Le porte chiuse dell'Europa
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Centri per il rimpatrio italiani, diritto alla salute delle persone migranti e Patto europeo sull’asilo e la migrazione: questi i temi al centro dell’incontro “Cpr e nuovo Patto Ue: perché rifiutare il modello della detenzione amministrativa qui e altrove”, che si è tenuto martedì 21 gennaio alla facoltà di Giurisprudenza di Trento. L’evento è stato organizzato dal Coordinamento Regionale del Trentino Alto Adige “No Cpr” all’interno del percorso di mobilitazione dal basso in opposizione al piano del governo Meloni che punta a realizzare due Cpr, rispettivamente nelle province di Trento e Bolzano. “Con questo incontro informativo abbiamo voluto anche accendere i riflettori sul nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, che a partire dal 2026 amplierà su scala continentale sia le modalità di detenzione amministrativa, sia il numero di persone che ne potranno essere oggetto”, ha spiegato a SALTO Stefano Bleggi, moderatore della serata.
Ad accompagnare le numerose persone presenti in un “viaggio” nell’universo oscuro della detenzione amministrativa sono stati tre ospiti di rilievo: Maurizio Veglio, avvocato specializzato in diritto all’immigrazione e socio dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi); Fatima Zahra El Harch, dottoranda di Giurisprudenza in studi giuridici comparati ed europei e, collegato da remoto, Nicola Cocco, medico infettivologo, attivista della rete Mai più lager-No ai Cpr di Milano e membro della Società Italiana di Medicina della Migrazione (SIMM). I relatori hanno sottolineato come i tre temi trattati nel corso della serata – Cpr, salute delle persone migranti e Patto europeo – siano indissolubilmente legati dal filo rosso della detenzione amministrativa, dispositivo su cui la politica europea ha puntato con decisione per la gestione del fenomeno migratorio.
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La detenzione amministrativa in Italia: una storia lunga più di 25 anni
Il puntuale excursus storico sui Centri di permanenza per il rimpatrio italiani è stato l’oggetto dell’intervento di Maurizio Veglio. L’avvocato ha individuato alcuni momenti specifici che hanno portato la detenzione amministrativa al centro dell’agenda politica nazionale e continentale: dall’istituzione degli allora Centri di permanenza temporanea (Cpt) – oggi Cpr – all’approccio hotspot, passando per la giurisdizione “apparente” che regola la privazione della libertà dei cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno.
“A introdurre la detenzione amministrativa nell’ordinamento giudiziario italiano è l’articolo 14 del Testo unico sull’immigrazione del 1998, la cosiddetta legge ‛Turco-Napolitano’”, ha spiegato Veglio. Secondo la norma il Cpr dovrebbe essere l’anticamera dell’aeroporto, un luogo in cui le persone che non dispongono di un passaporto vengono trattenute per essere identificate e per ricevere poi un documento consolare ed essere condotte in aeroporto per il rimpatrio. “Dopo 27 anni sappiamo che il numero di volte in cui il trattenimento amministrativo si è concluso con l’effettivo rimpatrio del cittadino straniero non supera il 50 percento”, precisa l’avvocato Asgi, che definisce questa procedura un vero e proprio “rito di segregazione”, perché “è riservato esclusivamente a una determinata categoria di cittadini unicamente sulla base della loro nazionalità e sull’ assenza del permesso di soggiorno”.
“Nei Cpr avviene un vero e proprio rito di segregazione su base etnica.”
L’avvocato ha poi sottolineato come nel corso dei decenni la detenzione amministrativa sia stata assimilata dal sistema e “giurisdizionalizzata”, “stabilendo che ci sarebbe stato una stanza in cui un giudice avrebbe convocato un’udienza”: da una parte la pubblica amministrazione, dall’altra lo straniero rappresentato da un avvocato. Va precisato – come ha fatto Veglio– che a decidere in merito alla convalida (o meno) del fermo, nel caso dei Cpr non è un giudice togato, bensì un giudice di pace. Questa figura, introdotta nel 1991, nasce in primo luogo con una funzione di prossimità, mediazione e conciliazione ed è chiamata a pronunciarsi in materia di trattenimento solo per quanto riguarda la detenzione amministrativa. “Il giudice di pace non ha la stessa postura di autorevolezza e imparzialità che ha un giudice togato – ha puntualizzato il legale – e oltretutto è pagato poco e male in base al numero di udienze e trattenimenti che adotta. Anche per questo motivo l’80 percento delle udienze si conclude con la convalida del fermo”. Un ulteriore aspetto allarmante è rappresentato dalla durata media di questa procedura, che non supera i trecento secondi. “Le convalide sono caratterizzate da carenze istruttorie e di motivazioni e utilizzano perlopiù formule di stile che non hanno alcun riferimento alle circostanze individuali”. Ragione per cui la Corte di cassazione ha bastonato questa giurisprudenza evidenziando che i decreti di convalida presi in esame presentano “motivi di incostituzionalità solari, esempi di pura invenzione giuridica, letture fantasiose, selva di crocette su un modulo prestampato, motivazioni standardizzate e apparenti”.
