Politics | Il rebus Commissione dei Sei

Il “Parlamento segreto”?

Mentre sono cominciate le schermaglie sui nomi dei prossimi componenti della Commissione, il giurista Denicolò avverte: “Manca di legittimazione democratica”.
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Foto: Othmar Seehaueser

Dopo un lungo letargo, la Commissione dei Sei (e dei Dodici) sembra tornata di stringente attualità nell'agenda politica locale. "Abbiamo scritto al presidente del Consiglio provinciale chiedendogli di attivarsi rapidamente per inserire all'ordine del giorno la scelta dei membri di nomina provinciale" ha dichiarato il Landeshauptmann Luis Durnwalder, auspicando anche che tra le tre personalità nominate dal Governo (le altre tre spettano alla Provincia) possa trovare posto per la prima volta un ladino. Ad ogni cambio di Governo – si sa – riparte il valzer delle poltrone di un organo che dovrebbe essere meramente consultivo per l'esecutivo, ma che in determinati periodi storici ha svolto un ruolo di motore dell'autonomia provinciale. Un ruolo determinate, quindi. Con gli ultimi due governi che si sono succeduti alla guida del Paese (quelli presieduti da Silvio Berlusconi e Mario Monti), la Commissione ha vissuto un lungo periodo sottotono, ma le recenti aperture del neoministro per gli Affari regionali Graziano Delrio negli incontri avuti con il Landeshauptmann Luis Durnwalder hanno acceso i riflettori – e gli appetiti – della politica sulle sei caselle da riempire. Ed è quindi partito il totonomine con i relativi veti.

Guido Denicolò è un apprezzato giurista che in più occasioni è entrato a far parte della rosa dei candidati ad entrare nella Commissione, ma, come dice lui stesso, “sul mio nome a livello locale pesa un veto preciso”. Ecco le sue risposte su questo complesso tema.

Perché dopo questa mancanza di interesse ora la Commissione torna ad essere così appetibile?
Guido Denicolò
: Tutto dipende dalla congiuntura politica. Se a livello governativo c'è una certa comprensione per le istanze della politica locale allora la Commissione lavora bene, altrimenti è condannata all'irrilevanza. Più precisamente: dipende da un lato dall'input della Provincia che desidera avere norme per allargare le sue competenze e dall'altro dalla disponibilità del Governo a recepirli.

E il nuovo esecutivo sembra più “collaborativo” dei precedenti?
Secondo me c'è da dubitarne. Con il Governo Berlusconi il rapporto non è stato particolarmente “florido” e quindi non si è fatto nulla. Con il Governo Monti peggio ancora. Se la Commissione lavora su proposte marginali o al contrario importanti, dipende dal ruolo che l'Svp gioca a Roma: se i suoi voti sono decisivi in Parlamento oppure è legata alla maggioranza con un rapporto politico forte allora la Commissione può giocare un ruolo decisivo. Non mi sembra che oggi ci sia questa situazione.

Eppure le schermaglie per l'assegnazione dei posti sono già in pieno svolgimento. Che ne pensa, ad esempio, della candidatura del senatore Francesco Palermo?
Lui ha sempre dichiarato questa aspirazione e ci può stare benissimo una sua nomina, considerata la sua competenza in materia. La Commissione ha sempre avuto una composizione tecnico-politica, quindi nulla osta che Palermo ne faccia parte. Detto questo, oggi però ha il neo dell'appartenenza politica e quindi il suo profilo tecnico si è fortemente appannato e in quest'ottica l'atteggiamento dell'onorevole Biancofiore è comprensibile, si dovrà trattare.

E del ruolo della Commissione oggi che ne pensa?
Il metodo secondo me è superato. Inizialmente giocava un ruolo tecnico-attuativo, ma da una decina d'anni da attuare nello Statuto di autonomia non c'è più nulla. Oggi il tema è quello dell'autonomia integrale, andare quindi oltre lo Statuto per farci entrare cose che tecnicamente non ci entrerebbero più, ma politicamente le si vuole imporre. Si tratta quindi di “gonfiare” lo Statuto con nuove competenze.

La Commissione viene nominata dall'alto. Lo trova corretto?
No, manca di legittimazione democratica perché non è corretto che sostanzialmente legiferi – attraverso i decreti legislativi del Governo – senza meccanismi di controllo. Il deficit democratico è evidente e sarebbe auspicabile che i progetti della Commissione dei Sei – e prima dell'ok del Governo – si sentisse il parere del Parlamento e del Consiglio provinciale, altrimenti diventerebbe un “Parlamento segreto” con atti non pubblici e membri non eletti.