Culture | Residenza e memoria

Incontroluce

La memoria rende i confini fluidi. Nell'Alta Val di Non la quinta edizione del progetto multimediale Incontroluce, una residenza d'artisti che coinvolge gli abitanti.
Manuel Canelles
Foto: Manuel Canelles
  • In un territorio di confine, la memoria è spesso divisiva. Il progetto multidisciplinare Incontroluce, avviato nel 2019 nell'Alta Val di Non da Manuel Canelles e Lucia Andergassen, elabora il tema della memoria attraverso una residenza artistica che coinvolge anche gli abitanti e mostra come invece la memoria condivisa renda fluidi i confini di spazio e tempo. La quinta edizione di Incontroluce Residency si tiene quest'anno dal 25 al 30 agosto 2024 in Val di Non, con la partecipazione dei Comuni di Ronzone e Borgo d'Anaunia. 

    Il curatore del metaprogetto Manuel Canelles spiega l'iniziativa: "Questo progetto accorpa e fonde in un’unica esperienza multidisciplinare diversi linguaggi artistici quali la fotografia, la video arte, il teatro, la performance art. Questa scelta nasce dalla convinzione che in un progetto di ricerca che mira a un’azione concretamente trasformativa sui partecipanti e nella prospettiva di attivare un processo di rigenerazione della comunità, l’unione dei diversi codici artistici possa essere funzionale alla ricerca di una verità non parziale. In questo senso l’associazione si propone di fare da tramite e sostenere la collaborazione simultanea di un team di professionisti che attraverso lo sguardo peculiare del proprio codice artistico possano condurre i partecipanti nell’esplorazione dei diversi campi d’indagine, nella creazione di connessioni interne al  gruppo e con la comunità, infine, per produrre un lavoro di restituzione che possa essere riflesso del percorso compiuto, ma anche specchio in cui altre soggettività, possano riconoscere tracce del proprio ritratto personale.

    Se perseguire la realizzazione di un’arte partecipata riflette la mission dell’associazione, la portata del progetto, gli obiettivi prefissati, la diffusione e divulgazione dell’esperienza, rappresentano una sfida e un format innovativo che vorrebbe essere consolidato per essere ulteriormente diffuso e agire in altri territori periferici o di confine".

  • Incontroluce Residency, un momento dei laboratori multidisciplinari aperti al pubblico di edizioni precedenti Foto: Manuel Canelles

    SALTO: Manuel Canelles, come funziona la residenza artistica dei partecipanti al progetto Incontroluce?

    Manuel Canelles: Gli artisti risiedono insieme nell’ ala di un albergo dell’Alta Val di Non, vivendo la residenza in maniera comunitaria e collettiva, partecipando in maniera immersiva all’esperienza. La condivisione prevede anche la convivialità comune del cibo e della sua preparazione.
    Ogni artista ha carta bianca rispetto a tematiche di lavoro e modalità di espressione. Ogni giorno sono previsti momenti di backoffice e di condivisione. Sono previsti momenti di lavoro comune.
    L’ultimo giorno di lavoro è prevista una restituzione del lavoro alla comunità dei paesi ospitanti, in particolare il Comune di Borgo d’Anaunia e quello di Ronzone. La restituzione non ha alcun intento dimostrativo o esibizionista, non si tratta né di spettacolo né di racconto orale. Non è possibile infatti definire ora ciò che risulterà da un processo che deve ancora attivarsi.

    Chi sono gli artisti coinvolti quest’anno, con quale ruolo?

