Il dibattito sulla figura di Silvio Berlusconi, sugli omaggi dovuti e mancati, sulle presenze e sulle assenze alle sue esequie sembra, in maniera abbastanza sorprendente, aver occupato uno spazio davvero notevole sulla scena politica altoatesina di questi ultimi giorni.
Sembra il caso, dunque, nella più schietta tradizione di questo spazio, di ripercorrere, sin dagli inizi, il rapporto che ci fu tra il Cavaliere e le vicende altoatesine di questi ultimi decenni.
Il Biscione scende in campo
Prima del suo clamoroso ingresso sulla scena politica Silvio Berlusconi è il costruttore edile che si getta d’ impeto nel settore dell’emittenza televisiva, costruendo, nel giro di pochi anni, un impero. Una marcia trionfale che sfiora appena la realtà altoatesina. L’unico passaggio è quello che comporta l’acquisto, quando la rete Italia 1 passa dall’editore Rusconi alla galassia berlusconiana, di una delle emittenti private storiche, quella Tele Bolzano nei cui notiziari muove i suoi primi passi anche Lilli Gruber.
Nulla di che. La stessa sorte accomuna decine di emittenti locali costrette a chiudere i battenti o a trasferirsi su altri network.
Al Trentino Alto Adige Berlusconi deve dedicare un minimo di attenzione a partire da quei primi mesi del 1994 nei quali matura la decisione di fondare un partito politico per sbarrare la strada alla gioiosa macchina da guerra del centro-sinistra.
Anche per questa zona viene applicato lo schema partito-azienda e, come plenipotenziario, il Cavaliere sceglie un manager approdato non molti anni prima alla sua corte dopo aver lavorato per diverso tempo fra Bolzano e Trento. Giancarlo Innocenzi ha ricoperto ruoli di vertice del gruppo guidato da un industriale di Rovereto, Mariano Volani, la cui figura, fatte le debite differenze, presenta alcune analogie con quella del rampante tycoon milanese. Entrato da qualche anno nell’orbita delle società di Berlusconi, Innocenzi viene rispedito al Nord con il compito di reclutare una squadra di candidati. In Alto Adige il nome più noto tra quelli presenti sulle schede è quello di Ermen Fustos, esponente di lungo corso della DC, transitato in Forza Italia dopo la diaspora democristiana. In vari collegi comunque gli azzurri si limitano a presentarsi assieme ai candidati della Lega di Umberto Bossi. A Bolzano, tuttavia, l’azionista di maggioranza del centrodestra resta il Movimento Sociale Italiano che ha da poco aggiunto al nome la sigla di Alleanza Nazionale che, un anno dopo, rimarrà l’unica.
Chiffons de papier
È inevitabile che la presenza dei missini nel primo governo Berlusconi, uscito nettamente come vincitore dalle elezioni del marzo 1994, desti, tra Salorno e il Brennero qualche cattivo pensiero. In fondo il partito che fu di Giorgio Almirante e che ora è guidato dal suo delfino Gianfranco Fini, ha sempre mantenuto nei confronti dell’autonomia altoatesina un atteggiamento di totale ripulsa che gli è valso tra l’altro, a partire dal 1982, un enorme aumento di consensi della popolazione italiana dell’Alto Adige.
A rendere il clima ancora più nervoso, in quei mesi, le sortite di un esponente missino di primo piano, l’onorevole Mirko Tremaglia, presidente della commissione esteri della Camera, il quale prendendo spunto dagli avvenimenti che avevano portato alla dissoluzione della Jugoslavia di Tito, afferma in più occasioni che occorre a questo punto rivedere i trattati postbellici che avevano portato alla perdita, per l’Italia, di Istria e Dalmazia. Ad uno di quei trattati, va ricordato, è allegato anche l’Accordo De Gasperi Gruber.
