Chronicle | Cassazione

Durnwalder, il perché della condanna

Le motivazioni con cui la Corte ha confermato la diffamazione a danno di Robert Schülmers. Il no alla testimonianza di Tarfusser, le accuse respinte sulla “provocazione”.
Luis Durnwalder
Foto: Philipp Naderer/Alpbach

Il ricorso non può trovare accoglimento. Così scrivono i giudici della V sezione penale della Corte di Cassazione nella sentenza del 3 febbraio 2020 che ha reso definitiva per Luis Durnwalder, ex presidente della Provincia di Bolzano, la condanna per diffamazione nei confronti di Robert Schülmers (da gennaio tornato in regione quale magistrato di Corte dei Conti). Nelle motivazioni presentate nei giorni scorsi - le firme in calce sono di Antonio Bruno, presidente, e Paolo Micheli, quale consigliere estensore - sono delineati gli elementi che hanno fatto propendere per la conferma del verdetto d’appello. La vicenda rappresenta una delle tegole giudiziarie che hanno interessato il politico altoatesino: nello specifico riguarda il procedimento avviato in seguito alle dichiarazioni alla stampa rese nel 2013 nei confronti dell’allora sostituto procuratore della Corte dei Conti di Bolzano, il quale aveva avviato un procedimento sui fondi riservati dell’ex Landeshauptmann.

 

Sentenza definitiva

 

In primo grado, come riassume l’Ansa, Durnwalder era stato condannato dal tribunale di Mantova ad un anno e 2 mesi di reclusione, oltre a 40.000 euro di risarcimento. La corte d’appello di Brescia ha poi confermato in toto la condanna al risarcimento, annullando però quella detentiva e decidendo, al suo posto, di infliggere una sanzione penale pecuniaria di mille euro. Lo scorso 4 febbraio è diventato di dominio pubblico (anche sui media nazionali come il Fatto quotidiano) il tenore della sentenza della Cassazione, che ha respinto il ricorso presentato dalla difesa dell’ex presidente, facendo diventare definitiva la condanna.

 

Il no ai teste della difesa

 

La prima considerazione “in diritto” del collegio giudicante - di cui fanno parte anche i magistrati Giuseppe De Marzo, Michele Romano, Alessandrina Tudino - verte sulla questione delle testimonianze. I giudici non accolgono la tesi della difesa circa il processo di appello. Nel dettaglio, riguardo “al vizio formale in ordine alla mancata ammissione di prove testimoniali indotte dalla difesa”. “Le decisioni dei giudici di merito - è la risposta - si sottraggono alle censure avanzate nell’interesse del ricorrente”.

 

 

Il riferimento è ai testimoni ascoltati nell’udienza tenutasi al tribunale di Trento. I primi tre teste identificati nella lista a verbale sono “i giornalisti autori degli articoli menzionati nel capo d’imputazione” nel provvedimento di diffamazione. L’altro è Cuno Tarfusser, già procuratore capo di Bolzano, “indicato come soggetto in grado di riferire sulle circostanze del trasferimento dell’odierna parte civile”. Dunquedi  Schülmers. 

Per i giudici di Cassazione “non avrebbe potuto trovare spazio l’ipotetica prospettiva di escutere il dottor Tarfusser sui cattivi rapporti intercorsi con il collega, giammai invitato ad ‘allontanarsi’ da sedi o incarichi ma sempre trasferitosi in seguito a domande ad hoc”. Insomma, per la Corte, “un conto è ipotizzare che un sostituto procuratore della Repubblica si disponga autonomamente a non restare in un ufficio la cui direzione verrà assunta da un magistrato con cui non va d’accordo, tutt’altra cosa è dichiarare - come Durnwalder volle adombrare - che quel Sostituto sia allontanato dall’ufficio medesimo, evidentemente per decisione assunta da altri”.

Stesso esito per la richiesta dalla difesa di sentire Josef Negri, ex presidente dell’associazione degli imprenditori dell’Alto Adige. Avrebbe dovuto deporre, si legge nella sentenza, su un “antefatto alle vicende descritte nel capo d’imputazione”, in particolare “sul disagio e l’imbarazzo prodotti da atti di perquisizione e sequestro compiuto presso l’ufficio di Durnwalder il 18 ottobre 2012, contestualmente ad impegni del presidente della Provincia con esponenti politici italiani e stranieri”. Per i magistrati “emerge ictu oculi la superfluità della prova ai fini della decisioni da assumere nel processo (di secondo grado, ndr): da un lato, che quelle iniziative fossero sgradite da chi le subì appare una constatazione ovvia; dall’altro, i fatti che occasionarono le presunte dichiarazioni diffamatore dell’imputato furono altri, e largamente posteriori”.

Le scelte sui teste da ammettere compiute nel corso del processo di appello sono quindi ritenute corrette dalla Cassazione.

 

Oltre la critica giudiziaria

 

Altro elemento, l’esercizio o meno del diritto di critica giudiziaria. Per la Cassazione Durnwalder nelle sue dichiarazioni è andato oltre. Non si limitò “a prospettare riserve sull’operato degli inquirenti e di chi ne coordinava l’attività, ma aggiunse dati oggettivamente non rispondenti al vero, anche su particolari dove non vi era spazio alcuno per la formulazione di opinioni personali”.

Durnwalder - precisano sempre i magistrati della Suprema corte - sostenne di non essere mai stato sentito, senza avere avuto la possibilità di difendersi. Ma “già all’atto dei primi sequestri iniziali - proseguono - fu ammesso a rendere dichiarazioni puntualmente verbalizzate, assistito dal proprio avvocato”. Inoltre, non risultano ulteriori richieste di nuovi interrogatori o presentazioni spontanee. L’accusa nei confronti di Schülmers di aver divulgato “informazioni false o riservate” non sarebbe stata accompagnata dalla precisazioni di “in quali occasioni e in cosa sarebbe consistita l’alterazione della realtà o la violazione del segreto”.

 

“Nessuna provocazione”

 

Infine i giudici definiscono “inconsistente l’assunto difensivo di una presupposta provocazione, da ricollegare all’articolo di stampa uscito il 3 marzo 2013”. La Corte d’appello aveva chiarito a sufficienza secondo la Cassazione che “quel resoconto giornalistico desse contezza della mail indirizzata dalla parte civile (Schülmers) ai suoi colleghi della magistratura contabile (la Corte dei conti, ndr)”. Missiva che “si limitava a segnalare il coinvolgimento di Durnwalder in una vicenda genericamente definita come grave e senza alcun richiamo a indagini specifiche”. Dunque, i giudici della Cassazione non ravvisano nessuna irregolarità da parte del magistrato, parte lesa al processo per diffamazione.

Infine, il risarcimento del danno stabilito è ritenuto congruo, non per la correlazione “allo status di magistrato” del pubblico ministero “ma della grave lesione alla sua immagine e alla sua credibilità nel territorio in cui era chiamato a svolgere le proprie funzioni”. Il ricorrente dovrà pagare le spese processuali e rifondere quelle della parte civile, quantificate in 2.800 euro.