L'Europa divisa
Il pallone non è solo pallone e i mondiali di Russia sono anche un fatto di geopolitica. Dalla stretta di mano di scuse di Putin al principe ereditario dell’Arabia Saudita Bin Salman per il primo gol della squadra di casa nella partita inaugurale si arriva fino alla partita di ieri che ha fatto tornare i riflettori sulla situazione del Kosovo, paese indipendente, protettorato difeso dagli eserciti dell’Occidente, provincia ribelle a seconda della prospettiva.
Anche se parliamo di Serbia-Svizzera, i palloni buttati nella rete difesa da Vladimir Stojković da Granit Xhaka e Xherdan Shaqiri – come spiega bene il Post – sono stati intesi come una sorta di rivincita per i loro autori, entrambi di origini familiari kosovare, e il loro gesto di esultanza, l’aquila bicipite, simbolo dell’Albania e del nazionalismo albanese, ha contribuito a caricare il confronto sportivo di un significato ben diverso.
Comunque la si pensi, e lungi dallo stereotipo dei serbi cattivi per tutti i crimini – e le guerre civili avvenute nei Balcani, nel solco tra le sfere di influenza di Nato e Russia dopo la caduta del Muro – la questione del piccolo territorio nel cuore dei Balcani resta aperta, apertissima, come testimoniano anche alcuni episodi inquietanti, e la World cup in terra di Russia l’ha solo ricordato.
Bisogna quindi ricordare che lo sport dovrebbe essere solo sport e il confine tra tifo per la propria patria (di origine o acquisita) e il nazionalismo è labile, ma non va superato. E che per la soluzione dei grandi problemi internazionali la strada maestra restano la politica e la diplomazia. Ripeterlo fa bene, anche se sembra scontato, e naturalmente occorre saper guardare oltre le reciproche schermaglie e le difficoltà dei vissuti personali e riconoscere i torti da ovunque vengano.
Bisogna inoltre andare con i piedi di piombo perché il Kosovo è una delle tante faglie pulsanti o dormienti nel cuore dell’Europa, nelle sue contraddizioni tra patrie, nazionalismi (piccoli, grandi, giustificati o no è impossibile dirlo), dalla Catalogna alla Transnistria. E come se non bastasse c’è anche l’Irlanda del Nord, attraversata dal Brexit e dallo spettro di un ritorno dei Troubles. Da notare poi che Serbia-Svizzera, finita 1 a 2 (per la cronaca calcistica, una vittoria meritata visto il talento e la passione messa in campo dalla nazionale elvetica con calciatori dalla diversa provenienza) si giocava a Kaliningrad: enclave russa sul Baltico, nell’antica Prussia orientale, acquisita dall’Urss nel 1945, è la città di Immanuel Kant e si trova dentro l’Europa targata Nato. Ma è davvero solo calcio?