Il fine giustifica un salto
A cinquecento anni da "Il Principe" di Machiavelli, il Sudtirolo e l'Italia s'interrogano sul valore della politica: inteso letteralmente, tra finanziamenti e bilanci, stipendi e pensioni, perché da troppi anni il valore della politica viene prima dei valori. Riempiendosi la bocca con "il fine giustifica i mezzi" (frase attribuita al Machiavelli ma da lui mai pronunciata), gli eletti hanno legittimato qualsiasi spesa in nome della professione, al fine presunto di realizzare valori "alti" e desiderabili: più democrazia, libertà, uguaglianza, giustizia, solidarietà, e così via. Oggi che c'indignamo per i costi esorbitanti della rappresentanza, i valori sembrano ancora più distanti; se i costi vengono messi in discussione dai moderni prìncipi (che siano Matteo Renzi o Arno Kompatscher), non lo sono il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati - o gli obiettivi stessi.
L'attenzione sui mezzi, insomma, continua ad oscurare la riflessione sui fini. «È un malinteso – scrive Adriano Sofri nel suo ultimo libro, "Machiavelli, Tupac e la Principessa" (ed. Sellerio) -: Machiavelli mette in discussione i fini, non i mezzi. Questa frase gli è stata attribuita e ha fatto di lui un cinico che utilizza qualunque nefandezza pur di raggiungere il suo scopo. Ma a furia di ripetere quella frase, cosa è successo? Secondo me che tutti, fautori e nemici di Machiavelli, hanno pensato che bisognasse discutere sulla questione dei mezzi». Se la politica resterà una professione (e il dubbio sorge spontaneo) in entrambi i significati di "Politik als Beruf", nel rapporto tra mezzi e fini il nocciolo della questione andrà spostato sui fini. A cosa serve la politica? Verso quali valori deve tendere la nostra democrazia?
Tali domande investono anche l'informazione. In queste giornate turbolente, dove la politica sudtirolese è inciampata sulle disastrose conseguenze del non-detto, dell'insabbiamento, della disinformazione verso la collettività, il ruolo dei media ha mostrato ancora una volta il proprio volto ambivalente. Il giornalismo locale ha interpretato il Rentenskandal da diverse angolazioni, rispettivamente per dovere d'informazione, per proprio interesse (politico e/o editoriale) o per entrambe le ragioni. La capacità del "quarto potere" nell'orientare l'opinione pubblica, dunque, viene esercitata in maniera diversamente responsabile. Cosa certo legittima, ma che solleva ulteriori interrogativi: le notizie sono parziali, ovvero di parte? Qual è il grado di indipendenza dei media? Quali i fini? Nell'Italia governata da Renzi assistiamo già, dopo il ventennio berlusconiano, a un pericoloso appiattimento trasversale degli organi di stampa sulle posizioni (o addirittura sulla figura in sé) del presidente del Consiglio, se non alla tendenziale volontà di determinare le scelte strategiche del paese "spingendo in avanti" il segretario PD. E non c'è grande giornale o rete televisiva nazionale che, rispondendo a precise esigenze imprenditoriali prima che editoriali, si salvi da questo culto renziano, pericoloso a prescindere che si condivida o meno la linea politica del premier. In Sudtirolo, la presenza di mondi linguistici paralleli nei quali sopravvivono monopoli mediatici, accentua il rischio di perpetuare un (doppio) pensiero unico.
Per questa ragione Salto.bz rappresenta un importante salto di qualità per il pluralismo nella nostra provincia: riportare al centro le notizie, provando quantomeno a superare la ethnisch halbierte Wirklichkeit, col fine di una sudtirolesità più informata, indipendente e consapevole. Non solo: la formula di Salto.bz è ben sintetizzata dalla dicitura "fatti e opinioni che muovono l'Alto Adige", ripresa ieri da Gabriele Di Luca. Facendo convivere l'approfondimento sui fatti col punto di vista delle opinioni, oltre a fare luce sulla complessità della nostra terra, la community di Salto.bz può accorciare la distanza della politica "tradizionale" dalla realtà sociale, affiancandole e consentendo a chiunque di confrontarsi con esse. Se le persone attive politicamente o democraticamente elette utilizzassero la scrittura sulle piattaforme online come mezzo per riflettere e discutere (come già fanno alcune e alcuni di loro) avremmo una politica più trasparente e attenta. Non siamo forse nell'epoca in cui, grazie a blog e social network, si scrive in assoluto più diffusamente?
Il giornalismo partecipativo-online è in grado perciò di offrire alla politica un luogo prezioso dove ripensare la propria missione, e al giornalismo stesso l'occasione per recuperare credibilità e indipendenza dalle lobby economiche, anziché cedere anch'esso al cinismo dei mezzi. Approffittiamone tutte e tutti - e buon compleanno Salto.bz!