    Gli artisti invitati per il 2024 sono Angela Giassi (Trieste) diplomata al Accademia Nico Pepe di Udine, regista, drammaturga e formatrice teatrale; Beppe Bettani (Milano), regista teatrale e formatore; Barbara Lalle (Roma), performer, artista e terapista per la riabilitazione neurologica post‐traumatica che attraverso le forme della pittura e della performance, esplora le modalità in cui disagio, privazione, dolore possano essere compresi, narrati, superatiì; Marco Marassi (Roma), fotografo di street photography e fotografia concettuale, Davide Skerlj (New York), artista che si muove tra pittura, installazione, scultura e ready-made; Davide Grotta (Palermo), documentarista e fotogiornalista, diplomato alla Zelig di Bolzano [e lo stesso curatore del progetto Manuel Canelles, regista, artista e formatore, che da sempre si muove in un territorio al confine fra video, installazione e performance con una pratica, spesso di natura partecipativa e relazionale ndr
    Ogni artista si posiziona con assoluta libertà rispetto alla tematica della memoria e del confine, uniche tracce tematiche date in consegna.
    Il ruolo dell’artista oscilla da quello di osservatore partecipante a quello di etnografo. Viene comunque chiesto di tener conto del contesto sociale e culturale in cui la residenza è inserita. Ogni artista ha la libertà -ma non l’obbligo- di poter attivare connessioni con il territorio e con uno o più abitanti.

    A chi è rivolto il progetto e come sono coinvolti  i cittadini?  

    Il progetto vede nei soggetti coinvolti e nei soggetti partecipanti, sia pubblici, privati o persone singole, i primi destinatari degli output degli interventi. Incontroluce Residency è attivato da un percorso di narrazione autobiografica specifica e si concentra in azioni di ricerca teatrale e fotografica sul tema della memoria e degli archivi intimi di famiglia. Trova così nei protagonisti dei laboratori i primi destinatari degli output. Di conseguenza anche il macrocosmo culturale che abbraccia tutti i microcosmi ovvero le istituzioni stesse, diventa il collante di questo storytelling, tutti sono coinvolti in prima persona nel processo di restituzione, che avviene nei luoghi in cui il lavoro è stato generato. In questo contesto gli stakeholder deputati sono innanzitutto le persone narranti e le realtà che hanno permesso il processo di costruzione attiva della narrazione.
     

    L’ultimo giorno è prevista una restituzione del lavoro alla comunità dei paesi ospitanti

     

    Da cosa è partito il progetto Incontroluce, alla nascita nel 2019?

    Microcosmo di partenza del progetto residenziale è il percorso di narrazione autobiografica di Lucia Andergassen, nata in Val di Non negli anni ’60 quando in età adulta sente il bisogno di ricomporre il flusso di ricordi smarriti nel tempo attivando una relazione anche con i discendenti di una madre non biologica, emigrati negli Stati Uniti agli inizi del secolo scorso. Nel 2019 il progetto è impostato già come edizione zero per un format di residenza artistica multidisciplinare, un tentativo dal basso per riqualificare il bisogno degli artisti di connettere pensieri, stabilendo un patto di lavoro comune, un nuovo sistema di lavoro creativo, al di fuori delle logiche del sistema. Tra gli artisti coinvolti Silvia Morandi, Manuel Canelles, Silvio Gabardi, Nazario Zambaldi, Anika Dobreff, e Mamadou Dioume che conduce un lavoro di pedagogia teatrale sul tema dell'antenato e della memoria.

    Qual è il fulcro di questa edizione 2024?