In realtà le velleità revisioniste non toccano mai la questione altoatesina, ma la preoccupazione a livello europeo si manifesta a vari livelli. Berlusconi che non sottovaluta con i suoi ministri la necessità di accreditarsi in chiave europea capisce sicuramente che l’atteggiamento verso la minoranza sudtirolese è un banco di prova.
Le prime mosse del nuovo governo sono quindi abbastanza caute. Il profilarsi di un conflitto tra Roma e Bolzano sulle questioni finanziarie spinge la Südtiroler Volkspartei ad un viaggio a Vienna per chiedere l’assistenza austriaca. Alla fine però l’unico punto di conflitto reale rimane quello relativo alla presidenza della Commissione dei 6. Liquidato a stretto giro di posta lo storico presidente Alcide Berloffa, che tutta la destra altoatesina considera come il principale artefice del tradimento degli interessi del gruppo linguistico, il governo impone come successore proprio Giancarlo Innocenzi. La SVP si oppone sostenendo che il presidente doveva essere espresso dalla paritetica e non calato dall’alto. Alla fine la spuntano i sudtirolesi ma i rapporti restarono sostanzialmente congelati. Si spera a Bolzano che possano riprendere quando, ancora alla fine del 94, Berlusconi deve dimettersi perché sfiduciato dalla Lega e al suo posto subentra un governo tecnico guidato da Lamberto Dini. Al ministero delle regioni esponenti SVP si trovano però di fronte un giovane consigliere di Stato, Franco Frattini, intenzionato ad esaminare molto criticamente le loro istanze.
Non c’è soverchia meraviglia quindi quando in occasione della successiva tornata elettorale Forza Italia presenta nel collegio di Bolzano come candidato proprio Frattini, al cui fianco come assistente fa la sua comparsa in scena un personaggio che avrebbe per diversi anni scritto la storia della politica berlusconiana sull’Alto Adige: Michaela Biancofiore.
Gli anni di Michaela
Accanto a Franco Frattini, il cui impegno politico assume sempre più rilevanza nazionale (sarà ministro dal 2001 in poi nel secondo governo Berlusconi) il ruolo politico di Michaela Biancofiore cresce progressivamente in campo altoatesino sino a sovrastare nettamente quello di tutti gli altri esponenti locali del partito. Con lei, e naturalmente con Frattini, Forza Italia si pone a Bolzano sul versante di una severa critica dell’assetto autonomistico e delle posizioni della Südtiroler Volkspartei, in una chiave di lettura della realtà locale non troppo diversa da quella portata avanti da tempo dal Movimento Sociale. I due partiti marciano sostanzialmente affiancati nel chiedere che Roma riveda in modo sostanziale le regole del gioco fissate con lo Statuto del 72 e con la chiusura della vertenza internazionale del 1992. Occuperebbe troppo spazio riprendere tutta la serie di interventi di quegli anni. Basti un cenno a tre iniziative di legge costituzionali. La prima risale al luglio del 1998, quando due deputati, Marco Boato che aveva seguito praticamente dall’inizio la questione del censimento etnico per il Partito Radicale e poi per i Verdi e Franco Frattini di Forza Italia presentano congiuntamente un disegno di legge costituzionale che mira a modificare radicalmente l’intero assetto dell’autonomia altoatesina. Esso prevede tra l’altro una dichiarazione di appartenenza linguistica assolutamente anonima con la possibilità di scegliere, oltre che tra i tre gruppi ufficiali, anche tra quelli di “altra appartenenza”, di “appartenenza plurima” e di “non appartenenza”. La proposta prevede che la consistenza dei gruppi fosse calcolata solo sulla base delle dichiarazioni di coloro che sceglievano i gruppi italiano, tedesco e ladino. Per il funzionamento del sistema proporzionale è prevista una dichiarazione ad hoc di aggregazione ad uno dei tre gruppi linguistici da rendere solo in caso di bisogno e valevole cinque anni. Secondo esponenti della Südtiroler Volkspartei come l’allora deputato Karl Zeller il progetto, se fosse stato approvato, avrebbe sostanzialmente aggirato il sistema della proporzionale etnica. La legge però non andò mai in discussione così come avvenne per altri due progetti di legge presentati, come prima firmataria proprio da Micaela Biancofiore nel frattempo eletta alla Camera. Il primo risale al febbraio 2009. Si tratta di una legge ordinaria composta da pochi articoli che, sostanzialmente, si limita a prevedere l’erogazione di una cospicua somma di denaro, 50 milioni di euro all’anno, a favore della comunità italiana in Alto Adige.
