Stella McCartney
Foto: OurFashionTrends
Society | Finferli e nuvole

Altro che Schlappen!

Sono a Londra e leggo che Stella McCartney non lava i vestiti. È una filosofia nuova, stare così con la coscienza pulita. Altro che le Schlappen di Foppa in consiglio!

Sono in un pub di Londra e mi capita tra le mani il Guardian. L’articolo senza dubbio più interessante è l’intervista a Stella McCartney, la figlia, vegana e stilista, dell’immenso Beatle Paul. Ha preso una decisione storica: non lava i vestiti. Non è una fan del lavaggio a secco, dice, “o di qualsiasi altro tipo di lavaggio in generale”.

Accipicchia, queste sì che sono affermazioni potenti! Entro in internet e, casomai avessi frainteso qualche espressione inglese, consulto il sito in rete del Corriere della Sera. La notizia è riportata in grande evidenza. Ho capito bene. A spingere la figlia di sir Paul a tale drastico atteggiamento è la paura dei solventi chimici e l’intenzione di preservare l’ambiente.

“Non cambio il reggiseno tutti i giorni o metto le cose in lavatrice solo perché le ho indossate. Per quanto riguarda un abito su misura, la regola generale è che non deve essere lavato né toccato, ma si lascia seccare lo sporco e poi lo si spazzola via. Fondamentalmente, il concetto base è che se non devi lavare qualcosa per forza, non lavarla”.

Se non devo non lavo: fantastico! È una filosofia che io in parte già abbraccio ma che qui assume dimensioni assai più radicali. Si aprono scenari completamente nuovi: presentarsi in società con addosso una maglietta giunta ormai al quarto giorno. E con la coscienza pulita. Altro che le Schlappen di Foppa in Consiglio! Qui siamo molto più in là. Qui siamo exit, out, oltre. Don’t mind the tanf! Il tanfo non importa! Il decoro, qui, se ne frega anche del naso. In confronto, le ciabatte forse fruste e magari infradito presentate dalla Verde all’occhio del presidente Noggler sono un capo di abbigliamento innocuo.

Stella McCartney, quindi, non cambia il reggiseno tutti i giorni. Che si possa magari far lo stesso con le mutande? Lavandole di tanto in tanto con acqua fredda e senza sapone? Mi pongo la domanda mentre esco dal pub pervaso da un senso di improvviso buonumore. E i calzetti? Be’, oggi non li porto. Indosso dei sandali abbastanza vissuti che nell’insolito caldo di Londra fanno egregiamente il loro servizio. Mi riprometto, una volta a casa, di rispolverare anche dei terrificanti Birkenstock sfasciati per i quali fino a ieri provavo vergogna.

Mi dirigo verso Regent Park e, quando sono davanti al serpentone di turisti che vuole visitare Madame Tussauds, avverto la t-shirt infradiciarsi sempre più sotto il peso dello zaino. Ma che importa? Io voglio e posso sudare! E anche i sandali, umidicci e sabbiosi dopo almeno cinque chilometri di marcia svelta, assolvono egregiamente alla loro funzione. Non penso nemmeno lontanamente a fermarmi per rimuoverne i sassolini con le salviette umide che tengo nello zaino. Attenderò che il sudicio si secchi e lo asporterò con uno spazzolino o, nell’ipotesi di concrezioni particolarmente arcigne, con uno scalpellino da scultore tipo Selva Valgardena.

Ho ormai raggiunto il parco. Un parco enorme, con prati dedicati al gioco del cricket, stagni, laghetti con barche a remi, sezione botanica e faunistica. E qui rimango stupefatto. Se si fa eccezione all’area dove svolazzano libere anatre e cigni, nel resto del parco non ci sono cartelli che impongono il guinzaglio ai cani. E infatti li vedo correre liberi con i padroni accanto, felici gli uni e anche gli altri. Se penso alla neoisteria cinofoba che regna dalle nostre parti (e sulla quale mi piacerebbe tornare in uno dei prossimi articoli così come sui celeberrimi ed efficientissimi bus rossi a due piani), il fatto, nell’Inghilterra maestra di civiltà, mi sembra significativo.

Si sta facendo sera, sono stanco e decido di tornare a casa. Un appartamento Airbnb senza infamia e senza lode ma in ottima posizione. Mi sfilo i sandali che già iniziano ad emanare un fetorino nient’affatto trascurabile. Mi sento sempre più confermato nella mia nuova fede ambientalista. Raggiungo il bagno. La doccia mi fissa. I rubinetti di acqua calda e fredda separati, il nichel del tubo mezzo scrostato. Decido di ignorarla. Torno in stanza e mi butto sul letto con i vestiti che ho addosso e che domani presteranno ancora un ottimo servizio per le strade di Londra.