Society | Salute mentale

Psiche: il coraggio della cura/2

I ragazzi e la sofferenza mentale. La devastante storia di abusi in famiglia di Sara e quella di Fabio, che è uscito dalla droga e ora aiuta i ragazzi a non caderci.
psicologia.jpg
Foto: pexels Alex Green

Ecco la seconda parte delle storie raccolte parlando con ragazzi in cura presso i servizi psichiatrici. Ieri era uscita la prima parte (clicca qui)

Sara, 26 anni, in terapia per disturbo post-traumatico da stress

SALTO: Siamo abituati a considerare Bolzano come un’isola felice e crediamo quindi che certe cose non possano succedere, ma è davvero così?

Sara: So che mi stai facendo questa domanda perché la mia storia fa rimanere un po’ tutti di sasso, ma ti assicuro che in giro ce ne sono moltissime come le mie, in tutta la regione. Allora, no, Bolzano non è un’isola felice, o meglio, dobbiamo capire cosa intendiamo con questa espressione. È sicuramente pulita, con una certa ricchezza e con una criminalità minore rispetto ad altre città. Ma se la analizziamo solamente secondo questi criteri rischiamo di vedere solo un lato della medaglia, quello che risplende di più. Bolzano è infatti fatta anche di case. E perché mai dico questa cosa strana? Perché bisognerebbe porre maggiore attenzione a quello che accade dentro alle mura di queste case. Sono molto cauta nel raccontare la mia storia perché non c’è niente che mi faccia più arrabbiare di chi crede, come ti dicevo in precedenza, che io sia un’eccezione che conferma la regola. Non sono un’eccezione, credimi. Ho un ampio gruppo whatsapp che può provartelo subito, con ragazze e ragazzi che vengono da un’esperienza simile alla mia. Bolzano ha un malessere enorme, che magari non si vede a prima vista. Poi ovviamente ci sono i casi più gravi, come il mio.

Hai voglia di raccontare?

I miei genitori non stavano bene, proprio per nulla, e non se ne rendevano conto. Questo loro malessere li ha portati ad abusare sessualmente di me. Non entrerò nei dettagli. La sfiga è che quando cresci fin da piccola in un ambiente di abusi sei convinta che anche le tue compagne di classe stiano vivendo quella situazione lì, quindi pensi sia un malessere comune. Non ti viene in mente di parlarne o di chiedere aiuto. Infatti, la prima volta che ho parlato con uno psicoterapeuta non è stato per parlare degli abusi, ma degli attacchi di panico. Mi erano cominciati dopo una serata a casa di un’amica. La sera avevamo bevuto tantissimo e c’era stato un momento in cui sentivo che stavo per perdere i sensi, solo che invece che perdere i sensi avevo cominciato a sudare e lì mi è venuto il mio primo attacco di panico. Come chiunque, anche io pensavo fosse un infarto e pensavo di morire sul colpo. Dal giorno seguente ho cominciato ad avere due/tre attacchi di panico al giorno. La vita era diventata invivibile e così mi sono rivolta al servizio psicologico dell’Azienda Sanitaria. Mi ricordo che, per capire cosa avesse potuto scatenare questi attacchi, avevo sfiorato il discorso degli abusi (che all’epoca chiamavo ancora “strani giochi”) e avevo visto il viso dello psicologo sbiancare. Mi aveva interrotto per approfondire il tema e così facendo mi si era aperto un mondo che ci avrei messo anni a comprendere, anche solo a grandi linee. Prima che tu me lo chieda, no, non ho mai denunciato i miei genitori e no, non sono andata in affidamento perché non c’è mai stata nessuna segnalazione e quando ho affrontato il problema ormai ero più che maggiorenne. Perché non mi chiedi quante delle persone che ho sulla chat di whatsapp hanno denunciato i propri genitori per abusi sessuali?

Quante?

Una. Una persona su quindici. Questo dovrebbe dirti qualcosa.

Cioè?

Sara: Che evitare di denunciare ci fa sentire più salvaguardate/i rispetto al denunciare. Non dovrebbe essere così, eppure così è. Passare per vie legali ci succhierebbe via quella poca energia che abbiamo messo da parte in terapia. Per quello che riguarda gli abusi sessuali in famiglia, si passa per vie legali se qualcuno si accorge che sta succedendo quando sei ancora minorenne. A quel punto intervengono i servizi sociali ecc. Lì hai qualche speranza e, soprattutto, il tempo. Io non ho il tempo e, francamente, la voglia di rivedere i miei genitori. Loro dovranno convivere con quello che hanno fatto, io sto facendo del mio meglio per sopravvivere.

