Culture | Merito a scuola

Lettera aperta al Dott. Gullotta

Sono passati più di quattro anni dalla sua nomina, ma il volto della scuola non è mutato in nulla.
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Egregio dott. Vincenzo Gullotta, il 29 gennaio del 2019 apparve sull’Alto Adige un articolo intitolato “Rivoluzione nella scuola, arriva Gullotta” che principiava “La scuola italiana avrà il suo volto”.  

Sono passati più di quattro anni da quel giorno, ma – qui sta la ragione che mi ha indotto a scriverle – il volto della scuola non ha mutato in nulla le sue vecchie sembianze: blandizie, accoglienza, inclusività, diritti sono ancora le parole d’ordine. È come se l’importante incarico che ricopre le fosse stato conferito in ragione di un prestabilito avvicendamento di ruoli e non, come in effetti è avvenuto, sulla base di una ben determinata scelta politica.

Qualche influenza nel determinare la vittoria della parte politica che l’ha favorita devono pur averla avuta i mali della scuola se i vincitori, come primo atto, hanno sentito il bisogno – vuoi per confermare gli infervorati, vuoi per ammonire i titubanti – di inscriverne la cura (il Merito) nel nome stesso del Ministero.

Se dovesse avere un ripensamento, due di questi mali sarebbero particolarmente consigliati per iniziare a por mano al cambiamento.

Il primo è comportamentale.

V’è radicata oggi negli educatori la prassi di alleviare sempre e incondizionatamente l’apprensione dei giovani nelle vicinanze di un esame. Di fresca nomina, lei stesso – tramite l’Alto Adige (8/6/’19) – volle inviare il seguente “in bocca al lupo” ai maturandi di quell’anno: “Non abbiate paura, tutti insieme ce la faremo e valorizzeremo l’esperienza di 5 anni; che la maturità sia per voi un ricordo positivo”. Un empito di amicale solidarietà inclusivista che sa più di giubilazione che di augurio; non pensa che sarebbe ora di rivederla questa prassi, se vogliamo che i giovani ricomincino a sviluppare sicurezza e determinazione?

Il secondo è tecnico.

È invalsa da tempo la disastrosa credenza – sulla cui popolarità le risparmio ogni sorta di speculazione – che nel lavoro scolastico tutto dipenda dal docente e poco nulla dal discente. Se il ragazzo non studia, non è perché non ne ha proprio voglia, nemmeno un briciolo, ma perché l’insegnamento è inadeguato, obsoleto, poco coinvolgente. Se non riesce a capire la matematica, non è perché al posto del bernoccolo ha un avvallamento, ma perché l’insegnante pur essendo ferrato nella materia non sa personizzarla.

Lei non ci avrà fatto caso, ma c’è un passaggio nella sua ultima intervista (“Gullotta: test Invalsi, dobbiamo recuperare italiano e matematica”, A.Adige, 26/6/’23), che potrebbe essere preso ad emblema di tale asimmetria. Alla domanda “come pensa di effettuare tale recupero”? la sua risposta non lascia dubbi su chi debba effettuarlo: “proporrò modifiche alle modalità di insegnamento”. E a quelle di apprendimento, qualche richiamo al merito, niente?  

Mi sbaglierò, ma a me questa pratica sembra un pretesto per giubilare tutti incondizionatamente: un modo pilatesco (oltre che suicida), per evitare che la scuola, visto che è incapace (e come potrebbe? l’origine e l’ambiente contano, eccome se contano) di fornire condizioni di pari opportunità per tutti, venga tacciata di classismo.

Mario Refatti