Culture | Arti visive

Il mestiere dell’illustratore

L’esperienza di Lorena Munforti, un’artista attiva tra il nord ed il sud Europa.

Lorena Munforti, nata a Pisa e attualmente residente a Merano, è illustratrice freelance in editoria, pubblicità e animazione televisiva. Ha collaborato con importanti magazine italiani, illustrato e scritto libri per ragazzi, firmato due manifesti per il Piccolo Teatro di Milano. Ha curato fra le altre cose la mostra storica sul Ventennale della caduta del Muro di Berlino al Macro Future di Roma nel 2009/2010 e gli appuntamenti collaterali per la mostra 100 capolavori dallo Städel Museum di Francoforte al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 2011. Nel 2012 ha curato insieme al giornalista Giancarlo Riccio, un incontro per le scuole di Merano nell’ambito del Festival delle Resistenze sul tema interetnico attraverso immagini e social media. Nello stesso anno disegna un’originale “Adventskalender” per l’azienda di soggiorno di Merano. Nel 2013 nell’ambito di Lana Live ha allestito il progetto Wiev master, un viaggio negli anni 50 in Tirolo attraverso un curioso visore stereoscopico. Ha partecipato inoltre al concorso internazionale Smach, che vede tra i giurati il noto critico e curatore Danilo Eccher, creando un‘installazione all’interno di un edificio storico a S. Martin de Tor composta da disegni su carta, foto stereoscopiche, e teche che contengono micromondi. Nel 2014 ha curato la mostra Bolzano > Berlino allestita al Centro Trevi di Bolzano. Sue le illustrazioni contenute nel libro per ragazzi Laives, ti racconto la città, edito da Curcu & Genovese, la cui uscita è prevista a breve.

Munforti, come è iniziata la sua carriera di illustratrice?
Dopo aver conseguito il Diploma di Laurea all’Accademia di Belle Arti di Urbino e un’ulteriore diploma all’Istituto Europeo di Design ho iniziato a collaborare con uno studio di animazione e quasi contemporaneamente per delle case editrici di libri per ragazzi. Presso lo studio romano che realizzava cartoni animati per la Rai disegnavo scenografie. Si trattava di creare delle vere e proprie ambientazioni, dei “set” in cui si muovevano i personaggi dei cartoons. Per pochi secondi di animazione è necessario produrre una grossa quantità di disegni. L’esperienza è stata utile per migliorare l’uso dell’acquerello, la mia tecnica preferita e per studiare inquadrature e prospettive.

I suoi più grandi maestri dell’illustrazione?
Edmund Dulac, il russo Ivan Bilibin, Felix Vallotton. Tutti artisti dei primi del Novecento, anonimi incisori ottocenteschi, il grande Gustave Doré e tra i contemporanei Gorey, Matticchio, e molti altri...

Se dovesse descrivere il suo stile?
Le direi un classico pittorico ma in alcuni libri con illustrazioni in bianco e nero ho adottato un segno più grafico. Mi diverto molto a fare esperimenti “mixando” foto, disegni, vecchie stampe.

Di che considerazione gode oggi l’illustrazione nell’arte italiana?
È considerata secondaria e minore, suscettibile di mode, un frivolo corredo decorativo in sudditanza ad un testo. Una immagine realizzata per un libro o un quotidiano ha breve vita, gli originali (quelli su carta) hanno spesso dimensioni piccole e spesso ci si trova di fronte a richieste specifiche da parte dell’editore che nulla hanno a che fare con il portfolio di un illustratore. Anche i tempi brevi condizionano la riuscita di un buon lavoro. Tuttavia esistono a Milano e a Roma delle gallerie di nicchia che trattano esclusivamente mostre di autori affermati.

Oggi vive a Merano, ma nel tempo ha maturato significative esperienze sia fuori che dentro i confini italiani, cosa conserva di quegli anni e come è cambiato il suo modo di lavorare?
Gli anni di collaborazione con il Diario della Settimana diretto da Enrico Deaglio, a metà degli anni Novanta, sono stati un periodo fertile e importante. Ero spesso in redazione, nei casi in cui non esistevano immagini fotografiche mi venivano richieste illustrazioni a volte molto complesse: bisognava sintetizzare in una tavola l’intero pezzo giornalistico e il tempo per realizzarle era pochissimo... E non si trattava propriamente di tematiche fantasiose e leggere.

