“Vissi d’arte…” ma si può veramente?
“Vissi d’arte, vissi d’amore…”, così canta la Tosca in una delle arie più celebri del repertorio operistico italiano. Ma quanto è possibile oggi per i tanti protagonisti del mondo dell’opera vivere solo della propria arte? Come se la passano i professionisti del settore nella patria del bel canto? Una domanda che avrebbe avuto una risposta non tanto ottimistica già qualche mese fa, senza neanche bisogno dell’epidemia di covid. Ce ne parla Maria Letizia Grosselli, soprano trentino che dopo un’importante carriera solistica, ha preso da qualche anno la decisione di dedicarsi all’attività corale, collaborando oggi con diverse formazioni tra cui la Fondazione Haydn di Bolzano e Trento, il Teatro Donizetti di Bergamo e l’Arena di Verona (sul cui palcoscenico è apparsa regolarmente in qualità di solista dal 2010 al 2016, cantando tra l’altro con Placido Domingo e sotto la direzione di personaggi quali Franco Zeffirelli).
Per molti musicisti l’avere più di un lavoro è l’unico modo per poter continuare a dedicarsi alla propria vocazione. Cantare in questi prestigiosi cori non è in alcun modo una carriera di serie B, come sottolinea Grosselli – “questi insiemi vedono tra le proprie fila artisti tecnicamente molto preparati che non hanno nulla da invidiare ai solisti sotto il profilo canoro” – ma è una scelta fatta per avere un minimo di stabilità e garanzie lavorative in un mondo in cui non sono solo il talento e la sana competizione a spadroneggiare, ma anche il precariato, l’avere o meno la giusta rete di conoscenze e il business intorno alle agenzie che rappresentano gli artisti (si pensi al recente scandalo che ha travolto il Teatro Regio di Torino, con l’ex sovrintendente William Graziosi indagato per irregolarità nell’affidamento degli incarichi).
Guardando ad episodi simili e alla situazione di crisi che già da lungo tempo affligge questo settore artistico, ora esacerbata anche dalla pandemia, le prospettive non sembrano delle più incoraggianti: “Lo spettacolo dell’opera”, spiega Grosselli, “è di per sé uno spettacolo tra i più costosi proprio per la sua natura, richiedendo sempre la presenza sia di un coro che di un’orchestra, di una scenografia e di costumi elaborati, oltre a tutto il lavoro che c’è dietro, meno lampante ma indispensabile, dei tecnici del suono e della luce… Dietro ad ogni spettacolo d’opera c’è il lavoro di un microcosmo di artisti, artigiani e tecnici, a cominciare dal falegname che ha fatto una sedia fino a chi ha montato l’ultima lampadina. Non a caso finora l’opera è sempre stata il campo più finanziato dal Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo). Purtroppo però, negli ultimi anni le risorse di questo Fondo sono andate sempre più assottigliandosi. Oggi come oggi i teatri sono tutti in crisi, compresi i più importanti e rappresentativi come La Scala di Milano e Santa Cecilia di Roma, che sono anche i più aiutati dallo Stato. Lo stesso Regio di Torino, poco prima dell’inchiesta per corruzione, aveva annunciato di star andando in bancarotta”.
Poche forme d’arte sono tanto tipicamente legate al nostro paese, già nell’immaginario comune, quanto l’opera.
Il trend di budget al ribasso si è confermato di anno in anno e sembra nascere dall’idea che, con tanti problemi più importanti, non valga la pena di investire nell’arte. “Leggendo un giornale qualche giorno fa mi sono imbattuta in un articolo che catalogava le professioni in ordine di importanza e indispensabilità: ovviamente e giustamente ai primi posti vi erano medici e infermieri, tra gli ultimi invece, bollate come non necessarie vi erano le professioni artistiche”. Però, se ci riflettiamo un attimo, quanto spazio ha avuto nelle nostre vite l’arte, e in particolare la musica, nei giorni della quarantena? Dal mare di video di esibizioni sui social fino ai canti da terrazzi e balconi e all’inno di Mameli cantato, ad una voce e con tante voci diverse, dal paese intero… che quarantena sarebbe stata senza tutto questo? La musica, il canto, hanno il potere di esorcizzare le paure e di unire, di farci sentire meno soli.
E qualche volta, la musica ha anche una funzione celebrativa, commemorativa, è il più alto modo per rendere un omaggio, come nel caso del prossimo concerto cui parteciperà Maria Letizia: “Piano piano le attività stanno ricominciando. Col coro del Teatro di Bergamo stiamo preparando il Requiem di Donizetti, che eseguiremo il 28 giugno nel cimitero monumentale di Bergamo, in onore delle vittime del covid. Sarà un concerto-cerimonia, che verrà mandato in onda su Rai1, con la presenza del presidente Mattarella”.