Da una giurisdizione apparente, come la definisce l’avvocato Veglio, a una giurisdizione del tutto assente il passo è breve ed è a questo che l’Italia approda nel 2015, anno che segna il debutto del cosiddetto “approccio hotspot”. “Questo dispositivo – ha concluso l’avvocato – amplia le possibilità di utilizzo della privazione della libertà personale e lo fa realizzando una cosa che non ha precedenti dal punto di vista giuridico: il trattenimento senza convalida giudiziaria, fondato su una circolare del ministero dell’interno che stabilisce che le persone possono uscire solo in seguito al fotosegnalamento”.
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La salute non è un diritto di tutti
Oltre a istituire i Cpr, la “Turco-Napolitano” ha legiferato in materia di tutela della salute delle persone migranti. “Se anche l’intenzione poteva essere nobile, gli articoli 34, 35 e 36 del testo di legge hanno creato un sistema razzista ed escludente, fatto di realtà ambulatoriali parallele, come per esempio gli ambulatori Stp”. Non ha usato mezzi termini il dottor Nicola Cocco, medico infettivologo e attivista della rete “Mai più lager – No ai Cpr” di Milano, per illustrare le ricadute che il Testo unico sull’immigrazione ha avuto sulla salute dei cittadini stranieri sprovvisti di titolo di soggiorno. Insieme alla rete di attivisti e attiviste milanesi, in diverse occasioni il dottor Cocco ha potuto varcare la soglia del Centro per il rimpatrio del capoluogo lombardo per svolgere un’attività di monitoraggio e denunciare le condizioni in cui sono detenute le persone. Altre volte sono stati i trattenuti stessi a condividere con loro video e immagini dall’interno. Il quadro che ne esce è a dir poco allarmante.
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“Uno dei casi che abbiamo denunciato di recente ha visto una persona che, dopo aver tentato il suicidio nel Cpr di via Corelli, è stata portata all’ospedale sedata e ammanettata alla barella. Una volta dimessa e rientrata al Cpr, è stata condotta in infermeria nella medesima condizione. Tutto questo senza alcun rispetto della dignità dell’individuo e delle indicazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), che vieta in maniera categorica l’utilizzo di mezzi di restrizione meccanici in contesti dove non a rischio l’incolumità di altri”.
Come hanno denunciato diverse inchieste giornalistiche, le violazioni e le sofferenze che caratterizzano i luoghi della detenzione amministrativa sono gestiti dal personale sanitario dei centri, assunti direttamente dagli enti gestori, attraverso l’abuso di psicofarmaci. Il giudizio del dottor Cocco a questo proposito è netto: “Il personale sanitario dei Cpr è incapace di gestire il dolore dei trattenuti e somministra psicofarmaci per due motivi principali: da un lato come normale prassi di gestione degli individui, dall’altro per silenziare proteste o situazioni considerate a rischio per la sicurezza del Cpr”. Questo avviene in molti casi su pressione delle forze dell’ordine e determina “la realizzazione di quella che Franco Basaglia chiamava la camicia di forza farmacologica e al contempo la degradazione della figura professionale del medico che si comporta in maniera ancillare nei confronti delle forze di polizia”.
“Nei Cpr di realizza quella che Franco Basaglia chiamava la ‛camicia di forza farmacologica’.”
