Economy | Donne e autonomia

La strategia di Bolzano

Molteplici sono le difficoltà che le donne devono ancora affrontare nel mondo del lavoro, ne parliamo con Cristina Masera, Segretaria generale della CGIL/AGB.
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Frauen in der Arbeitswelt
Foto: Pixabay

Da tempo sono note le discriminazioni che le donne subiscono in ambito lavorativo. Indagini, report e studi fotografano una situazione di disparità salariale e familiare, luogo nel quale il carico di accudimento di bambini e anziani è ancora fortemente sbilanciato verso la parte femminile della coppia. Le difficoltà legate alla conciliazione di famiglia e lavoro si ripercuotono su tutto il percorso di carriera e le donne hanno a disposizione minor tempo ed energie rispetto alla loro controparte maschile. Inoltre persistono ancor resistenze culturali e sociali, che influiscono negativamente sui rapporti di lavoro. La situazione però sta cambiando lentamente e l’Alto-Adige/Südtirol mostra risultati incoraggianti rispetto al resto d’Italia: ne discutiamo con Cristina Masera. 

Ormai diverse statistiche indicano che le donne, pur avendo una maggiore formazione universitaria, sono meno impiegate. Sebbene il nord Italia abbia percentuali più alte, siamo comunque lontani dalla media europea. Come si colloca l’Alto-Adige/Südtirol in questo scenario? 

Masera: Il territorio dell’Alto-Adige/Südtirol, tra le regioni italiane, si inserisce nella fascia più alta per quanto riguarda le occupate. Il numero delle donne lavoratrici è tra i maggiori in Italia e si stanno compiendo degli sforzi per incrementare la presenza delle donne nel mercato del lavoro. Rimane però una forte carenza delle donne ai vertici: nei ruoli politici o, più in generale, nei ruoli di rappresentanza la grande maggioranza delle posizioni è ancora occupata da uomini. Mi ricordo che al primo incontro al quale mi recai come rappresentante della CGIL/AGB c’erano soltanto 4 donne su 44 partecipanti, questo rende difficile portare avanti le istanze della metà della popolazione, proprio perché eccessivamente sotto-rappresentata. Ad oggi la situazione è leggermente migliorata, ma siamo ancora lontani da una parità effettiva, che tenga conto delle molte sfaccettature delle discriminazioni subite. 

Molte più donne richiedono il part-time rispetto ai colleghi uomini, questo però influisce su diversi aspetti, dal trattamento economico a quello pensionistico? 

Masera: Il part-time non si riflette solamente sulla minore entrata mensile ma anche sul trattamento previdenziale e per cercare di aumentare l’importo della pensione la Regione aveva già previsto, nella legge regionale n.1 del febbraio 2005 (pacchetto famiglia e previdenza sociale), un meccanismo che permettesse di coprire la parte di contribuzione mancante. Pochi giorni fa il “Comitato consultivo per la revisione della normativa in materia di pacchetto famiglia e previdenza sociale”, di cui anche le organizzazioni sindacali fanno parte, ha dato all’unanimità parere positivo al testo presentato dalla Giunta regionale e che ora proseguirà l’iter in Commissione ed in aula regionale. Si tratta di alcune modifiche che facilitano ed estendono l’accesso a questa misura poco conosciuta, in caso di approvazione, dovrebbe entrare in vigore già da gennaio 2022. Tale misura rappresenta un importante strumento per ridurre la discriminazione legata ai contratti part-time: se la modifica infatti non riguarda nello specifico il lavoro femminile, ad usufruire maggiormente di questo tipo di contratto sono purtroppo proprio le donne, per motivi non solo culturali. Spesso lo stipendio della parte femminile della coppia è inferiore e, considerando la somma delle entrate familiari, si preferisce che a rimanere con i figli sia il partner che guadagna meno. L’iniziativa, che già si applica ai genitori con figli fino a 5 anni d’età, siano essi naturali, adottati o affidatari, potrebbe arrivare ad integrare fino al 100% della contribuzione prevista per lo stesso contratto a tempo pieno e permetterebbe di raggiungere un importante traguardo contro la discriminazione in ambito pensionistico.

Proprio il sistema pensionistico è, negli ultimi anni, oggetto di riforme. Quanto conta nell’avanzamento di carriera e quanto è discriminante la precoce uscita dal mercato del lavoro delle donne rispetto agli uomini?

Masera: In realtà l’età pensionabile non rappresenta un ostacolo alle prospettive di carriera per le donne. In primo luogo l’età del pensionamento si è alzata per tutta la popolazione e, andando avanti con le generazioni, stanno diminuendo costantemente coloro che lasciano il mercato del lavoro per anni di contribuzione rispetto al raggiungimento dell’età; tra donne e uomini quindi ci saranno sempre meno differenze in questo campo. I veri ostacoli alle progressioni di carriera sono altri, dal problema culturale alla differenza di salario (gender pay gap) fino alla precarietà. Se i contratti di lavoro devono essere gli stessi per tutti i generi è sugli straordinari e sui super minimi che ci sono le discriminazioni più forti. Nel 2010 una legge provinciale (L.P.n.5/2010) locale aveva tentato di ridurre le differenze di trattamento tra i generi, ma solo nel pubblico impiego. Diverse parti sociali, tra le quali anche la CGIL/AGB, hanno partecipato di recente ad una audizione organizzata dalla I Commissione legislativa in merito ad un disegno di legge di modifica di questa legge provinciale presentato da Maria Elisabeth Rieder ed altri, e in quella sede abbiamo suggerito una modifica, che preveda un’immediata estensione di queste regole alle numerose società partecipate e società in-house della Provincia, anche per innescare un circolo virtuoso che coinvolga, in seguito, i privati. Sembra che la Provincia voglia rimandare l’argomento, per intervenire successivamente in modo più ampio, ma, nell’attendere un progetto più organico, si possono accumulare ulteriori ritardi e non arrivare a cambiare la norma.

