Economy | Lavoro

Festa mesta

Mondo cattolico e sindacati puntano ancora il dito sulle aperture dei negozi nei festivi e richiamano al dovere i parlamentari a Roma. Ma cosa significherebbe chiudere?
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Foto: upi

Puntuale la polemica ha ripreso fiato. Il mondo cattolico e i sindacati tornano a protestare contro il lavoro durante le festività, non condividendo il fatto che le catene commerciali internazionali abbiano tenuto aperte le loro strutture commerciali la Domenica e anche il Lunedì di Pasqua. “Nessuna festività è più salva”, tuona l’Alleanza per la domenica libera dal lavoro che comprende la Diocesi di Bolzano-Bressanone, il “Katholisches Forum”, la Consulta delle aggregazioni laicali, la comunità evangelica e la comunità rumeno-ortodossa, i sindacati CGIL-AGB, SGB-CISL, SGK-UIL, ASGB e l’Unione commercio turismo servizi Alto Adige (hds). 

“Che il lavoro festivo sia solo volontario i sindacati lo hanno già sottolineato molte volte nel recente passato - sottolinea la compagine -. Che perfino nelle festività pasquali, il 25 Aprile e il Primo maggio, vari negozi tengano aperto, dimostra in modo palese in quale direzione ci ha portato la totale liberalizzazione degli orari dei negozi nel paese. Solo la regolamentazione degli orari dei negozi da parte della politica provinciale potrà nuovamente superare il piano inclinato in questo ambito, per ridare alle persone, alle famiglie ma anche a tutta la società degli evidenti benefici”.

Che perfino nelle festività pasquali, il 25 Aprile e il Primo maggio, vari negozi tengano aperto, dimostra in modo palese in quale direzione ci ha portato la totale liberalizzazione degli orari dei negozi nel paese

Il decreto Monti, va ricordato, nel 2012 aveva liberalizzato il lavoro festivo nel commercio “rendendo l’Italia l’unico Paese europeo senza alcuna limitazione degli orari di apertura”. Liberalizzazioni che tuttavia, ha obiettato in più occasioni Philipp Moser, presidente di hds, non hanno portato a un aumento del Pil né del potere d’acquisto.

 

Prima che sia tardi

 

C’è però ancora una flebile speranza per cambiare lo status quo, insiste L’Alleanza per la domenica libera dal lavoro: “Attualmente la politica locale ha ancora poche possibilità per una regolamentazione provinciale. Avendo la provincia tutt’ora una particolare struttura molto diffusa di piccole e medie imprese commerciali, senza la creazione di regole provinciali queste aziende queste possono correre il pericolo di restare sempre più spiazzate. Proprio per evitare ciò, nell’interesse generale necessita una presa di posizione politica seria, per riportare questa competenza nuovamente alla Provincia Autonoma”. L’appello viene dunque rivolto a tutti i rappresentanti politici a Roma perché sposino la causa. 

Abbiamo bisogno di una cultura domenicale e festiva liberatoria” dicono i membri dell’Alleanza, auspicando un maggiore benessere - e pù tempo per le relazioni familiari e i contatti sociali, ma anche per poter praticare la propria fede - sia per le persone singole che per le famiglie, sia per i consumatori che per i dipendenti delle strutture commerciali, e perciò incoraggiando tutti a fare le proprie spese nelle sei giornate feriali settimanali.

 

Perdite stimate

 

I conti sulle eventuali conseguenze delle chiusure domenicali li ha fatti l’Istituto Cattaneo. Quattro sono le proposte di legge nel merito depositate in Parlamento. Quella del Movimento 5 Stelle impone 45 giornate di chiusura per esercizio che si tradurrebbe in un taglio di 148mila posti di lavoro e in un impatto negativo sul Pil di 9,4 miliardi di euro. La proposta leghista, che prevede la chiusura per 12 giornate all’anno, farebbe perdere 33mila occupati e 2 miliardi di Pil, quella del Pd fissa 12 giornate di chiusura e sei deroghe, con perdita di 15mila occupati e 960 milioni. Il testo unificato, invece, introduce una deroga per massimo 30 giornate e porterebbe a 94mila posti di lavoro in meno con un mancato introito di 6 miliardi.