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Una splendida Wunderkammer, oggi

Affrettatevi, è tutta da vedere la mostra alla Fondazione Prada di Milano, “Il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori” a cura di Wes Anderson e Juman Malouf
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Foto: Fondazione Prada

Perché la mostra temporanea dal curioso titolo Il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori a cura di Wes Anderson e Juman Malouf presso la Fondazione Prada a Milano ha suscitato scalpore facendo discutere e dividere molto le opinioni di critica e pubblico? Regista americano il primo (ricordiamo i suoi due forse più noti film, I Tenenbaum e Grand Budapest Hotel) e illustratrice la seconda, che tra l’altro sono una coppia anche nella vita, per questa mostra si sono ispirati al concetto di Wunderkammer nato nel Rinascimento e che ha avuto il suo esploit maggiore nell’era barocca soprattutto in Nordeuropa. Il termine deriva dalla lingua tedesca e significa letteralmente “camera delle meraviglie”, infatti gli ospiti delle famiglie reali e borghesi avrebbero dovuto “meravigliarsi” della bellezza e della rarità di tutti gli oggetti accumulati in una o più stanze dedite alle loro più o meno ricche collezioni. Detti oggetti potevano essere di natura artificiale o naturale, ossia “naturalia”, artificalia”, “exotica”, “mirabilia”, “scientifica” e “antiquitates” – queste le categorie secondo le quali erano esposti, e quindi valgono come precursori alla museologia che a partire dal Novecento avrebbe inghiottito lo sguardo curioso e meravigliato a favore di quello scientificamente fondato di etichettatura di provenienza, datazione, periodo storico e artistico o paese di origine e cultura produttrice. Va ricordato anche, in quanto vedremo che per certi versi centra anche questa tipologia di suddivisione nella mostra milanese, che colui che è considerato il fondatore della museologia germanica, l’autore belga Samuel Quiccheberg, propose un sistema che si rifà ai corpi celesti del sistema solare: il sole, la luna, oltre ai pianeti allora noti, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, con tutto ciò che significano anche sul piano figurativo.


Chi entra nel piano terra del Podium presso la Fondazione che è un complesso ampio che si compone di architetture dell’era industriale (una antica distilleria nella periferia sud di Milano) e di elementi architettonici contemporanei, come la nuova torre dalle ampie finestre in vetro e le facciate bianchissime che si ergono verso il cielo blu, entra in uno spazio espositivo al buio, con parca illuminazione, dove dominano tre colori: il verde, il rosso e il beige. Appena l’occhio si è abituato all’oscurità si nota che nelle colorazioni si distinguono tre grandi box dove sono sistemati oggetti delle succitate categorie e che rispondono al medesimo colore. Alle pareti – tutte ricoperte di tela beige – sono appesi quadri che rappresentano diversi membri della famiglia reale degli Asburgo in cui per altro dominano gli stessi colori… Va detto che tutto ciò che vediamo esposto qui arriva dai due maggiori musei di Vienna, i gemelli situati sul Ring, il Kunsthistorisches e il Naturhistorisches Museum che contengono le maggiori collezioni di dipinti e di oggetti naturali tra cui sono integrati le collezioni imperiali ereditate dopo il disfacimento del regno austro-ungherese nel 1919. Certamente ci sono tesori provenienti anche da altre collezioni e dipartimenti di musei, quasi tutti residenti nella capitale austriaca, mentre i due curatori per il loro concetto di esposizione che si espande come un gioco a incastro avevano in mente il Castello di Ambras a Innsbruck, una residenza progettata nel 1570 – dunque in pieno Rinascimento – per ospitare la prima collezione assemblata dall’arciduca Ferdinando II d’Asburgo e sua moglie Philippine Welser con l’intento di condividere il tutto con i loro ospiti, ossia ciò che inizialmente fu pensato come un gabinetto di puro piacere e che serviva anche all’educazione dei rampolli della famiglia reale.


Le oltre 500 opere esposte a Milano sono visibili ancora fino al 13 gennaio 2020 e meritano assolutamente di essere visti: è una vera e propria esperienza (visiva, tattile e corporea) attraversare l’allestimento originale del duo Anderson-Malouf, in quanto fa viaggiare non soltanto la mente e lo sguardo, ma ci costringe anche in alcuni momenti di inginocchiarci per riuscire ad ammirare minuscoli statuette o strumenti musicali. Provenienti da tutto il mondo, da diverse culture, offre uno sguardo d’insieme, e per rifarci a quel che abbiamo detto nella introduzione è interessante osservare ad esempio che “Morte e Culto” (concetto di nostra invenzione) uniscano credi religiosi diversi in modo singolare, essendo in alto esposta una croce vera e in basso siano posti a forma di croce una urna funeraria, contenitori per intestini e altri organi di mummie egiziane e una scatoletta con polvere di sparo. In un’altra vetrina sono unite le “Custodie” più diverse che vanno dal bicchiere con custodia da cui aveva bevuto Napoleone a due flauti dolci con contenitori del XVI e XVII sec in Italia passando per contenitori per scettri, crocifissi e un globo crucigero imperiale in legno risalente al XVII sec. Curiosa un’altra parete, dove l’idea che unisce sembra essere “stratificazione” di diverse materie: un Davide e Golia scolpito da un unico pezzo di legno, il sigillo su carta di un matrimonio e un pezzo di lignite xiloide.


