Economy | Ristorazione

Contro il business dei buoni pasto

Un enorme volume d'affari – un incubo per ristoratori e aziende: un'app nata a Bolzano cerca di superare il buono pasto. Nick Preda (Cibuspay): “Serve sensibilizzazione”.
Buoni pasto
Foto: NurSind

È un mercato piuttosto 'rotto', arrivato allo sfinimento. Perché c'è tanto di marcio”. Non usa mezzi termini Nick Preda, titolare di un ristorante a Bolzano e co-fondatore di Cibuspay, un'applicazione che nasce come alternativa al sistema dei buoni pasto e alla giungla dei metodi di pagamento: “Cerchiamo di dare respiro ai nostri ristoratori – spiega Preda – d'altronde è un'idea partita nell'ambito della ristorazione e rivolta alla ristorazione. Chi utilizza e persino chi acquista i buoni pasto non ne conosce tutti gli aspetti negativi, perciò vorremmo fare più sensibilizzazione, far comprendere quanto siano vecchi”. Non è sempre facile: “Il CEO di una società di buoni pasto ci ha confessato: In Italia i ristoranti non si aspettano nulla, le aspettative sono così basse che prendono ciò che arriva. Le società possono marciarci perché il mercato è abituato così”.

Da quando però la “QuiGroup ha dichiarato il fallimento – con 300 milioni di euro debiti, di cui 200 milioni con gli esercizi convenzionati – qualcosa si è mosso. A livello nazionale è nata l'iniziativa #buonipastoinsostenibili. “Anche noi abbiamo un credito di 4mila euro con QuiGroup, ma c'è chi ne ha 70mila. In Italia i player sono solo una ventina, con le due multinazionali Edenred e Sodexo che detengono circa il 70% del mercato dei buoni pasto. Il volume d'affari è di 3 miliardi l'anno”.

 

Salto.bz: Com'è nata la vostra opposizione ai buoni pasto?

Nick Preda: Gestisco con un socio un ristorante ma non sono un ristoratore nato, bensì ho un background informatico ed economico. Dopo poco tempo ho notato i tanti problemi col mondo dei pagamenti B2B; a pranzo facciamo ca. 350-400 coperti nell'arco di un'ora e mezza, e tutti prima o poi dovranno alzarsi e pagare. La metà dell'incasso giornaliero è infatti costituito da buoni pasto, circa 25mila euro al mese. Tutte le aziende di buoni utilizzano una propria card con il chip, perciò hanno bisogno di un diverso dispositivo per “timbrare” il cartellino. I POS poi hanno la tecnologia 3G: è vecchia, ma intanto una grande mole di gente deve timbrarli. Durante il lockdown una persona arrivava a timbrare i buoni pasto per tutti i lavoratori che ordinavano d'asporto.

Ma non è questo l'unico problema.

Occorre verificare che le transazioni risultino in fattura, e nel nostro ristorante una persona segue soltanto questa rendicontazione per due o tre ore al giorno. Poi arriva la società di buoni pasto che ti chiede: abbiamo perso le transazioni, avete mica tenuto gli scontrini emessi dal POS?

 

Come funzionano esattamente i buoni pasto?

Il buono pasto ha una propria legislazione. È un sistema che dà dei benefit ai propri dipendenti, con un “blocchetto” di importi predefiniti. Quelli superiori a una certa cifra vengono tassati: nel tempo la deducibilità del buono cartaceo è diminuita da 5,29 euro a 4, in compenso quelli elettronici (con il chip) sono deducibili sino a 8 euro. All'azienda che acquista 1000 euro di buoni pasto, viene emessa una sola fattura, dopodiché l'intermediario del buono gestisce il rapporto col ristorante, chiedendo la commissione e altri costi nascosti. E poi ci sono gli sconti proposti alle aziende.

Su chi ricadono questi sconti?