    A partire dalla storia di Lucia Andergassen, il progetto invita le persone ad esplorare il proprio microcosmo autobiografico integrando l’accesso all’archivio fotografico personale e familiare, l’esperienza dei luoghi, la condivisione all’interno di un gruppo come fonte di integrazione e lettura dell’esperienza. Infatti  il percorso di narrazione autobiografica di quel microcosmi,  intercetta l’universalità di queste esperienze, a partire proprio dal flusso di ricordi smarriti nel tempo. Attraverso azioni di ricerca artistica in ambito teatrale e fotografico, l’accesso all’archivio delle immagini storiche di famiglia, permette di indagare il vissuto di diverse generazioni, dall’emigrazione in diversi continenti ai recenti ricongiungimenti, alle tradizioni mantenute in paesi lontani, a parlate mantenute intatte oltre oceano. Le lettere autografe fluttuano nel tempo e diventano fili d’oro di collegamento emotivo, così –forse- come lo sono oggi quelle dei migranti del nostro tempo. Questo microcosmo allora –diventando universale- appartiene a ogni madre, padre, figlio, fratello, persona in cammino.
    Il progetto attiva una consapevolezza in relazione al valore dell’identità, al percorso autobiografico come possibilità di riconoscersi e riconoscere l’altro nei suoi bisogni e nella ricchezza che ogni percorso individuale e collettivo produce. Quest’anno inoltre, la possibilità di condividere immagini del proprio archivio personale di memorie familiari include la suggestione della visione fotografica come immagine che ci trasporta nel tempo e nello spazio, restituisce trasformazioni sociali, veicola in modo intuitivo il tessuto di relazioni, affetti, passaggi dell'infanzia e della crescita, legami parentali. In tal senso, i materiali fotografici e video integrano la rievocazione di legami smarriti o tramandati nel tempo nel corso delle generazioni e della propria storia personale; allo stesso tempo, offrono uno sguardo sulla realtà presente, assimilano lo sguardo delle nuove generazioni rapito dalle fascinazioni dell’era digitale.

  • Incontroluce Residency, un momento dei laboratori multidisciplinari aperti al pubblico di edizioni precedenti Foto: Manuel Canellas
  • In che modo sei presente tu, come artista in questa edizione, oltre che come curatore?

    Credo che nessuno di noi artisti coinvolti parti con un’idea precostituita. Per quanto riguarda la mia ricerca, credo di allacciarmi alla storia del luogo attraverso un processo di scrittura etnografica collettivo e co-autoriale che possa in qualche modo suscitare l’eco di una realtà condivisibile.
    Credo che il vantaggio di evocare piuttosto che rappresentare, è che l’evocazione libera l’etnografia dall’imitazione e da quelle forme della retorica scientifica che implicano oggetti, fatti, descrizioni, verifiche, esperimenti che non hanno alcuna corrispondenza nell’esperienza della ricerca etnografica né nelle scritture etnografiche. Ricollegandomi dunque alla matrice teatrale del mio lavoro, credo che la parola chiave sia “polifonia”, termine-metafora che evoca suono e udito, simultaneità e armonia e non linearità.

    Cosa rimane delle edizioni precedenti ?

    Ogni documento realizzato e prodotto nelle edizioni precedenti, più che come riferimento oggettuale (e dunque feticcio) rimane come traccia in evoluzione, una sorta di diario da poter scomporre e riformulare, riadattare e ricollegare nuovamente alle realtà/luoghi in continua trasformazione.
     

    ...l’accesso all’archivio delle immagini storiche di famiglia, permette di indagare il vissuto di diverse generazioni...


    Come reagiscono al progetto i residenti nel territorio? In che modo partecipano, qual è ora e quale è stata la loro reazione nelle scorse edizioni?

    La diffusione del progetto in ambienti sia rurali che urbani delle due province aspira a ricomporre il tessuto memoriale ed esistenziale delle generazioni coinvolte e valorizzare una pluralità di sguardi ed esperienze che si sono avvicendate nel tempo all’interno di un territorio comune.  La condivisione di tale patrimonio di conoscenze e valori costituisce un riferimento fondamentale all’interno di una comunità ed offre  in un’ottica di “public history”, il recupero della memoria sociale restituisce valore ai microcosmi silenziosi del passato e del presente, generando una nuova consapevolezza che permette  di risignificare, riscoprire e rigenerare processi individuali e collettivi dell’identità.
    In un’ottica lifelong learning il progetto mira ad accompagnare processi duraturi nel tempo, che promuovano lo sviluppo di comunità attraverso la pervasività della cultura e delle competenze.
    Nel corso di questi ultimi anni sono state coinvolte centinaia di persone, tra residenti, abitanti, spettatori, attori coinvolti, partecipanti ai laboratori. La proposta progettuale è rivolta in maniera diretta ad un massimo di 15 giovani residenti sul territorio di riferimento, di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’obiettivo è di puntare su quel target specifico che, nel transito all’età adulta, è alla ricerca di strumenti per attivare il proprio percorso identitario, pertanto si dimostra sensibile e ricettivo a proposte innovative e sfidanti.
    Le proposte coinvolgeranno inoltre altri beneficiari indiretti, ovvero tutti i soggetti che in maniera spontanea verranno a conoscenza del progetto attraverso la trasmissione dell’esperienza dello stesso. Il target audience, infine, risulterà più esteso rispetto a quello di riferimento, grazie a tutti i veicoli di comunicazione (online e offline) di cui l’associazione si serve per la promozione dell’evento
    Le persone che parteciperanno alle differenti fasi del percorso verranno coinvolte attraverso un lavoro di rete sul territorio, ad opera dei partner che collaborano al progetto. Un lavoro capillare di comunicazione, la realizzazione di incontri informativi, la diffusione di depliants informativi consentirà agli abitanti dei comuni coinvolti di venire a conoscenza del progetto ed avvicinarsi alle iniziative.
    Nel corso della durata del progetto verrà mantenuta in modo costante la comunicazione con i partecipanti, collettivamente, tramite contatti online e videoconferenze e singolarmente, attraverso la raccolta di appunti personali condivisibili sul blog dedicato.

