Culture | Salto Afternoon

Due spettacoli firmati Emma Dante

“La scortecata” e “Misericordia”, ovvero quando il teatro è fatto di scarni elementi scenici, di nuova e antica sapienza e di tanto, tanto talento.
misericordia3.jpg
Foto: Festival di Spoleto / ph.MLAntonelli-AGF

La Stagione regionale contemporanea proposta dallo Stabile di Bolzano insieme al Centro Servizi culturali Santa Chiara e al Coordinamento Teatrale Trentino ha dedicato una finestra all’autrice e regista palermitana Emma Dante con i suoi lavori “La scortecata” e “Misericordia” andati in scena, con due repliche ciascuno, al Teatro Studio del Comunale di Bolzano.
Nella prima delle due fiabe ‘La scortecata’, liberamente tratta da una raccolta della tradizione napoletana del XVI secolo, la scenografia si esaurisce in due seggioline pieghevoli e una porta scardinata adagiata sul palco che, quando lo richiede la trama, è tenuta in piedi dai due interpreti. 
 

Quello di Emma Dante resta un teatro impietoso e felicemente irreligioso, perché la misericordia, che ha la stessa radice etimologica di miseria, non si lascia confondere con la pietas, di cui la religione pretende il monopolio. 


Nessun’altro supporto, se non le luci di scena e qualche orpello, qualche straccio di vestiti, una corona di stoffa a indicare il re e la lama tagliente di un coltellaccio nel finale, sono a disposizione dei due attori, Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola, che interpretano il ruolo delle due vecchie sorelle e in alternanza quello del re. 
E naturalmente il loro corpo e la musicalità della parlata strettamente napoletana,  che per la ricchezza dei gesti che la accompagnano è in qualche modo comprensibile a tutti.
Nella fiaba il re resta invaghito dalla voce di una delle vecchie senza vederla,  e vuole averla per sé. Attraverso un pertugio le due gli mostrano il dito ancora liscio di una delle sorelle. Solo quando si arriva all’amplesso il re scopre che la donna è una vecchia e la rigetta, questa però si salva e grazie a un incantesimo si trasforma in una giovane e diventa la sposa del re. L’altra sorella vuole essere anche lei bella e, in questa illusione, per liberarsi della sua vecchia pelle rugosa si lascia scorticare. 
 


Nella lettura di Emma Dante, sono le due zitelle, che pur mal sopportandosi non possono vivere una senza l’altra, a inscenare tra loro la fiaba scurrile e a comporre una pur fragile e amara solidarietà femminile. 
Che siano due attori maschili a incarnare le due decrepite sorelle, in una favola che ride del desiderio di due donne anziane e le mette alla gogna per la loro bruttezza, è sì coerente con la tradizione del teatro settecentesco, ma sotto alla vena umoristica, si lascia leggere anche come un indizio della ribellione della regista ai moralismi di cui sono da sempre vittime le donne.
Nella pesantezza forzata dei gesti dei due attori, nell’innaturale inibizione della loro vera agilità, sono soprattutto il declino del corpo umano, la volgarità e miseria della vecchiaia, che si manifestano e con cui il pubblico è chiamato a confrontarsi, oltre alla condizione femminile e al rapporto con il potere simboleggiato dal re. 
 


Il secondo spettacolo andato in scena a Bolzano, è una fiaba contemporanea  scritta dalla stessa Emma Dante. Anche in ‘Misericordia’ la scenografia rimane scarna, con pochi oggetti sul palco: un cuscino, una valigia, qualche gioco e un sacco grigio di plastica. Le seggiole diventano quattro, per ospitare stavolta tre interpreti femminili e un quarto attore nel ruolo di un ragazzino menomato che vive con le tre prostitute che gli fanno da madre. 
Le tre donne durante il giorno sferruzzano scialletti, la sera vendono i loro corpi ai passanti sulla soglia di casa, ma si prendono cura di quel bambino orfano che si muove costantemente dentro il locale angusto e miserevole in cui vivono. 
Nato letteralmente dalle botte del padre su sua madre, che muore dopo averlo partorito settimino, viene cresciuto dalle tre donne con cui lei divideva la misera esistenza e il mestiere. 
Arturo è un bambino non finito, disordinato, e l’allusione al burattino di Collodi è evidente.
 


Il padre violento, cliente della madre, faceva anche il falegname ed era soprannominato Geppetto. Il viaggio nel paese dei balocchi è sostituito da pezzi di monnezza colorata che fuoriusciti dal sacco invadono la stanza.
La danza scomposta, ossessiva e ininterrotta del burattino Arturo è interpretata sulla scena da Simone Bardelli, che mostra una bravura eccezionale.
Nello squallore e miseria in cui sono relegate dalla società, alle tre donne, interpretate da Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco e Leonarda Saffi della Compagnia Sud Costa Occidentale, con l'unico ausilio della musica di una banda, riesce il miracolo di far nascere un bambino da quel burattino incompleto e malnato e di vestirlo d’amore. 
Un gesto di misericordia, che niente ha a che fare con la retorica cristiana però. La sofferenza e i sentimenti  dei personaggi emarginati messi in scena da Emma Dante, passano sempre attraverso il corpo e la carne. L’autrice e regista in fondo rivendica il loro diritto di esistere, di sognare e di essere misericordiosi. Anche nei tuguri più lerci, anche se costa tantissimo sudore e fatica.
Quello di Emma Dante resta un teatro impietoso e felicemente irreligioso, perché la misericordia, che ha la stessa radice etimologica di miseria, non si lascia confondere con la pietas, di cui la religione pretende il monopolio. 
E con cui da secoli detta la gerarchia del potere, tra chi salva e chi deve essere salvato.