Culture | Contro le punizioni

Decreto legge n. 123 del 15/9/2023

Ripugna ai pedagogisti progressisti la logica punitiva a cui si ispira il recente inasprimento del sistema penale per contrastare la crescente criminalità minorile
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  • Egr. Direttore del T quotidiano,

    ripugna ai pedagogisti progressisti la “logica punitiva” a cui si ispira il recente inasprimento del sistema penale per contrastare la crescente criminalità minorile: decreto legge n. 123 del 15 settembre scorso. Il dr. Fabiano Lorandi ritiene in un editoriale del 12 ottobre che tale iniziativa sia dovuta ad una scarsa conoscenza pedagogica, soprattutto del pensiero di Michele Foucault.

    Concordo sul fatto che gli ideatori del decreto non abbiano letto le opere dell’illustre filosofo ma, sono altresì certo che nessun influsso dissuasivo avrebbe avuto su di loro una simile fatica. Per ribadire che la logica punitiva non solo è nociva (riduce l’autostima, impedisce una crescita responsabile e autonoma) ma anche inutile (rinforza, invece che inibire il comportamento che si intende correggere) non c’era bisogno di incomodare Foucault: è da mezzo secolo, dal ’68, che se ne martella il concetto al punto che credo siano pochi ormai in Occidente a non averlo ancora introiettato.

    A chi ne è rimasto immune provvedono i giudici: Giovanni Colasante consigliere comunale di Canosa di Puglia, 12 anni fa (31/8/’11), vacanziere in Svezia con famiglia, ha trascorso tre giorni in galera per aver “maltrattato” il figlio dodicenne con un salutare schiaffone educativo.

    Se ne fanno sfida i bulli, curiosi di saggiarne il limite: notevole quello raggiunto il 16 maggio scorso da due di loro, studenti dell’Itis Viola di Rovigo: non è da tutti riuscire a colpire alla testa con due piombini sparati da una pistola ad aria compressa la propria professoressa di scienze e un mese dopo, come se nulla fosse accaduto, superare l’anno scolastico a pieni voti con solo (ma perché è intervenuto il Ministro) l’abbassamento di un punto (da 10 a 9) del voto in condotta.

    Ha improntato di sé, distorcendolo, ogni rapporto che abbisogna di autorità, da quello formativo (educatore/educando) a quello preventivo/repressivo (poliziotto/reo).

    La disciplina in classe non è più un dato scontato, va rinegoziata ogni giorno visto che gli studenti vantano pari diritti degli insegnanti; il conseguimento del diploma è ormai percepito come un diritto acquisito; i voti negativi, non fungono più da consapevole presa d’atto degli errori da emendare, ma vengono intesi come una punizione e vessatore è giudicato chi li commina: la recente legge provinciale n. 12 del 29 giugno che vieta agli insegnanti bolzanini di usare nelle valutazioni scolastiche voti inferiori al “4”, offre uno spaccato tragicomico della gravità di questa omologazione.

    La bilancia della giustizia s’è rotta, l’ago vira sempre da una parte sola. In una sua recente relazione sull’ordine pubblico, il questore di Milano, si è detto preoccupato per l’alto tasso di recidività dei reati: il problema? norme non sufficientemente severe e un’azione giudiziaria che punta sulla scarcerazione facile. Il diritto di proprietà si è pericolosamente affievolito: lo Stato ha più a cuore i diritti dei conduttori morosi occupanti che quelli dei locatori espropriati dileggiati: c’è un programma televisivo “Fuori dal coro” che su questa distorsione s’è costruita l’audience.

    Un minimo di sensibilità scientifica suggerirebbe che se per mezzo secolo – tanti sono stati gli anni di sperimentazione – una metodologia pedagogica non solo non ha apportato all’ambiente sociale i miglioramenti promessi, ma lo ha addirittura peggiorato, qualche dubbio sulla sua validità dovrebbe pur venire.

    Chi oggi ha deciso di inasprire il sistema penale per contrastare la criminalità minorile non avrà letto una sola parola dell’opera di Foucault, ma dimostra più coraggio e assennatezza di chi ne ha studiato l’intera opera.