    Perché la Val di Non?

    Incontroluce Residency è un progetto di residenza artistica che si sviluppa nell’area di confine tra l’Alto Adige e la Val di Non, tra Caldaro sulla strada del Vino / Ruffrè Mendola da un lato e la città di Merano e Bolzano dall’altro, collegando i due territori idealmente e operativamente.
    La presenza sul territorio di questa frontiera nascosta sottolinea una diversità di modelli culturali tra la comunità di lingua nonesa e tedesca che ha prodotto storicamente forme di isolamento, secondo l’analisi degli antropologi Eric C. Wolf e John W. Cole, negli anni Sessanta.
    Connubio di vegetazione rigogliosa e preesistenze architettoniche, l’habitat della valle restituisce tracce di un passato che rimanda, ad oggi, ad un predominante senso di vuoto: la presenza di alberghi non più in uso ma di chiaro pregio architettonico, si è prestata nel tempo alla definizione di “non luogo”; ed ha contribuito a definirne un carattere di mera zona di transito.
    Le carenze riguardano il tessuto sociale e riconducono a forme di marginalità culturale: un’assenza di stimoli ed iniziative che consentano alle persone di incontrarsi, confrontarsi, arricchirsi interiormente.
    In particolare, le generazioni più giovani non hanno sufficienti possibilità di condividere sul luogo iniziative che rispondano ai propri bisogni formativi e sociali in senso ampio e continuativo; molti cercano fuori dal territorio una risposta ai propri bisogni di crescita e di realizzazione e abbandonano la propria terra d’origine in cerca di opportunità.
    Attraverso residenze inserite nella comunità locale, Incontroluce Residency utilizza i linguaggi artistici del teatro, performance, video efotografia,attivando risorse e forme progettuali innovative come base per l’incontro, la socializzazione, la ricomposizione di un tessuto identitario dei luoghi, delle persone, della comunità.  Le generazioni più giovani si confronteranno con quelle adulte, in un’ottica intergenerazionale e comunitaria. Si prevede la presenza di giovani under 35 in una percentuale del 70%.
     

    Incontroluce Residency è un progetto di residenza artistica che si sviluppa nell’area di confine tra l’Alto Adige e la Val di Non

  • Incontroluce Residency, un momento dei laboratori multidisciplinari aperti al pubblico di edizioni precedenti Foto: Manuel Canelles

    Quale rapporto hai tu rispettivamente con Trieste, dove sei nato e  con Bolzano, entrambe città di confine, e con la Val di Non?

