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Ricominciamo da qui

Ho 17 anni e posso tranquillamente dire che il 2020 è stato l’anno più surreale che io abbia mai vissuto.
Insieme
Foto: Unsplash

Provo e riprovo, ormai da una settimana, a scrivere questo articolo, a scrivere qualche riga, qualche riflessione su questo 2020, ma fatico a riuscirci. È stato un anno surreale come pochi, anzi, da ragazza di 17 anni posso tranquillamente dire che è stato l’anno più surreale, che io abbia mai vissuto.
Dunque, è quasi impossibile scrivere qualcosa a riguardo: da dove inizio? di cosa parlo? su cosa mi focalizzo?
Sulla scuola? No, non ne posso più di parlare di scuola, quando dopo mesi di DAD nella primavera, ora ci ritroviamo in quella stessa situazione, come se non avessimo avuto abbastanza tempo per preparaci all’autunno, alla ripartenza.  
Potrei parlare però del clima? No, non ne posso più di parlare nemmeno del clima, perché purtroppo neanche nel 2020 abbiamo capito che ci troviamo in mezzo ad una crisi climatica, che porterà, negli anni, conseguenze addirittura peggiori di quelle causate dalla crisi sanitaria.
Allora parlo di covid? No, non ne posso più di parlare di un virus che viene ancora negato da migliaia di persone, nonostante le numerose morti, nonostante il collasso degli ospedali, nonostante la scienza parli chiaro.
Però posso parlare di noi, della nostra società e di come le nostre vite, a causa della pandemia, sono cambiate in questi mesi.

... da dove inizio? di cosa parlo? su cosa mi focalizzo?

La vita non è più quella che era una volta.
La routine, che una volta ci apparteneva, ci è stata rubata.
La quotidianità, che conoscevamo, ora è solo un mero ricordo.
Le abitudini, che avevamo, ora appartengono a quelle cose che facciamo occasionalmente.
Oltre a tutto ciò, a tutte queste cose “esterne” a noi, siamo cambiati anche noi stessi.
Non siamo più le persone di febbraio, non siamo più le persone che, piene di gioia, a Capodanno dell’anno scorso, hanno stappato le bottiglie di spumante con gli amici, si sono abbracciate e hanno urlato: “Che il 2020 sia un anno migliore”.
No, non siamo più quelle persone, siamo cambiati: i mesi di lockdown ci hanno catapultati in un ambiente nuovo, in una realtà mai conosciuta prima, che ci ha costretti a fermarci, tutto d’un tratto.
L’uomo del ventunesimo secolo è, però, un uomo che non ama fermarsi: c’è il lavoro che deve essere portato avanti, c’è la famiglia di cui ci si deve occupare, c’è la vita sociale che deve essere curata. A questo uomo piace la routine, seppure sia frenetica e caotica il più delle volte. 

È chiaro, dunque, come il lockdown abbia rappresentato una difficoltà enorme per tutti: ci è stato chiesto di reinventarci, di reinventare le nostre vite, i nostri lavori, le nostre relazioni. “Come si fa didattica a distanza?” “Come si lavora da casa?” “Come rimango in contatto con i miei amici?”. Domande che, più o meno, tutti ci saremo posti almeno una volta.
Sembra, però, poco se lo paragoniamo a ciò che è stato chiesto a chi non si è mai potuto fermare in questi mesi: a loro è stato chiesto di salvare vite, di salvarne tante e pure in fretta. Loro, in quei mesi, avevano sulle loro spalle il peso di tutta una nazione, che li guardava sperando in miracoli. Infatti, li abbiamo soprannominati eroi, perché solo quelli possono fare miracoli, perché solo quelli possono salvarci da una catastrofe inevitabile.
“Non siamo eroi, stiamo solo facendo il nostro lavoro”, era la risposta che la maggior parte di loro dava quando sentivano dirsi ciò. Perché, in effetti, loro tutto ciò lo stavano già facendo da sempre. Cos’è cambiato? Che ce ne siamo accorti, che abbiamo realizzato che c’è gente che è disposta a mettere la vita di uno sconosciuto prima della propria. Ci siamo accorti che ci sono persone, che come noi hanno paure, emozioni, incertezze, dubbi, vite, sogni, ma che ogni giorno decidono di mettere tutto ciò in secondo piano, al contrario delle nostre vite spesso egoiste.
Ci siamo resi conto che ci sono persone addirittura disposte a rischiare la propria vita per salvarne altre: perché questa malattia non ha risparmiato nessuno, infatti tanti, troppi medici, infermieri, operatori sanitari, sono morti così, in silenzio, mentre curavano qualcuno.

Se c’è qualcosa che ci ha insegnato questo 2020, è che nessuno si salva da solo, che siamo tutti nella stessa barca, che siamo tutti più simili di quel che pensiamo

Avremmo tanto da imparare da queste persone, da questo loro infinito altruismo.
Perché se c’è qualcosa che ci ha insegnato questo 2020, è che nessuno si salva da solo, che siamo tutti nella stessa barca, che siamo tutti più simili di quel che pensiamo.
Ci credevamo immortali, invece abbiamo visto che siamo fragili.
Credevamo di poter costruire muri che ci proteggessero, invece abbiamo visto che non serve nulla avere barriere, muri, perché siamo tutti interconnessi.
Credevamo di poterci considerare migliori di altri, invece abbiamo visto che è inutile fare classifiche e distinzione, perché ci sono cose che ci colpiscono tutti, a prescindere da nazionalità, sesso, età.
Credevamo di potercela fare da soli, invece abbiamo visto che non sopravviviamo senza l’aiuto degli altri.
Proprio per questo, per l’anno che verrà, mi auguro che tutti possiamo ritrovare in noi più altruismo, più solidarietà, più amore. Più amore per noi stessi, ma anche, e soprattutto, per l’altro, per il nostro vicino, per i più deboli, per gli “ultimi” della nostra società.  
Non lasciamo indietro nessuno e aiutiamoci a vicenda.
Ne abbiamo tremendamente bisogno, tutti.