L'ospite triste
In un ristorante di cucina polacca, il narratore – di cui sappiamo solo l’età e la professione: scrittore – trova il biglietto da visita di un’architetta, a cui chiede una consulenza per ristrutturare la casa in cui abita con la compagna. Entra così in scena Dorota, che non esce più dal suo quartiere e riempie gli incontri di lavoro (sulla carta) di storie sulla Polonia e sulla sua vita. C’è poi Dariusz, dipendente alla stazione di benzina con un passato da chirurgo e un presente squallido, con il rimpianto di un figlio che non c’è più. I racconti di Dorota e Dariusz sono pieni di viaggi: di emigrazione dalla Polonia, di fuga dalla guerra, di ricerca per dare un senso alla morte. Tra le due parti del romanzo a cui danno il nome – L’architetta e Il medico – c’è La città, popolata di personaggi: il compagno di università Karsten, lo stravagante Eli, il vicino senza nome, un ragazzino che lancia penne nel fiume e provoca il narratore chiedendogli se si butterebbe in acqua per salvarlo. Tutti sembrano chiedere una sola cosa allo scrittore: la sua attenzione. Finché un camion travolge persone e bancarelle ai mercatini di Natale, e dopo l’attentato gli incontri e la città cambiano.
Chi è l’ospite triste che dà il titolo al libro? Sono i personaggi che il narratore incontra, o è lui stesso, che assorbe le loro storie? Sono storie di un Europa centrale dai confini sfumati e dalla storia comune, e storie di una Berlino in cui tutti approdano e stagnano.
La geografia de L’ospite triste è quella dei confini porosi dell’Europa centrale, dalla storia intrecciata da secoli. Soprattutto nei racconti di Dorota a volte ci si perde: cosa è Germania, cosa è Polonia, cosa è Ucraina? Le città e i loro nomi scivolano da una lingua all’altra, da uno stato all’altro, disorientano, come disorienta la Berlino senza punti di riferimento, “piatta, fatta solo di cielo” in cui i protagonisti si muovono.
Nawrat ci porta in un’Europa spostata a est, intrisa dell’ebraismo che il nazismo ha voluto annullare. Con parole dure, Dorota accusa l’occidente di essersi fondato su questo annullamento, felice di essersi liberato degli ebrei per liberarsi di quello che sfugge alla ragione. Il narratore è arrabbiato, non sopporta il discorso dell’architetta e le chiede cosa sarebbe che sfugge alla ragione e che “l’illuminata Europa” abbia voluto allontanare. Dorota risponde: “Il nulla e qualcosa. Il fatto che l’essere umano è smarrito nel vuoto dell’universo”.
Gli smarrimenti dei protagonisti, banali e drammatici, danno forma al romanzo e non annoiano, né angosciano. La perdita di un centro e il flusso dei pensieri degli interlocutori travolgono chi legge, così come travolgono il narratore. Finché questo non li interrompe, imboccando l’uscita.