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Ilvo Diamanti: “Il referendum veneto va preso sul serio”

Il fronte euroscettico va dalla rivendicazione della rinnovata preminenza degli stati nazionali fino a progetti di smembramento regionale e microregionale del territorio continentale. Secondo il sociologo Ilvo Diamanti una tendenza da non sottovalutare.

Dalla Catalogna alla Crimea, passando per la Francia e la Scozia, fino al “nostro” Veneto e ovviamente anche al Sudtirolo, da sempre terreno fertile per movimenti e pulsioni a forte impatto identitario e separatista. Tra poche settimane gli europei saranno chiamati ad eleggere il nuovo Parlamento continentale, ma il vento euroscettico soffia più forte che mai. Anche se con accenti profondamente diversi.

"Chiedo a tutte le forze euroscettiche d'Europa di allearsi in difesa degli Stati nazione, del ritorno della democrazia, della sovranità dei popoli e delle identità nazionali". Questo il grido di battaglia di Marine Le Pen, a commento della sua vittoria elettorale in Francia.

Ma altrove le idendità proclamate non sono quelle nazionali, bensì regionali o persino microregionali. Ne è un esempio il Veneto, appena reduce dall'esito di un referendum/sondaggio che – pur basandosi su criteri di affidabilità piuttosto dubbi – ha anche manifestato un chiaro messaggio. Ed è stato addirittura il presidente della Regione, Luca Zaia, ad apporvi un timbro quasi ufficiale, definendolo “un ottimo segnale, un segnale di insofferenza, di un sentimento indipendentista che è ubiquitario e attraversa tutte le classi sociali dei veneti”.

Un'opinione condivisa anche dal sociologo Ilvo Diamanti, il quale sulle pagine de La Repubblica si richiama ad un sondaggio effettuato dal suo istituto Demos, tenutosi nei giorni 20 e 21 marzo. Pur ridimensionando la partecipazione al referendum, così Diamanti, i dati evidenziati da questo sondaggio indicherebbero che quasi metà degli elettori veneti ha rivelato la volontà ad esprimersi sulla questione. E i favorevoli all'indipendenza si assestano su una quota di poco inferiore all'80 per cento. Pur con importanti sfumature interne, di fatto coincidenti con posizioni autonomiste e non apertamente secessioniste.

 

Bisogna, dunque, prendere sul serio il segnale che proviene dal referendum. Al di là delle misure — ipotetiche — della partecipazione e del consenso dichiarate dagli organizzatori, la rivendicazione autonomista appare fondata e largamente maggioritaria. Al tempo stesso, bisogna interpretarne correttamente il significato. In-dipendenza significa, infatti, “non dipendenza”. E, dunque, autonomia. Autogoverno. Non necessariamente “secessione”. Ne danno conferma le opinioni circa il modo migliore “per sostenere gli interessi del Veneto”. La “piena indipendenza del Veneto”, infatti, è sostenuta da una quota ampia, ma non superiore al 30%. Meno di quanti riterrebbero più utile “eleggere parlamentari migliori” (dunque, capaci di esercitare maggiore pressione “su Roma”). Mentre appaiono ampie anche le componenti “federaliste”. È significativo come, fra gli stessi sostenitori dell’indipendenza veneta al referendum, quanti vedono nell’indipendenza “piena” la via maestra per affermare gli interessi regionali siano una maggioranza larga. Ma non assoluta: il 45%.

 

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