Il dottor Cocco ha quindi ribadito la centralità dei medici nella tutela della salute – e dei diritti – dei cittadini stranieri, richiamando l’importanza del loro ruolo nelle visite di idoneità al trattenimento. Questa procedura, sancita dall’articolo 3 della direttiva Lamorgese (provvedimento del 2021 che riguarda l’accoglienza dei richiedenti asilo e i controlli nelle aree a contenimento rafforzato), prevede che prima dell’ingresso in un Cpr la condizione di salute delle persone deve essere valutata da un medico del Servizio Sanitario Nazionale, che deve escludere la presenza di malattie infettive, patologie cornico-degenerative, disturbi psichiatrici, e vulnerabilità sociali. Proprio per informare e sensibilizzare i medici italiani circa il proprio ruolo all’interno del sistema della detenzione amministrativa la rete Mai più lager-No ai Cpr e la Società Italiana di Medicina per le Migrazioni hanno avviato una campagna di sensibilizzazione. “Troppo spesso i medici non hanno contezza di cosa sia un Cpr e non sanno che la loro valutazione di idoneità porta le persone ad essere rinchiuse in luoghi patogeni e psicopatogeni – ha sottolineato il dottor Cocco. – L’obiettivo è abbattere l’ignoranza ed evitare che il personale sanitario collabori con la redazione di vere e proprie diagnosi politiche per uno Stato che vuole portare le persone migranti in luoghi che a livello internazionale vengono definiti torturing environment”.
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La detenzione amministrativa come nuovo paradigma europeo
Se i presupposti giuridici e gli effetti sulla salute della detenzione amministrativa sono stati riservati per lungo tempo solo alle fasi di rimpatrio dei cittadini stranieri sprovvisti di un regolare titolo di soggiorno, è altresì vero che a partire dal 2026 l’attuazione del nuovo Patto europeo sull’asilo e le migrazioni assegnerà a questo strumento buona parte della gestione del fenomeno migratorio. Su questo particolare e delicato aspetto si è concentrato l’intervento conclusivo di Fatima Zahra El Harch, dottoranda di Giurisprudenza in Studi giuridici comparati ed europei. “Con questo patto – proposto nel 2020 dalla Commissione europea, votato ad aprile 2023 dal Parlamento europeo ed entrato in vigore a maggio 2024 – l’approccio hotspot e la banalizzazione del trattenimento di migranti e richiedenti asilo arrivano a compimento”, ha affermato la ricercatrice, che ha sottolineato come “verranno rafforzate anche alcune tendenze già in atto, su tutte l’esternalizzazione delle frontiere e il rafforzamento dei confini per impedire ai migranti l’accesso al territorio europeo”.
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Obiettivo primario è ridurre la cosiddetta immigrazione irregolare e impedire i movimenti secondari di migranti e richiedenti protezione internazionale. Una misura liquida e obliqua, quindi, che attraverso il trattenimento regolerà il sistema di asilo in tutte le sue fasi: dalle procedure di screening fino a quelle di rimpatrio. “Nell’ottica di questa visione vengono privilegiate scelte coercitive rispetto alla libertà di movimento delle persone e verrà stravolto il modello di accoglienza, che sarà costituito da centri di detenzione situati nei territori di confine dei Paesi europei secondo il principio degli hotspot”.
“Il sistema di accoglienza sarà costituito da centri di detenzione situati nei territori di confine.”
Un pilastro del nuovo Patto Ue, inoltre, sarà costituito dalle procedure di frontiera per l’esame delle domande di protezione, che saranno applicate alle persone provenienti da Paesi con un tasso di riconoscimento dello status di rifugiato inferiore al 20 percento. “L’uso arbitrario delle statistiche sancisce di fatto la morte del diritto di asilo, visto che non avrà ha più importanza la storia individuale della persona, come stabilito dalla Convenzione di Ginevra sullo stato dei rifugiati”, ha fatto notare la ricercatrice. Anche durante il periodo di analisi della domanda le persone saranno trattenute in un “luogo idoneo” nelle zone di frontiera. Altra novità introdotta dal Patto Ue è la finzione di non ingresso, uno strumento che consente agli Stati membri di considerare i migranti intercettati alla frontiera come non autorizzati all’ingresso nel Paese europeo di destinazione. “Questa dispositivo andrà a creare una zona grigia, in cui le persone di fatto si troveranno trattenute sul suolo dello Stato europeo in cui sono entrate, ma non avranno pieno accesso ai diritti garantiti dalla legislazione nazionale ed europea”, ha sottolineato El Harch.
Dieci anni dopo l’ormai celebre “Wir schaffen das” pronunciato dall’allora cancelliera tedesca Angela Merkel, l’Europa sembra dunque essersi ripiegata su sé stessa e aver scelto definitivamente la strada della chiusura. “È evidente come il percorso intrapreso miri in tutto e per tutto all’esclusione e alla criminalizzazione delle persone in movimento – ha concluso El Harch, – attraverso un meccanismo punitivo che ha creato una porta scorrevole in cui le persone sono detenute in ogni momento: dal loro ingresso sul territorio europeo a quello dell’eventuale rimpatrio, passando per tutti i passaggi intermedi della procedura di asilo”.
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