Olfa, la pecora nera
Giovedì pomeriggio, pioggia sui passanti che sfilano davanti al al Bar La Piazza (Waltherplatz), mentre all'interno trafficano rappresentanti della coalizione di centrodestra, ma non se li fila nessuno, in vista della conclusione della loro campagna per il ballottaggio a sostegno del candidato sindaco Mario Tagnin. Io e la mia ospite saliamo al piano superiore e ci sediamo in una saletta in cui rimbomba il pianto di una bambina di pochi mesi, mescolandosi al rumore delle stoviglie che cozzano contro le risate degli avventori. Lei ordina un tè alla frutta, io un caffè, e cominciamo a parlare.
L'araba anomala
Olfa Sassi è tunisina, di sinistra, e nel 2016, a Bolzano, dice che “per una donna che ha deciso di impegnarsi in politica” (non potendo evidentemente sfuggire a queste tre categorizzazioni) i problemi sono ancora molti. In altre parole: non fosse donna, non fosse tunisina e non avesse deciso di militare in un partito di sinistra, le cose per lei sarebbero più semplici. Le chiedo allora perché ci tiene così tanto a lottare per affermarsi in uno spazio che sembra respingerla: “Magari può apparire strano, per una come me, cercare di impegnarsi in politica – risponde –, ma io sento questa responsabilità. Sono un'araba anomala, la mia comunità mi guarda con sospetto, incontro difficoltà a farmi accettare anche nella società in cui sto cercando di dare il mio contributo, ma sento che devo andare avanti, per dare l'esempio, perché magari i due o tre ragazzi nordafricani che mi vedono al bar e ai quali dico quello che sto facendo poi vanno a casa, ne parlano in famiglia, e così cominciano a farsi delle domande. Forse. Solo in questo modo, comunque, le cose un giorno potranno cambiare”.
Un partito che non esiste più
Parliamo di SEL, partito che a livello nazionale galleggia in un amletico “to be or not to be”, nella migliore delle ipotesi per cambiare pelle, o forse semplicemente per estinguersi definitivamente. Olfa Sassi scuote la testa e lancia uno sguardo disarmato, involontariamente bellissimo e fiero: “Io non ero d'accordo, non avrei voluto andare col Partito Democratico. Saremmo stati più credibili. Avrei preferito formare una lista unica con Gallo e tutta la sinistra davvero unita. Ma anche tra di noi ci sono molti personalismi, tendiamo sempre a dividerci e nessuno vuole sottomettersi all'altro. Mentre distribuivo i volantini ho capito che saremmo andati incontro a una tremenda sconfitta...”.
Il rammarico non riguarda solo il pessimo risultato elettorale di una lista (“La Sinistra/Die Linke”) che ha sbagliato tattica, quello che manca, a suo avviso, è proprio la strategia di fondo, a cominciare dalla persistenza di una leadership (quella di Guido Margheri) avvertita come ormai fuori tempo. “Non posso negare che con Guido ci siano ormai contrasti difficili da sanare. Noi continuiamo a percepire finanziamenti dal partito, ma non sappiamo neppure se questo partito esisterà ancora da qui a pochi mesi. Bisognerebbe fare un congresso, chiarire in che modo vogliamo andare avanti, invece aspettiamo cercando di sopravvivere, anche se non ci sono più le condizioni per farlo. Nei miei confronti sento molta ostilità, forse perché sono un po' la pecora nera, l'unica a dire certe cose, a pretendere che si faccia chiarezza e che si scelgano anche nuovi dirigenti. Ma qui la chiusura è totale e ho pensato più volte di mollare”.
Parole taglienti, il suono di un tappo che salta, dopo una lunga compressione. Ma anche un bel po' di disorientamento (“ho pensato anche a cambiare partito, per esempio passare con la Svp, molti italiani in periferia hanno cominciato a votarla perché è un partito più concreto, e poi a loro manca il collegamento con quel tipo di società, sono solo ricchi e tedeschi...”) e il senso di abbandono di chi ci ha provato, ci sta provando, ma non trova più ad ascoltarla chi le aveva promesso di farlo.