Una miniatura di un kayak degli inuit si oppone a una statuetta che rappresenta un soffiatore sul fuoco, mentre i grandi dipinti mostrano (anche) parecchie silhouette strane del periodo asburgico con persone di statura gigante accanto a quasi nani (dove i secondi corrispondono alla normalità, ossia la statura generalmente più bassa nelle generazioni del passato, e i primi erano le eccezioni, forse più vicine alla nostra altezza di oggi). Il focus – a nostro avviso – è posto inoltre alla bellezza degli abiti, soprattutto femminili, con dettagli ammirevoli per una casa di moda come quella di Prada…


Il sarcofago di Spitzmaus che dà il titolo alla mostra c’è davvero ed è posto al centro in una vetrina tutta sua, e per nostra sorpresa è minuscolo, in legno e riccamente decorato. Conteneva la mummia del topolino non tanto innocuo, in quanto il topo ragno – questa la traduzione del termine tedesco Spitzmaus – è l’unico mammifero velenoso e nell’Antico Egitto era considerato un animale sacro. Sacro perché per la sua quasi cecità era visto come guardiano del regno dell’aldilà e inoltre il suo veleno venne usato per infierire su torti commessi facendo dispetti alle corrispondenti persone somministrando loro una bevanda che consisteva dell’acqua in cui fu bollita un po’ di carne di un povero esemplare ucciso a proposito. A mo’ di specchio di questo riferimento al mondo animale sulle pareti circostanti ci sono meravigliosi dipinti di animali in ambientazioni però “vuote”, o per meglio diche che sono senza riferimenti a un contesto naturale creando così più una connessione con il valore trascendentale del topo ragno, cui si allude nella posizione centrale.

 

Girare per questi ambienti ricrea il senso dell’intimità che di sicuro avevano e trasmettevano le Wunderkammern nelle residenze di un tempo, e quindi anche nella mostra milanese il visitatore e la visitatrice cercheranno invano etichette e indicazioni che possano fornire informazioni, anzi, che vuole identificare i singoli oggetti deve fornirsi della brochure disponibile sulla parete sinistra prima di entrare (in italiano e in inglese), dove sono elencati tutti gli oggetti esposti con utili disegni del loro collocamento. Per cui, di facile lettura per chi volesse sapere subito che cosa sta guardando. Noi consigliamo di farlo alla fine, o di tanto in tanto, quando si ripensa alla marea di mirabilia viste, per godersi in pieno e introiettare la vera meraviglia tra somiglianze, rimandi imprevisti e imprevedibili e/o significati / significanti del tutto inaspettati proposti dal duo Wenderson e Malouf.


Altri concetti-idea emergono, infatti, riflettendo sugli insiemi: come “strumenti di misura” che uniscono un antico calendario, uno tra i primi orologi e strumenti musicali, oppure “unione” dove troviamo coppie di umani, forme simili in diverso materiale o forme diverse in materie simili, e dulcis in fondo – ascoltando le preziose parole di una guida intercettate per puro caso – apprendiamo che sono in mostra anche il manufatto più antico e le naturalia più antiche e più recenti entrati nella collezione del Naturhistorisches Museum di Vienna: il primo è un braccialetto dell’Antico Egitto (“Perle a forma di disco infilate, 3000 a.C.”) e i secondi due sono un frammento di un asteroide di 4,5 miliardi di anni fa lucidato a mo’ di pietra preziosa, e tre uova di Emu deposte nel 2018 in Australia trattate in modo da conservarle per l’eternità.


Per chi poi si voglia perdere in un dipinto che si trova un po’ a lato, sulle pareti esterne rispetto allo spazio espositivo, laddove sono situate alcune poltrone-divanetti per chi volesse riposare un po’ negli ampi spazi davanti alle grandi vetrate oscurate con enormi tende pesanti, può ammirare ciò che alla numero 538 della brochure viene così descritto: “Seguace di Maarten De Voe, Primavera (Ver-Amor) 1900 circa, dalla Pinacoteca del KHM (=Kunsthistorisches Museum)”. Mille minuscoli dettagli ben disegnati per tante forme di corteggiamenti, suddivisi in una veduta di ampio respiro con tanto di prato, cortili, castello, e pianure, a partire da un suonatore di violino sotto un albero - le due figurazioni centrali.