Society | Verso il 25 novembre

Storie di violenza - e di rinascita

Abusi di genere, l’esperienza di quattro donne nella mostra alla stazione di Bolzano. L’autrice Debora Leardini: “Ecco le nostre ferite”. La parte finale è un’anteprima.
Trip Debora Leardini
Foto: Trip-Debora Leardini

Storie mai raccontate prima di violenza sessuale, ma anche fisica, psicologica, economica e relazionale. Sono le esperienze condensate nella mostra fotografica Trip - dall’inglese viaggio, oppure inciampo -, un’iniziativa nata nel 2016 che si appresta a fare tappa a Bolzano. Con una novità: la parte finale del percorso, che va dal vissuto di violenza al “recupero possibile”, è stata ripensata. “L’abbiamo rifatta perché la versione precedente era troppo rassicurante, non emergevano le ferite, le nostre ferite, visto che ci sono anch’io tra queste donne” racconta l’autrice, Debora Leardini, psicoterapeuta e fotografa attiva tra il Veneto e la Svizzera. L’allestimento verrà inaugurato nell’atrio della stazione ferroviaria di Bolzano sabato 23 novembre, nell’ambito degli eventi per la giornata contro la violenza sulle donne di lunedì 25 novembre.

 

Stazione, un luogo di incontro

 

Un luogo di grande affluenza e passaggio quotidiano, quello della stazione, che non è stato semplice ottenere. Ma grazie alla mediazione del consultorio Kolbe e del Comune capoluogo, promotori della tappa locale della mostra, Rfi ha accettato di metterlo a disposizione. All’inaugurazione sarà presente Leardini, che a salto illustra i contenuti dell’allestimento del capoluogo e come è nato all’inizio il progetto.

 

 

La nascita di Trip

 

“L’idea è sorta alla fine del 2015, quando un’associazione mi aveva chiesto delle foto per una mostra sulla violenza contro le donne” racconta la psicoterapeuta, che aveva già curato allestimenti relativi all’indagine psicologica e sociale. “Non avendo nulla di questo tipo, ho pensato di strutturare un progetto, visto anche che molte delle mie pazienti private mi portavano storie legate ad abusi e maltrattamenti. Quindi l’idea iniziale era proprio utilizzare la fotografia per proporre un lavoro da realizzare con altre donne che hanno voglia di raccontarsi. Obiettivo, rivelare autenticamente che cosa lascia la violenza nel corpo, nelle emozioni e nelle sensazioni di coloro che l’hanno subita”.

 

 

Il progetto avviato nel 2016 è quindi stato strutturato grazie all’adesione di otto donne che, continua l’autrice, “hanno deciso volontariamente di partecipare”. Persone che hanno subito un trauma di natura diversa - non solo sessuale ma anche fisico, psicologico, economico, di discriminazione, anche sul lavoro - ma accomunate “dalla volontà di fare i conti con la vulnerabilità che ha lasciato dentro di loro”.

 

Parte prima, il vissuto di violenza

 

Sono quattro le tappe in cui si è articolato il difficile percorso. La prima, il “vissuto di violenza”. Partendo da una domanda, “come stai?” e da una risposta: “Mi sento scomoda dentro di me, mi sembra di essere continuamente esposta, con l’istinto di nascondermi”. Seduta, di fronte alla psicoterapeuta, ciascuna donna ha cominciato a immergersi nel ricordo dell’abuso. La loro posizione assunta inconsapevolmente nel momento di immedesimazione è stata oggetto dello scatto. “Quando senti di essere dentro il ricordo, e ti senti pronta, dimmelo che scatto: ecco cosa dicevo loro” racconta Leardini. 

 

 

Guardando a posteriori gli scatti, una donna, ha confidato alla psicoterapeuta di avere trovato una forma “per non sentirsi più in colpa”, un’occasione “per guardarsi con compassione”. “È questo - riprende l’autrice - il primo passo di un processo trasformativo che hanno e abbiamo vissuto”. 

 

Gettare via la valigia della paura

 

Da lì le tappe seguenti. La seconda, “conseguenze”, con la domanda: “Se dovessimo raccontarlo attraverso una metafora, come potremmo farlo?”. E ancora la terza (stavolta a colori) “la richiesta di aiuto, l’incontro tra le donne, il viaggio”. “Abbiamo passato una giornata assieme, dal bosco al mare - prosegue -, e alla fine come gesto catartico abbiamo buttato in acqua una valigia, contenente tutte le paure e le vecchie trappole”.

 

La fine è un nuovo inizio

 

Via le angosce per cercare di aprire lo scenario. È la quarta tappa: “Il viaggio si chiude con la ri-formazione di una poiesis, una poetica che è azione ed integra le ferite a una capacità di amarsi, amare, dare e prendere rinnovata” scrive negli appunti Leardini. Ed è proprio la parte rivisitata che avrà la sua anteprima a Bolzano: “Ogni donna - riprende - si racconta nella sua fragilità. Una si ritrae mentre legge un libro in autobus, come a dire  che anche se non è automatico si può riuscire ad allentare il controllo rivolto all’ambiente circostante, un’altra mentre si trucca di fronte allo specchietto dell’auto, nella rappresentazione del diritto di farsi belle, sentirsi bene, senza percepire il rischio nell’essere desiderabili: ecco il suo messaggio”.

 

 

La parte finale è stata ripensata perché, come spiega la psicoterapeuta, nella versione iniziale sembrava troppo rassicurante, non emergevano “le ferite lasciate, ma solo il ruolo nuovo ritrovato”. Postilla: l’allestimento bolzanino contiene solo quattro delle otto storie originali, precedentemente suddivise in quattro diverse mostre fotografiche, ora tenute insieme in una versione ridotta dal progetto Trip. Leardini ci tiene a concludere con un ringraziamento per l’aiuto “al maschile”: il mio collaboratore, Gustavo Bonino, ci ha aiutato nelle fotografie della terza tappa. È stato delicato, rispettoso, ci tenevo a questo contributo maschile, dato con grande sensibilità”.