Così, nella relazione introduttiva Biancofiore motiva la sua iniziativa: “Da tempo si osserva lo stato di subalternità in cui è costretto il gruppo italiano, quasi sempre lontano dalle posizioni di maggior rilievo politico, sociale ed economico. Ciò si deve al fatto che il potere politico è saldamente nelle mani del Südtirol Volkspartei (SVP), il partito popolare sudtirolese, che si considera rappresentante degli interessi tedeschi e ladini, ma non italiani, tanto che gli altoatesini di lingua italiana non vi si possono iscrivere. Si aggiungano poi le difficoltà di comunicazione: mentre gli italofoni apprendono la lingua tedesca standard, la popolazione germanofona si esprime in un colorito dialetto, molto diverso rispetto all’«Hochdeutsch» o dialetto alto-tedesco. Si pensi, inoltre, che l’immigrazione di italiani verso questa prospera regione viene ostacolata da una normativa rigidissima, che consente di votare per le elezioni provinciali e di godere di sussidi pubblici, indispensabili in un territorio dove il costo della vita è altissimo, soltanto dopo quattro anni di residenza. Per non parlare del disagio provato dagli italofoni già residenti, considerati i maggiori privilegi e un trattamento di favore riservato alla comunità tedesca”.
Molto più consistente dal punto di vista politico il disegno di legge costituzionale presentato più o meno tre anni dopo, marzo 2012, e avente sempre come prima firmataria Michaela Biancofiore accanto al cui nome compaiono però anche quelli di Franco Frattini e di altri esponenti di rilievo di Forza Italia tra cui quello di Alessandra Mussolini.
Nel progetto, che finisce per dare sostanza al cosiddetto “Pacchetto degli italiani” di cui all’epoca si parlava molto a Bolzano, sono inserite norme molto diverse tra di loro. All’articolo 1, ad esempio, si afferma che il Trentino Alto Adige si riconosce nelle radici giudaico cristiane della civiltà. Gli interventi più incisivi avvengono nel prevedere il recupero, da parte della Regione di precise competenze legislative in diversi settori. In sostanza un ritorno allo Statuto del 1948. Alla stessa Regione viene attribuito esplicitamente un ruolo di tutela del gruppo italiano in Alto Adige.
Anche in questo caso, nella relazione introduttiva, in toni utilizzati per descrivere la situazione politica in Alto Adige non sono certo di grande moderazione: “Il secondo statuto d’autonomia del Trentino-Alto Adige risale inoltre al 1972, ovvero ad anni nei quali i trattati europei non erano né contemplati né in vigore e la Carta costituzionale non prevedeva l’ampio decentramento ottenuto appunto con la riforma dell’articolo 117. È talmente vetusto e superato dalla prassi e dalla proliferazione della normativa di attuazione posta in essere dalle commissioni paritetiche dei sei e dei dodici senza un passaggio in Parlamento, che alle due norme di attuazione previste dalle normetransitorie se ne è aggiunta una moltitudine disparata – permettendo al partito etnico di lingua tedesca – la Südtiroler Volkspartei (SVP) – promotore dell’autonomia, di costruire negli anni una sedicente «autonomia dinamica» oltre lo statuto che ha rango costituzionale, ipotizzando addirittura, senza porre in essere una revisione costituzionale, la cosiddetta « Voll Autonomie » ovvero l’autonomia piena, che si sta trasformando piuttosto in una « folle autonomia ». Un’autonomia, come sempre, a guida esclusiva del gruppo linguistico dominante, quello tedesco, nella quale tutte le deleghe residue sono attribuite, con relativi trasferimenti da parte dello Stato, alla provincia autonoma di Bolzano. Ciò allo scopo di perseguire il mai sopito sogno di una secessione di sostanza, realizzata però con i soldi degli italiani ovvero delle nostre regioni più produttive".
