Kiev
Foto: Fabio Marcotto
Politics | finferli e nuvole

Famiglie lacerate /3

Per capire le motivazioni della crisi tra Russia e Ucraina è necessario portare lo sguardo all'indietro. Un viaggio a puntate alle origini di una guerra ormai alle porte.

In marzo, 2014, Pavel non si presenta più a lezione. Dov'è?, chiedo. E' andato con i volontari, mi dice una ragazza che frequenta lo stesso corso di italianistica.

 

Donbass

 

I volontari sono tanti e diversi. Quelli del battaglione Azov, per esempio. Oppure gli ultranazionalisti, sempre ucraini, di Pravyj Sektor. Dall'altra parte, russa (oggi c'è la Wagner), ci sono mercenari ceceni, soldati irregolari, avventurieri italiani, soldati russi regolari, però “in congedo”.

Il Donbass è un casino. Inizialmente, prima degli scontri, non si capisce da che parte sta la gente normale. Se si gioca a calcio stanno per lo Šachtar di Donetzk, ucraino; se si gioca a hockey per la CSKA Moskva, russa.

Sono per il 60% ucraini e per il 40% russi etnici. Il 60% degli ucraini è in parte russofona. Ma di questo paleremo nelle prossime puntate, soprattutto l'ultima, dedicata ad una possibile (?) autonomia nel Donbass.

 

Odessa

 

A Odessa nel frattempo tutto è cambiato. I miasmi della guerra appestano l'aria. In strada, al lavoro, nelle mense non si parla d'altro. Prendo il solito ottimo caffè al chiosco che sta nell'ingresso dell'Università Mečnikov. Il proprietario e gestore, un ragazzo sui trentacinque anni che è stato a sciare in val Pusteria, mi dice: ma se l'esercito tedesco venisse da voi per liberare i tedeschi che ci sono in Italia, voi cosa fareste?

La grancassa di regime inizia a picchiare forte, dall'una e dall'altra parte. A Odessa, vicino alla cattedrale, compare un cartello: chi invoca il “mondo russo” e dissacra i simboli nazionali... chiami questo numero....In Russia la fabbrica di fandonie lavora come non mai. Famosa la notizia diffusa sui media secondo cui nel Donbass, Slovjansk, un bambino sarebbe stato crocifisso dai fascisti ucraini. 

Ci sono famiglie che non si salutano più, non si parlano più, non si scrivono più, non si telefonano più. Tantissimi ucraini hanno parenti in Russia e tantissimi russi hanno parenti in Ucraina. E poi, ovviamente, ci sono le famiglie miste, a Kiev, Odessa, Luhansk.

La settimana scorsa chiamo Luigi, che in quegli anni insegna a Leopoli/ L'viv/L'vov/Lemberg. Com'era la situazione lì quei mesi? Assolutamente tranquilla, nessuno dei problemi che mi racconti tu, dice. Ucraina occidentale, quasi al confine con la Polonia.

Un giorno di aprile, 2014, torno a casa a piedi dal lavoro. Questa volta, vicino alla Philarmonia di Bernardazzi (lì dentro due mesi prima ci vedevo il concerto dei Dhe Fazz), escono dall'angolo due militari. Per strada non c'è nessuno. Uno sui 35, l'altro che non ne ha neanche 20. Impugna un mitra e mi guarda fisso negli occhi. Documenti, dice il capo. Io li ho, in fotocopia. Giro così dal 2010, nessuno a Odessa o Kiev mi ha mai fermato, non ci sono mai stati problemi (Dieci anni prima, invece, a San Pietroburgo, Russia, mi fermavano un giorno sì e uno no: per cui mi muovevo con documenti originali, a costo di perderli; sono comunque finito in caserma 3 volte). 

No, non va, dice il capo. Le fotocopie non hanno nessun valore. Lei deve farmi vedere gli originali. Il giovane si fa sotto con il mitra a un metro dal mio petto. Non dice niente e mi guarda fisso negli occhi.

No, non va, ripete il capo. Andiamo in caserma.

Un momento, perpiacere. Mia moglie mi aspetta a casa e ho due figli. Lei ha figli? Io sto venendo dal lavoro. Lavoro per voi all'Università Mečnikov. insegno italiano. Telefonate, chiedete.

Butto a terra la borsa. Dalla tasca della giacca tiro fuori il portafoglio e gli do tutto quello che c'è dentro. Sono circa 400 grivne, forse 15 euro. E' poco, Fabio, dice lui (mi chiama per nome dopo avere letto i miei dati, una volta mi dà del tu, un'altra del lei, che in russo è il voi; parliamo in russo).

E' tutto, dico, quello che ho qui. Venite con me, a casa ho altri soldi. Il ragazzo col mitra ha uno sguardo terrificante, un pezzo di mummia senza emozioni, e io me la sto facendo sotto.

Scuote la testa, il capo. Prende le 400 grivne, due biglietti da 200. Vai, dice, o forse, non mi ricordo più, vada. 

Non ci credo che tutto è finito. Raccolgo la borsa e me ne vado cercando di camminare normalmente.

Non mi seguono. Giro l'angolo della Grečeskaja. Raggiungo la Deribasovskaja. Cammino veloce fino a casa.

(Continua)