E in questo i servizi per la salute mentale del territorio ti hanno aiutata?

Sì. Ho incontrato una psichiatra con cui mi sono sentita a mio agio fin dall’inizio. Sentirsi a proprio agio è importantissimo, perché in quel momento tu stai mettendo il tuo cervello nelle mani di un’estranea. Con lei ho cominciato una terapia farmacologica che mi ha davvero aiutato e che sto proseguendo ancora adesso. Parallelamente sto seguendo una psicoterapia con un terapeuta privato.

Cos’è il disturbo post-traumatico da stress?

Sara: È un disturbo che insorge dopo gravi traumi e che comprende una serie di sintomi, tra cui flashback, ansia e potrei andare avanti all’infinito. Hai presente quando al Batzen ti portano i vari assaggi delle principali birre? Ecco il PTSD mi sembra un assaggio delle principali psicopatologie.

Sei arrabbiata per il fatto che nessuno si sia mai accorto di quello che accadeva dentro casa tua?

Sara: Mentirei se dicessi il contrario. Sono arrabbiatissima e non so neanche bene con chi esserlo, per cui il più delle volte me la prendo con me stessa. Non so se essere arrabbiata con gli insegnanti, perché magari i miei genitori erano così bravi a nascondere le atrocità che avvenivano dentro casa che da fuori era impossibile accorgersene, di conseguenza non posso avercela con i servizi sociali perché come facevano ad intervenire se nessuno ha mai segnalato nulla? Penso sia una di quelle situazioni in cui è inutile chiedersi come sarebbe stato se, e ha più senso cercare di rendere vivibile il presente. Però posso dirti questo: sono arrabbiata per l’indifferenza che c’è nei confronti dei dolori vissuti nell’infanzia. Ci sono situazioni di violenza che non solo non vengono segnalati, ma vengono giustificati. Siamo così abituati alla violenza che non la riconosciamo neanche. Infatti, per quanto parlarti della mia storia nutra la mia parte narcisistica, ci tengo a precisare che dobbiamo guardarci attorno. Storie come la mia devono servire a riconoscerne altre simili, non a pensare che io sia l’unica.

Fabio, 34 anni, in terapia per abuso di sostanze

SALTO: Entro a gamba tesa citando Trainspotting e quindi ti chiedo: alla fine hai scelto la vita?

Fabio: Esattamente, anche se non ho i soldi per permettermi tutte le cose che Rent elenca all’inizio del film.

Quando hai cominciato a fare uso di sostanze?

La prima canna l’ho fumata alla fine della terza media e da lì è partita la giostra. Per qualche anno ho fumato solo canne, poi sono passato a MDMA, LSD, cocaina e occasionalmente eroina. Specifico: dico “MDMA” e “LSD” ma in realtà non posso esserne sicuro, perché non sai mai davvero cosa ci mettono dentro.

Perché hai cominciato?

Direi che è stata una cosa istintiva. Ero attratto da quel mondo. Per un po’ è stata una bella distrazione, però poi è diventato un incubo, anche perché fai conto che la conoscenza che io e i miei amici avevamo delle sostanze era pari a zero, quindi non avevamo messo in conto la dipendenza. Io poi mi facevo più di tutti, quindi alla fine sono quello che ha subito il rinculo maggiore. Cioè dolore alle ossa, cefalea e tutte quelle rotture di quando smetti improvvisamente di drogarti. Ti dirò, non sapevo neanche da quale sostanza fossi dipendente, perché prendevo quelle che trovavo a seconda della serata. Però probabilmente è stato l’oppio, perché alla fine era quello che fumavo con più regolarità.

Ecco una domanda temuta: pensi che la città di Bolzano abbia avuto un ruolo nella tua dipendenza?

Ora farò una lista di cose ovvie, ma è l’unico modo per rispondere a questa domanda. È ovvio che non si possa ridurre tutto ad un unico fattore. La mia famiglia è sempre stata un casino, quindi tutte le cose che prendevo mi aiutavano ad evadere da quel caos. Poi, se vuoi che entriamo nel merito di Bolzano, a tuo rischio e pericolo lo facciamo ma, anche qui, carrellata di cose ovvie. A Bolzano manca quella vitalità di cui un giovane ha bisogno per crescere pseudo-serenamente. La prima cosa che mi viene in mente: ma a te sembra che Bolzano sia una città universitaria? Dove sono gli studenti? Ogni volta che passo per le piazze, anche di sabato sera, io mi ritrovo solo i compagni delle scuole che ho fatto, invecchiati, a bere birre e fumare cicche. Se vado al Nadamas o al Picchio io so esattamente chi ci trovo. Posso farti una lista di nomi e cognomi se vuoi. Ci sono tanti micro eventi qua e là, ma dopo le 21 non c’è praticamente nulla. Della musica non serve neanche parlarne perché sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Quindi poi è ovvio che c’è il rischio che uno si butti sulle droghe. Che poi mica deve essere per forza l’eroina eh, può essere anche l’alcol. Per come la vedo io, a Bolzano cocaina e alcol vanno per la maggiore.