Finanziamenti & toponimi
Se dovessimo limitarci a prendere in considerazione questi tentativi di rimettere in discussione l’assetto autonomistico, con il corredo tutta una serie di prese di posizione a volte estreme, come quella avanzata in occasione di una campagna elettorale per le Europee da parte di Biancofiore e Frattini che annunciarono di voler chiedere l’espulsione della SVP dal Partito Popolare Europeo, dovremmo concludere che la politica berlusconiana sull’Alto Adige non si discostava per nulla da quella della destra missina.
Le cose non stanno tuttavia proprio così e, a dimostrarcelo, c’è proprio la sorte dei vari disegni di legge di cui abbiamo parlato e di altre ancora dal contenuto analogo presentati nel corso degli anni dagli esponenti parlamentari della destra altoatesina. Nessuna di queste proposte arrivò mai alla discussione in aula anche quando i numeri avrebbero fatto ipotizzare un iter parlamentare agevole, con una maggioranza di centro-destra capace di superare anche lo scoglio costituito dall’obbligo di doppia lettura per le leggi di riforma costituzionale.
Se questo non è avvenuto, i retroscena sono stati ormai abbondantemente svelati anche dagli stessi parlamentari della Südtiroler Volkspartei, è perché i vertici nazionali, Berlusconi compreso, non avevano nessuna intenzione di riaprire il contenzioso sulla questione altoatesina. Sarebbe stato oltremodo imbarazzante, però, dover ammettere questo voltafaccia durante il dibattito in aula e si fece in modo quindi di bloccare l’iter parlamentare prima della discussione. A pesare, come detto sopra, il timore che una destra revisionista sull’Alto Adige avrebbe avuto serie difficoltà di accreditarsi a livello europeo. Uno schema politico che forse non è del tutto estraneo all’approccio con gli affari altoatesini messo in campo negli ultimi dodici mesi dal partito di Giorgia Meloni. Allora comunque queste ambiguità furono all’ordine delle dimissioni polemiche del leader della destra missina altoatesina Pietro Mitolo, che lasciò l’incarico di consulente del Governo sulla questione altoatesina proprio perché si rese conto che non vi era la volontà di mandare avanti il “Pacchetto degli italiani”.
Ripensando ai rapporti tra Bolzano e Roma nell’era berlusconiana e ricordato che ci furono diversi esponenti di Forza Italia che intrecciarono, sul piano politico e su quello personale, ottimi rapporti con la rappresentanza politica sudtirolese come il super ministro delle finanze Giulio Tremonti, vanno indubbiamente sottolineati alcuni passaggi di notevole spessore che ribaltano in parte la vulgata su una Forza Italia allineata totalmente con la destra missina nell’opposizione al modello autonomistico altoatesino.
Il primo è sicuramente il più importante è costituito dal famoso Accordo di Milano siglato nel 2009 e con il quale vengono regolati i rapporti finanziari tra Stato e Province autonome di Trento e Bolzano, in base, tra l’altro, al principio che il contributo degli enti locali al risanamento del deficit di bilancio nazionale passa anche per l’acquisizione di nuove competenze con i relativi oneri.
È uno dei passaggi chiave nella ridefinizione dei rapporti tra Roma e Bolzano, portato avanti da un autonomista convinto come il leghista Calderoli, ma che, evidentemente, non avrebbe potuto essere attuato senza il consenso dell’intero Governo.
