Se alla scuola dicono addio
Giovani che non riescono o non possono stare al passo. L’Italia è tra i paesi in Europa in cui l’abbandono scolastico è più diffuso. Stando alla Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione per il 2020, la percentuale di giovani nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni che lasciano prematuramente l’istruzione e la formazione (e cioè che si fermano alla terza media e dintorni) è stata del 13,5%. Peggio di noi solo Spagna, Malta, Romania (oltre il 15%) e Bulgaria (14,6%).
L’elevato numero di drop out si riferisce all’anno 2019, ovvero a prima dello scoppio della pandemia. Quali effetti emergeranno dalla prolungata chiusura delle scuole, dal cambiamento della “ritualità” scolastica e in termini di integrità psichica degli studenti, è un interrogativo aperto che potrà avere risposta solo fra qualche tempo, ma intanto ecco una prima parziale panoramica sulla situazione in Alto Adige.
Va detto innanzitutto che da metà marzo 2020 si sono svolti a distanza progetti contro l’abbandono scolastico rivolti agli allievi delle scuole secondarie di primo e secondo grado e dei percorsi di istruzione e formazione professionale per i tre gruppi linguistici. Complessivamente sono stati circa 900 gli allievi e 220 i docenti che hanno preso parte alle lezioni in remoto per un totale di 4.134 ore, di cui 1.300 d’aula e 2.800 individualizzate. Nel servizio socio-pedagogico gli studenti coinvolti sono stati 2.137 per un totale di 16.590 ore di cui almeno 10.000 a distanza da 250 tra docenti ed educatori.
La scuola italiana
Bisognerà attendere l’estate 2021 per avere numeri precisi sull’abbandono scolastico relativi all’anno nero della comparsa del virus. Nel 2020, proprio a causa della pandemia, non sono stati raccolti dati secondo le modalità usuali in quanto, secondo normativa straordinaria nazionale, tutti gli studenti sono stati ammessi all’anno successivo, specificano a salto.bz dall’Intendenza scolastica di lingua italiana. Gli effetti delle scelte didattiche obbligate, effettuate nel contesto della pandemia e della legislazione straordinaria, si vedranno solo a distanza di un paio di anni, sul piano degli abbandoni.
Ciò che si può constatare intanto è che in Alto Adige non si sono registrate difficoltà insormontabili relative al digitale, aspetto invece presente in altre parti del Paese, nota l’assessore Giuliano Vettorato aggiungendo che “la scuola italiana della provincia di Bolzano ha dedicato ampie risorse professionali, di tempi e di mezzi proprio a sostegno delle categorie più esposte, quelle connesse a diverse forme di svantaggio (anche socio-culturale)”. Il giudizio rispetto alla fuoriuscita precoce dal mondo dell’istruzione relativamente al periodo caratterizzato dal coronavirus è quindi sospeso. Ma intanto la narrazione politica resta edulcorata: “I risultati li attendiamo, anche se non sarà facile identificarli limpidamente, nel contesto profondamente mutato dalla pandemia: ma gli sforzi saranno moltiplicati, la direzione è quella giusta, e i segnali arrivano anche dalle famiglie e dai ragazzi stessi, che vivono la scuola sempre meno come luogo di conflitto e sempre più come contesto sociale accogliente, importante”, così l’assessore. Capitolo a parte l’extra-scuola, dove invece spesso si è concentrato il disagio dei giovani, sostiene Vettorato citando i “limiti sulla prossimità, il divieto del contatto fisico, della frequentazione fra pari, in libertà”.
La scuola tedesca
L’abbandono scolastico viene rubricato sotto la voce “crisi scolastica”. E qualche dato è già disponibile, fanno sapere dalla Direzione istruzione e formazione tedesca, guidata da Gustav Tschenett.
Hannelore Winkler, dirigente dell’Unità di consulenza psicologica - Centro di consulenza pedagogica Bolzano, riferisce che nel 2019 i consulenti sono stati coinvolti 266 volte nelle cosiddette crisi scolastiche su un totale di 3006 interventi (in percentuale l’8,85%). Nel 2020 ci sono stati meno episodi di crisi a fronte però di meno interventi: 203 su 2046 (9,92%).
Tra i fattori causali dell’abbandono scolastico gli esperti individuano: paure, deficit di rendimento, comportamento degli insegnanti, stress familiare, mancanza di motivazione, condizione psicologica degli studenti.
Winkler è netta: “Gli effetti della pandemia sugli alunni e i giovani sono attualmente così evidenti che situazioni già difficili sono peggiorate e diventate più complesse, elementi come il background migratorio, la disabilità o i bisogni educativi speciali giocano un ruolo che non deve essere sottovalutato”.
Dove possibile viene offerto un servizio di consulenza in loco e nelle scuole dove sono presenti assistenti sociali certi disagi possono certamente essere trattati più da vicino. Con gli istituiti chiusi si sfrutta, come contingenze impongono, il circuito online, a breve sarà infatti disponibile per le scuole un webinar su giovani e coronavirus.
La scuola ladina
Possono già vantare un successo le scuole delle località ladine: in queste realtà non ci sono stati ulteriori casi di dispersione scolastica negli ultimi 12 mesi. “Sono a conoscenza di un unico caso presso una scuola secondaria di secondo grado, ma non è riconducibile alla pandemia” precisa Edith Ploner, direttrice del Dipartimento Direzione Istruzione, Formazione e Cultura ladina. Sebbene il fenomeno della dispersione scolastica non sia dunque rilevabile nelle scuole delle vallate ladine, essendo anche esigui i numeri degli alunni delle secondarie di secondo grado, Ploner individua comunque utili contromisure al problema come l’apprendimento individualizzato, il supporto psico-pedagogico, l’accompagnamento degli alunni con un sistema di tutoring, l’orientamento, progetti specifici di formazione scolastica ed extrascolastica dopo attenta valutazione del singolo caso.
“La cosa difficile in questo momento è comprendere la nuova situazione che ci troviamo di fronte dal punto di vista psicologico, che porta con sé nuove problematiche e sfide finora sconosciute. Sicuramente la collaborazione tra i vari attori coinvolti e la reciproca fiducia possono essere una chiave per uscirne in tempi non troppo lunghi” chiosa la direttrice delle scuole ladine sottolineando che gli effetti sui ragazzi, il loro stato psicofisico attuale e come tutto ciò possa determinare il loro futuro al momento sono questioni ancora difficili da definire.
Focalizzandosi allora sugli aspetti positivi delle strategie sviluppate dalle direzioni scolastiche dell’Alto Adige per affrontare la pandemia Ploner parla di una didattica a distanza che “funziona bene fin quando rimane limitata a periodi brevi. E in questo abbiamo riscontrato il grande supporto da parte delle famiglie, che sostengono in gran parte con convinzione e attivismo l’istruzione e la formazione dei nostri ragazzi. Sul lungo periodo invece la Dad evidenzia i suoi limiti e diventa sempre più difficile da gestire sia per gli alunni che per gli insegnanti. È quindi anche comprensibile - conclude Ploner - che proprio adesso dopo le vacanze di Carnevale molti studenti siano particolarmente stanchi e stufi di dover continuare a lavorare a distanza”.