Se Bolzano è stata la causa, possiamo dire però che sia stata anche la cura coi servizi che offre per la salute mentale?

Fabio: Non nel mio caso. Io sono andato da un terapeuta privato perché nel pubblico è stata un’esperienza terrificante. Quando ho avuto a che fare con l’ospedale ero al Pronto Soccorso, in preda ad una crisi di panico assurda. Sentivo il cuore che squarciava il petto. Il medico che era di turno mi aveva chiesto se avessi fatto uso di droghe e io gli ho risposto che nella vita sì, ma che poi avevo smesso, ed era la verità. Non credendomi mi ha voluto fare le analisi, che non hanno rilevato alcuna droga. Nel frattempo io stavo davvero soffrendo oltre ogni sopportazione possibile ma, nonostante le analisi non avessero rilevato alcuna droga, il medico aveva deciso di non darmi nulla perché, e qui lo cito: “un po’ di dolore in più non poteva che farmi bene, come monito”. Come monito di cosa? Io ero pulito, avevo solo bisogno di una sedazione e un colloquio con qualcuno che fosse leggermente meno sadico. Detto questo, io sono arrivato a sapere tardi che ci fossero dei servizi legati alla salute mentale, perché quella volta al Pronto soccorso nessuno mi aveva indirizzato da nessuna parte, nonostante io fossi lì per un malessere psicologico. Quindi immagino che dipenda molto da con chi capiti. Comunque, adesso mi occupo di prevenzione durante i concerti o i rave, assistendo le persone che si sentono poco bene. In pratica faccio quello che avrei voluto gli altri facessero per me.

Dall’altra parte

Ho tentato, senza successo, di poter avere un incontro con un medico dell’ospedale per intervistarlo su questo argomento. Non avendo avuto alcun riscontro, ho prenotato una visita psichiatrica – che, ricordiamo, può fare chiunque prendendo appuntamento per e-mail – e durante il colloquio ne ho approfittato per chiedere alcune cose generali.

Io: Comunque a Bolzano la situazione della salute mentale legata ai giovani mi sembra complessa. È solo una mia impressione?

Psichiatra: Purtroppo è così, e il Covid non ha certo aiutato. I TSO [Trattamento Sanitario Obbligatorio] sono aumentati, i tentativi di suicidio anche. Poi va detto che, anche se sembra scontato, le realtà di montagna sono più avvezze ai suicidi e alla depressione. È sempre stato così. Inoltre mancano dei gruppi di auto aiuto per giovani, che spesso sono un’occasione d’oro per allacciare rapporti tra persone che vivono situazioni simili, e in questo la divisione linguistica non aiuta.

Quindi i servizi per la salute mentale vengono utilizzati anche dai giovani?

Psichiatra: Sì, da quando poi si è cominciato a parlarne sui social la richiesta è aumentata. Non sempre si riesce a fornire un servizio in tempi brevi, dipende da vari fattori. E sicuramente ci sono ancora persone che non vengono sufficientemente informate. Ci arrivano spesso casi al limite, quando bisognerebbe intervenire prima.

Più di questo non riesco a strappargli. Finisco la visita e do un’ultima occhiata a questo reparto così unico nel suo genere. Poco prima dell’ingresso della parte chiusa, appesa al muro c’è un’opera d’arte. Nell’installazione dei colori sono illuminati dall’interno. Un paziente che mi passa accanto mi suggerisce che dovrebbero rappresentare dei globuli rossi. Esco dall’ospedale con la speranza che, oltre a quell’opera psichedelica, il padiglione W possa essere sempre più ospitale e, in tutti i sensi, aperto e accogliente. So che ci sono già dei progetti in corso da parte di alcune persone molto giovani che hanno a cuore il tema.

Vorrei ringraziare con tutto il cuore chi ha accettato di partecipare alle interviste, aprendosi con grande fiducia. Abbiamo riso, abbiamo pianto. Talvolta allo stesso tempo.

Contatti per il Servizio Psicologico: https://home.sabes.it/it/psicologia-territorio.asp