    Sono nato in una terra di confine, un territorio ferito e osmotico adagiato tra le aspre alture carsiche e l’orizzonte limitato del mare adriatico. Le mie radici però affondano anche in altri luoghi, nutrendosi della terra sarda di origine. Ma soprattutto mi sento di poter dire che continuo a nascere e crescere nei luoghi che la vita mi permette di incontrare e con cui instaurare confidenze e magari, con il loro consenso, convivere. Non è forse un caso l’aver cercato sofferenze e fratture in luoghi liminali, di passaggio, instabili e sofferenti nella propria visione della storia e claudicanti nel proprio presente. Credo dunque di poter dire di aver cercato i confini anche per nutrire il mio atto poetico, quasi un bisogno di puntare il focus sull’idea di soglia, di varco, di limen come spazio intermedio tra due mondi che però mantengono – pur inseriti in un processo osmotico di condizionamenti e alterazioni sociali – un certo misterioso bilanciamento di caratteristiche l’uno con l’altro, in un’ottica costruzionista per cui i comportamenti e i simboli in esso sottesi sono spiegabili anche come prodotti dell’apprendimento modellato dalla cultura.
    La percezione di un’identità sempre più fluida e frammentata credo che abbia a che fare con uno smodato desiderio sociale che condiziona il mio sguardo sul mondo e i suoi derivati; le sollecitazioni mediali a cui sono sottoposto mi inducono a percepire la mancanza di cose che non ho mai perduto e in alcuni casi che non ho mai posseduto, creando sensazioni di durata, passaggio e perdita in una sorta di nostalgia immaginata. Forse questo spiega anche la relazione con l’Alta Val di Non, spazio di confine sia geografico che linguistico.
     

    Nel processo di creazione artistica le individualità sono cioè coinvolte in una trasformazione...


    Quali sono le “logiche del sistema” a cui Incontroluce vuole sottrarsi e come ci riesce?

    La parola è libertà. Per rispondere alla necessità di ricostruire una rete interpersonale che torni a far scorrere in modo biunivoco tra le generazioni la linfa vitale di cui ogni microcosmo è depositario, in senso verticale (anagrafico) e longitudinale (territoriale: tra comunità limitrofe e non), i materiali biografici e culturali personali vengono veicolati attraverso la pratica artistica e tutte quelle esperienze concrete che possono avvicinare i partecipanti al contesto peculiare in cui si sviluppano le attività. Questa scelta permette il superamento della mera trasmissione informativa e arricchisce le occasioni esperienziali con/attraverso la componente estetica. Il progetto non gode di sovvenzioni particolari, non è appoggiato in nessun modo -almeno al momento- da istituzioni di ricerca o da realtà espositive, dunque non ha vincoli espressivi se non quelli dettati dall’etica dei singoli partecipanti rispetto al proprio lavoro e al proprio approccio.  L’atto espressivo, cui daranno vita i partecipanti, è frutto infatti di una relazione organico-ambientale nella quale i rapporti di determinazione appaiono reciproci, circolari e strutturati dinamicamente. Nel processo di creazione artistica le individualità sono cioè coinvolte in una trasformazione che non si limita ad agire su materiali e mezzi significativi, organici e ambientali, precedenti, ma retroagisce sulle stesse soggettività che ne sono chiamate in causa. L’esperienza estetica e quella artistica rappresentano dunque quel canale di connessione che fa sì che microcosmi individuali possano radicarsi tra loro e con il contesto cui appartengono attraverso una reciproca trasformazione personale e profonda.
    La forza che promuove un simile processo è una qualità emotiva, intesa come scelta tra più possibilità responsive rispetto ad un impulso offerto. All’interno del progetto quell’innesco è stato offerto proprio da una ricerca umana, personale, biografica attivata dall’incontro intimo ed emotivo con il materiale fotografico ed epistolare tramandati dalla famiglia d’origine.

    Il nome del progetto Incontroluce si può leggere in diversi modi “in controluce” oppure “incontro luce”, cosa significa esattamente per te?

    Credo che la parola fondamentale sia proprio luce. Che accoglie l’opposto, dunque il “contro”, qualsiasi esso sia. E abbraccia “l’incontro”, dunque ogni possibilità di relazione. E’ un po’ come -parafrasando la grande artista sarda Maria Lai- “prendere per mano l’ombra”.