Che differenze ha notato, se ce ne sono, nell’approccio e nella valorizzazione del mondo dell’illustrazione fra l’Italia e i paesi esteri?
In paesi come gli Stati Uniti e Canada e in Francia il numero dei lettori di libri per ragazzi è alto. In Italia, mi risulta più basso. Noi siamo penalizzati da alti costi di produzione del singolo libro e da una lingua che, a differenza di inglese o francese, si parla quasi solo nel nostro territorio. Va detto infine che per fortuna esistono anche le coproduzioni e le traduzioni. La cose stanno comunque migliorando grazie ai circoli di lettura e alla sensibilità di biblioteche pubbliche vivaci.

Come nasce l’idea di “Laives, ti racconto la città”, libro per ragazzi di prossima uscita, edito da Curcu & Genovese, di cui ha curato le illustrazioni?
Dall’esigenza di far capire al giovane pubblico di lettori quelle che sono le origini di Laives in un rapporto passato/presente creato da testi disegni e fotografie. Anche per i testi e per le loro ricerche ho dato il mio contributo.

L’editoria per l’infanzia ha spesso dato l’opportunità agli artisti di diventare illustratori di libri. In questo senso il confine fra “libro per ragazzi” e “libro per adulti” non sempre risulta così netto. La sua opinione in merito?
Sono per l’abolizione del confine.

Crede che rispetto alle logiche di mercato e di consumo la cultura abbia la possibilità di crearsi il giusto spazio in Alto Adige?
Ci sono buone premesse perché ciò accada, l’importante è non avere ossessioni identitarie e troppo “locali”.

Lei ha curato, insieme al giornalista Giancarlo Riccio, la mostra Bolzano > Berlino allestita al Centro Trevi di Bolzano nel 2014, che tipo di esperienza è stata e che tipo di interazione c’è fra Bolzano e Berlino sul piano culturale?
La mostra si è rivelata un’occasione per conoscere meglio il pubblico bolzanino, non esisteva un catalogo ma questo apparente limite mi è servito per creare un percorso-mostra (direttamente dal curatore al visitatore) sondando in diretta le reazioni su lavori di giovani artisti contemporanei. Da un approccio inizialmente opaco e distante si passava ad una successiva fase di apertura e quasi comprensione dell’opera. Il bilinguismo ha favorito questo ponte tra le due città.

Sempre insieme con Giancarlo Riccio ha curato qualche anno prima, nel 2011, gli appuntamenti collaterali per la mostra 100 capolavori dallo Städel Museum di Francoforte al Palazzo delle Esposizioni di Roma, quanto è complicato riuscire a organizzare eventi di tale portata se la cultura viene intesa troppo spesso come espressione filantropica e poco come moltiplicatrice di reddito?
Il curatore della Mostra (ciclopica) in questione è stato Felix Kramer. Alle grandi mostre in rassegna, come questa, vengono affiancate rassegne cinematografiche e incontri a tema: ci è stato chiesto di curare, coordinare e moderare una serie di appuntamenti tenuti da storici, scrittori, critici e musicisti per approfondire i contenuti. Ricordo di aver invitato Renato Nicolini a parlare della nascita della città moderna, in una delle sale erano esposti i dipinti di Max Beckmann dedicati ad alcune architetture berlinesi, ma lui si era infatuato di un dipinto di Franz Marc in cui era ritratto un cane giallo!
Tornando all’ultima parte della sua domanda in quel caso ricordo una grande affluenza di pubblico, motivato, eterogeneo e consapevole.

“Mandiamoli in pensione, i direttori artistici, gli addetti alla cultura”, cantava Franco Battiato. È vero che quella degli addetti ai lavori è una categoria poco accessibile e molto conservatrice?
Fortunatamente non è sempre così, ho avuto la fortuna di trovare personaggi sensibili e disponibili.

Quanto sono importanti i social network e la diffusione online per un artista?
Sicuramente hanno diminuito la distanza tra i vari interlocutori, mi riferisco a curatori, galleristi, critici, ma questa immediatezza talvolta non è sufficiente per capire a fondo il lavoro di un artista. Si ritorna, o meglio si continua a ricevere il critico come accadeva nell’Ottocento, presso il proprio studio. Sotto un profilo strettamente mercantile oggi è possibile essere ospitati da gallerie online e corrispondere con i curatori via email. Una volta inseriti nel circuito della galleria, dotati di apposito portfolio digitale, la visibilità è garantita.

Progetti futuri?
Spero presto di organizzare una mia nuova mostra!

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Questo articolo è stato originariamente pubblicato sull'edizione 2014 di Scripta Manent, l'annuario della Ripartizione Cultura Italiana della Provincia Autonoma di Bolzano.