Durante le prove e il concerto si rispetteranno tutte le norme di sicurezza: “Canteremo con la mascherina (ancora obbligatoria all’aperto in Lombardia) e distanziati gli uni dagli altri”. E proprio le norme di sicurezza, in fase di ripartenza, sono una questione problematica per molti teatri. “Ad esempio vi è il divieto di toccare oggetti in scena, e il distanziamento, cose che rendono molto complicato mettere in scena un’opera. Vi è poi il limite massimo di posti in sala che possono essere occupati: dapprincipio il decreto parlava di 200 posti al chiuso (con il criterio di un metro di distanza, il che rende il numero di molto inferiore ai 200 posti per i teatri più piccoli) e 1000 posti all’aperto. Ora per un teatro delle dimensioni dell’Arena, 1000 posti sono praticamente niente. Ecco perché il decreto è stato modificato in modo da lasciare autonomia in merito alle singole regioni: grazie a questa deroga l’Arena potrà contare su 3000-4000 posti per i concerti che si terranno quest’estate”. Sono comunque numeri molto piccoli e le misure cautelative rendono troppo difficile l’organizzazione logistica di spettacoli tanto ricchi quanto quelli che tradizionalmente vede la stagione estiva a Verona, motivo per cui il programma operistico che era stato progettato per quest’anno verrà rimandato all’estate 2021, e sarà ora sostituito da un programma di concerti.
In Trentino-Alto Adige invece l’unica istituzione a occuparsi di opera in maniera stabile è la Fondazione Haydn, nata come fondazione sinfonica e in seguito diventata lirico-sinfonica, con un programma incentrato sull’opera contemporanea, volto a far conoscere lavori meno noti di artisti dalla seconda metà del Novecento ad oggi. Al momento però sono ripresi solo i concerti con l’orchestra in forma ridotta o i solisti dell’orchestra mentre è ancora un’incognita quando riprenderanno gli spettacoli d’opera.
Dal canto suo Grosselli ha sempre amato portare avanti attività di formazione musicale e progetti artistico-culturali con l’Associazione Giardino delle Arti e il suo studio Correvoce (ora attrezzato con barriere di plexiglass). “L’entusiasmo non è stato scalfito dal lockdown, anzi. Non vediamo l’ora di ricominciare – afferma la cantante –. Ad esempio con il coro dell’Associazione abbiamo in programma uno spettacolo intitolato Voglio vivere così sull’evoluzione della canzone italiana, dal Trio Lescano al Quartetto Cetra, che sarà accompagnato da un testo della scrittrice Luisa Pachera: la chiave di lettura sarà la condizione della donna in Italia nel corso delle diverse generazioni dagli anni Trenta agli anni Sessanta, con uno sguardo alle battaglie del futuro. Avevamo incominciato le prove quando è scoppiata la pandemia, non appena sarà possibile lo porteremo in scena. Inoltre, questa quarantena ha messo in luce per me qualcosa di bellissimo, che mantiene vive le mie speranze nonostante tutte le difficoltà di questo periodo: ho infatti scoperto quanto la musica sia importante, non solo per noi artisti, ma in particolare e forse ancor di più per i non addetti ai lavori. Ho scoperto quanto cantare sia proprio un bisogno per le persone. Tra i miei allievi in molti mi hanno chiesto di continuare a fare lezione online durante la quarantena. Vi lascio immaginare quanto sia quasi impossibile fare una lezione di canto lirico non dal vivo – eppure ci abbiamo provato, e lo abbiamo fatto. Inoltre – prosegue il soprano – collaboro con due cori, uno nato all’interno dell’Associazione Parkinson di Trento e uno dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla di Rovereto, ebbene con questi due cori l’attività non si è mai fermata, tutte le prove sono continuate su zoom. Ho trovato commovente come anche persone non giovanissime fossero ansiose di imparare ad usare i nuovi strumenti tecnologici pur di non perdere la lezione di coro: quelle lezioni sono state momenti di psicoterapia e pillole di buonumore, mi hanno detto poi in molti”.
Il potere catartico della musica era già noto agli antichi Greci. E se dunque la musica può curare i mali dell’anima, siamo sicuri che sia un bene non essenziale? È davvero giusto e sensato collocarla all’ultimo posto di una scaletta al cui primo posto vi è chi cura i mali del corpo?
Ma vi è un altro motivo, di natura più semplice e pragmatica, per cui bisognerebbe ritornare ad investire sul mondo della musica lirica. “Al momento si parla tanto di crisi del turismo”, osserva Grosselli, “ma per cosa vengono da noi i turisti? Per il mare, forse, ma soprattutto per la cucina e per l’arte. Perché sono queste le armi principali che abbiamo. E poche forme d’arte sono tanto tipicamente legate al nostro paese, già nell’immaginario comune, quanto l’opera. Pensate a quanti stranieri troviamo in sala quando andiamo ad assistere ad un’opera nelle grandi città… Come possiamo aspettarci di risollevarci se non valorizziamo i nostri punti di forza, se non investiamo nelle nostre eccellenze?”.