Culture | Viaggio in India

India

Riflessioni di un Paese
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Pushkar
Foto: Giulia Pedron © Tutti diritti riservati

L’India è stato il Paese che più mi ha colpita, in male e in bene, di tutti i viaggi che ho avuto la fortuna di fare fino adesso!

Prima di partire pensavo di essere preparata, ero convinta che Paesi come il Myanmar, conosciuto un anno prima, avrebbero fatto da filtro alla mia conoscenza con questa terra misteriosa. Pensavo che tutte le culture, le etnie che avevo avuto modo di incontrare, le tradizioni così lontane da quelle alle quali siamo abituate, mi avrebbero aiutata a capire la situazione e il modo di pensare dell’India. Ma il modo di pensare di questo enorme Paese non si può riassumere sotto il nome di “India” perché ogni regione è diversa, ogni etnia è diversa, così come ogni persona.

La terra dell’India è stata dimora di grandi regni, vasti imperi hanno stabilito qui il loro dominio ed è stata colonizzata dagli arabi, dagli inglesi e dai portoghesi. Tutte queste influenze sono visibili oggi non solo nelle opere architettoniche, ma anche nella cultura culinaria e nelle tradizioni stesse che cambiano radicalmente da una zona all’altra.

Io inizialmente dovevo stare in India tre mesi, poi invece per una serie di motivi ci sono rimasta solo per un mese. Sono andata da New Dehli, la capitale, fino alla regione di Karnataka, molto più a sud. Per dieci giorni però sono rimasta ferma in un villaggio vicino ad Ahmedabad, nello stato del Gujarat, all’interno di un centro di meditazione.

Per 10 giorni interi sono stata sola con me stessa. E’ vero che c’erano altre persone, altre donne, intorno a me, ma il codice da rispettare era molto chiaro: non interagire con nessuno, per nessun motivo (esclusi quelli di salute), nemmeno durante i pasti e consegnare, il primo giorno, ogni oggetto che avrebbe potuto distarmi, quindi niente libri, niente fotocamera e niente cellulare, quasi impossibili per molti di noi che sono abituati ad avere il telefono sempre in mano.

Si trattava di un centro Dharma dove i maestri insegnano, in cambio di una donazione, l’arte della meditazione Vipassana, parte della filosofia buddista, per raggiungere il più alto livello spirituale di sé.  Avevo deciso molto tempo prima di partire di provare questa esperienza: un esperienza dura in un viaggio duro, un mettersi alla prova e rimanere sola con i propri pensieri e i propri “mostri”. Ed è stata molto più dura di quel che pensassi. Circa 12 ore di meditazioni al giorno, la prima iniziava alle 4.30 di mattina dopo il suono della campana che suonava già alle 4, quando fuori era ancora completamente buio. Un’esperienza che ancora oggi non so se consigliare o meno, ma che sicuramente vi farà riflettere molto e, perché no, cambiare. Dieci giorni che mi sono sembrati infiniti, dove le ore non passavano più e anche i minuti sembravano essersi fermati. Un’esperienza unica e sofferta, con tanto di pesanti lacrime impossibili da fermare. Ma tutta questa è un’altra storia e ci sarebbe bisogno di molto più spazio per raccontarla.

Quindi mi limito a tornare all’India, lasciando da parte per ora la mia esperienza meditativa e confessandovi che nonostante lo shock culturale, le contraddizioni, i controsensi, le ingiustizie sociali e la confusione creata dall’incontro tra religione, ideologia e cultura l’India è tornata a chiamarmi, e l’ha fatto fin dal momento in cui sono salita sull’aereo per tornare a casa lasciandomi con una conclusione: l’India è incredibilmente unica.