Un paio d’anni dopo è sul punto di essere siglata con un altro ministro dell’esecutivo berlusconiano un’altra intesa uno dei temi più scottanti del contenzioso etnico in Alto Adige: la toponomastica bilingue. Sulla base dei lavori di una commissione mista, il Ministro per le regioni Fitto e il presidente altoatesino Durnwalder si trovano di fronte gli elementi di un accordo che avrebbe portato, come richiesto da molto tempo dal mondo sudtirolese, alla possibilità di rivedere la bilinguità di tutta una serie di nomi geografici italiani, inseriti ormai da quasi un secolo, sulla carta della provincia. L’accordo salta all’ultimo secondo per la volontà di Durnwalder, convinto probabilmente di poter spuntare, riaprendo la trattativa, su un risultato migliore. Le cose andranno invece, come si sa, in modo assai diverso. Certo è che se quell’intesa fosse stata firmata avrebbe avuto un valore ulteriore: quello di essere stata messa a punto da un esecutivo di centro-destra, togliendo così spazio a eventuali contestazioni.
C’è infine un altro ministro berlusconiano, che, sempre nel 2011, si dichiara disposto a venire incontro alle richieste dei sudtirolesi su un’altra controversia a sfondo etnico: quella delle cosiddette testimonianze dell’era fascista presenti a Bolzano in altre località della provincia. Il ministro è Sandro Bondi, titolare dei beni culturali, che in quelle settimane si trova a dover affrontare una mozione di sfiducia personale che, a causa degli equilibri parlamentari, ha qualche possibilità di essere accolta. Per scongiurare l’ipotesi anche i voti del piccolo gruppo SVP in Parlamento diventerebbero, a quanto sembra, fondamentali. Ed ecco nascere all’improvviso l’ipotesi del baratto che getta nella costernazione gli esponenti locali del centrodestra. La sfiducia comunque non passa e le astensioni dei parlamentari SVP non sono determinanti.
Silvio Berlusconi La celebre foto di Berlusconi scattata da Othmar Seehauser
Quel medio alzato
Arrivati a questo punto non ci resta che tirare le conclusioni al termine di questo percorso tra le vicende altoatesine e le posizioni politiche dei movimenti e degli esecutivi guidati da Silvio Berlusconi. Va detto innanzitutto che l’episodio sul quale ci si è più soffermati all’indomani della scomparsa del Cavaliere, quello della sua visita a Bolzano, il 22 maggio 2005, con l’infruttuoso incontro con la SVP per chiedere un’impossibile appoggio alla giunta di Giovanni Benussi, eletto sindaco ma privo di una maggioranza, con il comizio in Piazza Vittoria e il dito medio alzato verso un gruppo di contestatori, non è più significativo di tanto della storia politica che abbiamo cercato di raccontare. La distanza tra quel centrodestra e il mondo sudtirolese era ancora troppa per essere colmata e il Cavaliere lo sapeva benissimo. Forse sperava di poter far valere il suo fascino personale, ma si trovò di fronte un interlocutore, Luis Durnwalder, che, per certi versi, gli assomigliava sin troppo per poter cedere alle lusinghe non accompagnate da robustissime concessioni.
La sintesi estrema di quanto abbiamo cercato di raccontare in queste righe è la seguente: la Forza Italia di Berlusconi ha tenuto sulla questione altoatesina un atteggiamento che non è eccessivo definire ambiguo: molto critica e battagliera a Bolzano, molto più cauta a livello romano.
È un’eredità che oggi si specchia in una nuova stagione di rapporti fra il centrodestra vittorioso e la realtà altoatesina. E in questo quadro finiscono per rientrare anche le polemiche di questi giorni sulla figura di Berlusconi, sulla sua etica politica e sulla sua moralità personale, polemiche che, a Bolzano, hanno assunto dimensioni davvero imprevedibili.
Ma questa, se permettete, è tutta un’altra storia.