suoi precettori. In questa capacità di assimilazione e di sintesi personale risiede il maggior interesse della Sinfonia, che non manca però di apparire come un'opera di valore autonomo, perfettamente paragonabile con i prodotti di un autore adulto.

 

 

Lei ha diretto orchestre giovanili a Milano praticando il “Sistema Abreu”, che in Venezuela ha tolto migliaia di adolescenti dalla strada e al contempo forgiato direttori come Gustavo Dudamel. Suonare in orchestra ha inciso positivamente sulla qualità della vita anche dei ragazzi e ragazze che lei ha incontrato?

La musica anche in Italia ed Europa ha permesso a molti giovani di potersi emancipare da situazioni sociali precarie ed a volte pericolose, di percorrere una strada sana per potersi realizzare personalmente ed in armonia con gli altri. La musica incide sempre positivamente sulle nostre vite, arricchisce la nostra sensibilità e ci insegna che per poter ottenere dei risultati dobbiamo impegnarci ed essere appassionati, sia che viviamo in un ambiente “dorato” come poteva essere quello di Mendelssohn, che in situazioni al limite della sopravvivenza come in sud America, dove è nato “El Sistema”.

 

Nel 2018 lei è stato nominato direttore dell’Orchestra giovanile dell'Alto Adige, un incarico annunciato di 4 anni. Come è andata?

Non posso veramente fare un bilancio dell’attività dell’orchestra sinfonica giovanile dell’Alto Adige. Purtroppo, dopo alcune produzioni molto belle come il concerto a Dobbiaco per il centenario della fine della prima guerra mondiale, ed un progetto dedicato agli “enfant prodige” della musica come Mozart, Schubert e Mendelssohn, la pandemia ha bruscamente interrotto il progetto “Il giro del mondo in 80 minuti”, che si sarebbe dovuto portare a termine proprio a marzo di 2 anni fa. Spero che ci sia la possibilità di recuperare il lavoro ed i progetti che avevamo pianificato e si possa tornare in tutti i campi alla normalità di qualche anno fa.

 

I suoi prossimi progetti?

Sicuramente con l’orchestra Haydn, ma anche a Verona, Milano e, situazione globale permettendo, in Bolivia.

 

Un libro e un film che sono stati per lei importanti?

Ce ne sono molti, ma, forse per le suggestioni che mi hanno lasciato durante l’adolescenza, “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez e il film “C’era una volta in America” di Sergio Leone.

 

Lei è una persona ottimista?

Sicuramente sì.