Lavoro dell'altro mondo.
Mi dice un piccolo imprenditore : “Se devo assumere tre persone e posso scegliere, tra locali e stranieri, scelgo stranieri”. La sua impresa, sempre molto regolare con contratti e pagamenti, svolge attività in un settore con molto lavoro manuale pesante. Chiedo il perchè della sua scelta e mi risponde:”perchè loro si adattano, pensano alla loro progressione sociale e non fanno tante storie”. Concorrenza sulle prestazioni. Non si tratta di un caso isolato: ormai interi settori economici vedono calare i collaboratori locali ed aumentare quelli stranieri. Agricoltura, turismo, costruzioni, pulizie, logistica, trasporti, assistenza alle persone, ecc. La “flessibilità” offerta da questi lavoratori stranieri sta spiazzando sempre di più la forza-lavoro locale (poca per la verità), di quei settori e di quei livelli professionali. Si può stimare che ormai il 30% del mercato del lavoro viva gli effetti diretti della globalizzazione dell’offerta di lavoro sia dipendente, che autonomo. Che aumenterà ancora di più con gli attuali nuovi flussi di immigrazione. Prima sono arrivate le merci, adesso arrivano le persone. Il problema è grave per le fasce più basse del nostro mercato del lavoro ed i settori non protetti. La Politica, le Istituzioni e purtroppo spesso anche il Sindacato sono invece insediati nella parte del lavoro protetto, impermeabile alla concorrenza e quindi si occupano di quello e poco dell’”altro” mondo del lavoro. Sul fronte della globalizzazione del lavoro e dell’immigrazione di massa, ci stanno i più deboli della nostra società.