C'è chi chiede ai ristoranti addirittura il 21% di commissione su ogni transazione. Vi sono aziende che prendono più del 20% di sconto dalla società del buono pasto. Nei lotti delle gare d'appalto Consip si arriva tranquillamente a queste percentuali di sconto. La commissione non è sempre così alta, ma dev'essere spalmata e mantenuta alta su tutta la ristorazione per coprire gli sconti dati alle aziende. Oltre alle commissioni, esistono costi per ogni “timbratura” del cartellino e per il noleggio del POS. Il ristoratore riceve gli incassi ottenuti coi buoni pasto anche settimane dopo: possono trascorrere 50-55 giorni, se non ulteriori trenta, se qualcosa non va per il verso giusto. Il problema della liquidità che arriva tardi si verifica pure con i cosiddetti “contratti mensa”.

Di cosa si tratta?

Le aziende che chiedono il “contratto mensa” mandano una lista al mese con l'elenco dei nomi dei propri dipendenti, da firmare ogni giorno a ogni pasto, e a fine mese il ristorante invia la fattura. Il ristoratore deve fidarsi dell'azienda che lo pagherà, e a sua volta l'azienda deve fidarsi delle firme sui documenti. È un'esperienza comune alla ristorazione.

Qual è la soluzione che proponete con la vostra applicazione?

Siamo partiti dall'interno del ristorante per cercare un'alternativa al buono pasto, ma non solo. Abbiamo pensato di digitalizzare questo “contratto mensa”. Con la Confesercenti ci siamo però chiesti come estendere questo sistema a tutti gli ambiti. Consultandoci con esperti provenienti dal resto d'Italia abbiamo capito che la soluzione migliore era un'app: più vantaggiosa per ristorante e azienda, un'alternativa vera ai buoni pasto, al contratto mensa, o a fatture e ricevute fatte lì per lì per ottenere il rimborso in azienda. Con noi tutto il sistema va in fattura (già saldata) all'azienda, che ricarica una prepagata digitale, sapendo quanti soldi dare ai propri dipendenti, soci, collaboratori. Ogni utente possiede il suo account nella app: una volta nel ristorante lo si utilizza come Satispay.

Che valore hanno effettivamente, se nessuno nel raggio di un chilometro e mezzo li accetta più?

Le aziende attente sul piano etico, su quello dell'economia circolare, sul locale, dovrebbero fare più attenzione nell'acquisto dei buoni pasto.

Quant'è diffuso l'uso dei buoni pasto in Alto Adige?

Sono molto utilizzati. Anche qui vi sono enti para-pubblici di grandi dimensioni che prendono più del venti per cento di sconto sul valore nominale del buono pasto, attraverso le gare Consip. Ma sul ristoratore ricadono poi costi nascosti, attorno al 15/16% di commissioni, e a mano a mano il ristorante non accetta più il buono pasto. E che valore ha effettivamente, se nessuno nel raggio di un chilometro e mezzo lo accetta più? Le aziende più attente sul piano etico, su quello dell'economia circolare, sul locale, dovrebbero fare più attenzione.

In cosa un'app sarebbe “eticamente” più vantaggiosa?

La nostra applicazione cerca di eliminare la carta, snellendo e digitalizzando tutti i processi burocratici aziendali ed eliminando molti altri costi aziendali. L'azienda infatti non deve ordinare i buoni pasto, e ad esempio una banca non deve poi distribuirli a tutte le sue filiali. Il vantaggio principale per il ristoratore, invece, è la liquidità immediata: ogni venerdì si riceve il bonifico. È giusto che i soldi arrivino subito, quando un cliente viene a mangiare, anziché aspettare trenta giorni. Ci sono anche altri vantaggi fiscali sull'IVA e un sistema di “cashback” al ristorante. Infine, noi di Cibuspay abbiamo il mandato del ristoratore di mandargli le fatture, totalmente deducibili: fatturiamo immediatamente, al ristorante basta emettere lo scontrino.

Come è stata accolta la vostra iniziativa?

Abbiamo trenta ristoranti tra i nostri clienti, collaboriamo con realtà locali come CNA e HGV.  Ma con molti ristoratori, se parli di buoni pasto, manca poco ti sputino addosso. C'è esasperazione, un clima di rifiuto. È difficile far capire che anche noi li combattiamo. Ci vorrebbero dei “mini-scioperi” dei buoni pasto.