Italiana senza esserlo (segnali di fumo dalla Convenzione)
Da qualche settimana Olfa Sassi è anche protagonista (più involontaria che volontaria) di polemiche legate alla sua presenza nel gruppo dei 33 cittadini che operano, o dovrebbero operare, nella Convenzione, l'organismo creato al fine di elaborare proposte per la riforma dello statuto di autonomia. Donna tunisina, di sinistra, pur con una mezza ingiunzione di sfratto dalla sua stessa casa politica, e adesso anche “italiana” non riconosciuta dagli altri “italiani”, visto che qualcuno (a cominciare da Nadia Mazzardis) le ha imputato di non poter strutturalmente svolgere il compito di rappresentare chi è nato qui e conosce sulla sua pelle i problemi dei quali si dovrebbe discutere in quel consesso.
“Per adesso la Convenzione è un'esperienza faticosa. Non lo dico solo io. Io volevo impegnarmi per portare avanti i miei temi, eventualmente anche per criticare la proporzionale, che mi pare un meccanismo discriminatorio, ma mi è stato consigliato di non toccare questo punto, per non perdere tutto...”. Non bisogna toccare questo punto perché, a quanto pare, chi sta manovrando lo sparuto drappello italiano all'interno della Convenzione (in particolare Roberto Bizzo) ha di mira una mossa disperata: quella di sensibilizzare l'assemblea a prendere in considerazione il principio paritario, al fine di riequlibrare le sorti di una partita adesso estremamente sbilanciata: da un lato i tedeschi, decisi ad imporre i loro temi autodeterministici e separatistici, dall'altro gli italiani, pochi, impalpabili e frammentati come non mai. Sono segnali di fumo che escono a fatica, si alzano su un paesaggio deserto, e il disinteresse, anche della politica, ad affrontare con serietà la questione, si scontra con l'interesse di piccoli gruppi che vogliono invece conservare il loro potere residuo, rinunciando a fare i conti con la propria pochezza. “Ho cercato di sensibilizzare i partiti italiani, l'unico che mi ha risposto è stato Giorgio Holzmann, mi ha spedito un documento da lui presentato anche al Parlamento italiano...”.
Ma è difficile farsi ascoltare se, per l'appunto, la tua condizione di “immigrata” viene vista come un ostacolo, e si vorrebbe per questo arrivare a creare un quarto gruppo supplementare, in cui gli stranieri potrebbero sperimentare solo lo spiacevole destino di azzuffarsi fra di loro, “visto che neppure un cinese o un pakistano accetterebbe di sentirsi rappresentato da una tunisina...”. Com'è possibile riempire la buca di una contraddizione se poi ne scaviamo un'altra ancora più profonda?
Una faccia più seria
Dopo un'ora di conversazione scendiamo di nuovo al piano di sotto. Sono quasi le sei, il pavimento della piazza, del cosiddetto “salotto bolzanino”, è ancora bagnato, non piove più ma qualcuno ha ancora l'ombrello aperto. Chiedo a Olfa Sassi se posso fotografarla sullo sfondo della statua del Walther. Faccio un paio di scatti, glieli mostro, li guarda e mi dice che non vanno bene. “Qui sorrido, ma non ho voglia che mi si veda sorridere, voglio una faccia più seria”. Mentre archivio l'immagine prescelta mi vengono in mente alcuni versi di un poeta tunisino, Abu’l-Qasim Al-Shabbi, che in un testo intitolato “Vivere” ha scritto: “Non temo sentieri rigorosi né fuochi alteri. Rifiutare le alte vette, non è vivere per sempre nel fossato?”. Ma Olfa è già andata via e non faccio in tempo a chiederle se lo conosce.