Un altro problema legato al lavoro e alla possibilità di fare impresa è l’accesso al credito. Diversi report fotografano infatti una situazione di discriminazione, con una minore possibilità per le donne di accedere ai prestiti, aumentando così gli ostacoli per l’imprenditoria femminile? 

Masera: A livello provinciale o regionale l’istituzione di un fondo potrebbe aiutare l’imprenditoria femminile, ma bisognerebbe agire anche sull’educazione e formazione. Ci sono già esempi di formazione in questo senso, ma verso chi è già imprenditrice, mentre istituire dei corsi di autonomia economico-finanziaria per i giovani, già dalle scuole superiori, potrebbe essere utile per comprendere come accedere ai diversi strumenti, soprattutto per coloro che non possiedono una famiglia con una solida realtà economica o culturale alle spalle.

C’è poi la questione della credibilità. Spesso le donne fanno più fatica ad affermarsi perché godono di minor fiducia da parte dei datori, creditori o clienti rispetto ai colleghi uomini? 

Masera: Il problema è complesso e intreccia diversi aspetti, culturali e sociali. Le nuove generazioni si dimostrano più aperte alla parità di genere e più disponibili a collaborare, ma nel mercato del lavoro ci sono ancora persone adulte e abituate ad una mentalità più conservatrice. Come detto prima, per incentivare il cambiamento, dei corsi a livello scolastico e universitario potrebbero essere particolarmente utili, in primo luogo per ridurre il divario tra studenti provenienti da diversi contesti familiari e sociali. I dati indicano che gli uomini più attenti alle tematiche di genere provengono spesso da famiglie maggiormente scolarizzate, istituire dei percorsi che coinvolgano tutti gli studenti (ragazzi e ragazze) avrebbe conseguenze benefiche su tutti gli strati sociali della popolazione, anche per coloro che provengono da ambienti più difficili.

L’altro grande tema è quello dell’accudimento familiare, le donne subiscono il carico maggiore, non solo nella gestione dei figli ma anche degli anziani. Eppure le strutture spesso non sono sufficienti, il PNRR può rappresentare finalmente l’occasione per investire in questi settori? 

Masera: Il PNRR è un’ottima occasione ma purtroppo, dai dati nazionali che abbiamo potuto esaminare, i fondi sembrano non essere sufficienti per raggiungere gli obiettivi europei prefissati. C’è poi il piano locale e il presidente della Provincia, Kompatscher, non è stato chiaro su come il PNRR verrà integrato in ambito provinciale. Abbiamo, con le altre parti sociali, inviato una lettera proprio alla Presidenza della provincia, e a breve intendiamo chiedere la creazione di un comitato composto dalle varie parti sociali, per discutere di come possano essere inserite proposte trasversali, che tengano conto dei giovani e delle donne, obiettivo primario del Next Generation EU, ma che, ad oggi, non vede riscontro nei progetti già presentati da Bolzano.  

Crede quindi che le iniziative messe in campo dalla Provincia possano essere una buona strategia per ridurre le discriminazioni? 

Masera: Sicuramente la Provincia sta lavorando con diversi progetti per colmare il divario tra donne e uomini nel campo del lavoro. Iniziative, come quella già citata, per una completa contribuzione anche nel part-time o il tentativo di rendere più vantaggioso il congedo di paternità, prevedendo coperture più ampie dello stipendio nel periodo di aspettativa genitoriale, lasciano intravedere un importante impegno. Rimangono però fuori alcuni temi
che sono comunque centrali, come l’aumento di strutture e figure che si occupano di assistenza. Per quanto la presenza di asili nido o servizi di cura non sia carente, una maggiore copertura innescherebbe un circolo virtuoso, perché non solo più donne avrebbero accesso ai servizi, ma ci sarebbe un maggiore impiego di personale, che in questi settori è formato prevalentemente da donne. 
Un’ulteriore tema è rappresentato poi dalle lavoratrici con impieghi più precari e meno qualificati: la pandemia ha colpito soprattutto loro ed ancora non c’è stata una ripresa davvero risolutiva. Il lavoro precario investe in larga parte i giovani e soprattutto le giovani, tentare di regolarizzare queste situazioni permetterebbe anche di avere un minor peso sui sussidi provinciali erogati. Una proposta da valutare potrebbe coinvolgere i contratti d’appalto delle pubbliche amministrazioni: decidere di reinternalizzare i servizi di pulizia degli enti pubblici regolarizzerebbe molte lavoratrici precarie e, probabilmente, porterebbe comunque ad un risparmio, queste lavoratrici infatti sarebbero più autonome e meno dipendenti dagli aiuti provinciali. 
Se la strada imboccata sembra essere quella giusta, per evitare tentennamenti è necessario un continuo confronto con le parti sociali.