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Vita da arbitro

Il bolzanino Andrea Pozzato dirige da vent'anni le più importanti sfide della Serie A. Qui racconta il rapporto con i giocatori, che differenza c'è tra partite maschili e femminili, e come mai nel calcio c'è meno rispetto per i "fischietti".
andrea pozzato
Foto: A. P.
  • Domenica sera, la finale di Supercoppa Italiana di pallavolo tra Perugia e Trento è stata la gara numero 445 arbitrata da quando è in serie A. Nella sua carriera si contano anche due finali scudetto maschili, quattro femminili, oltre ad una di coppa Italia donne. Andrea Pozzato, 51enne bolzanino, è alla sua ventunesima stagione in serie A.

    SALTO: A che età ha iniziato a fare l’arbitro?

    Andrea Pozzato: Ho iniziato a 16 anni che, allora, era l’età minima, ora invece è scesa a 14. Successivamente ho svolto tutto il percorso: prima in ambito provinciale, dopo in quello regionale, e poi in C, in B e, nel 2004, in serie A. Arrivarci è stata dura perché più sali di livello e più "l’imbuto" si stringe.

    Nella pallavolo esiste il "doppio arbitro": che differenza c’è tra l'essere il primo e il secondo direttore di gara? Quale dei due ruoli è il più difficile ?

    Sono due ruoli alla pari. Il nostro designatore mette in atto una turnazione durante la stagione, il che, grosso modo, significa che ogni arbitro dirigerà lo stesso numero di gare da primo e da secondo. I due giudici vanno incontro a difficoltà diverse: il primo arbitro deve gestire la gara, e quindi è responsabile di tutto, il secondo ha più a che fare con le panchine, il riscaldamento, la rete. Nonostante si dica che il secondo sia un po’ meno importante, a me, per assurdo, piace molto di più.

     

    “Quando giocavo a pallavolo volevo capire perché prendessi tanti cartellini. Allora, considerato che anche mio padre è stato un arbitro, ho fatto il corso”

     

    È più difficile arbitrare gli uomini o le donne?

    Secondo me si tratta di due sport diversi. Nel maschile si punta a tirare il più forte possibile: è un gioco molto veloce e fisico. Invece le donne giocano una pallavolo molto più spettacolare, la palla tocca il pavimento meno facilmente, l’azione dura di più e, dunque, in questo caso ci sono maggiori difficoltà ad arbitrare, perché ci possono essere più infrazioni.

    Il mese scorso lei ha compiuto 51 anni. Quanto può andare avanti in termini di regolamento?

    A 55 anni, almeno in Serie A, dovrò smettere. Non sono un arbitro internazionale: loro invece possono proseguire fino a 60 anni.

    Cosa le è mancato per diventare arbitro internazionale?

    Un pizzico di fortuna, forse. Quando era il mio momento non c’erano posti per l’Italia e quando si sono liberati non avevo più l’età per accedervi.

    Prima di fare l’arbitro ha giocato a pallavolo?

    Ho giocato nelle giovanili e poi in serie D. Io in campo ero piuttosto indisciplinato e rimediavo tante volte il cartellino. Ho sempre voluto capire il perché e, allora, considerato che anche mio padre è stato un arbitro, ho fatto il corso.

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  • Quali sono i sacrifici a cui è sottoposto un arbitro di serie A, sia riguardo la sfera familiare che lavorativa?

    A livello familiare, i weekend sono di fatto sacrificati da fine settembre a maggio. Per quanto riguarda il lavoro, una parte delle ferie viene riservata alla pallavolo: ad esempio il lunedì, quando torno da trasferte lontane, oppure in caso di turni infrasettimanali.

    Perché, secondo lei, i pallavolisti rispettano l'arbitro più di quanto facciano i colleghi calciatori?

    In generale l’arbitro della pallavolo è un po’ più distante dai giocatori, quindi in questo senso è un po’ più facile. Poi dipende sempre dalle direttive che vengono date: nella pallavolo, per protese e insulti si tira fuori subito il cartellino, nel calcio si lascia correre un po’ di più perché i giocatori si sfogano con il contatto fisico, che da noi manca.

    Che rapporto c’è con i giocatori fuori dal campo?

    Con molti di loro, ma anche con gli allenatori, si instaura un rapporto di amicizia molto più facilmente con gli uomini che con le donne.

    In vent’anni di carriera avrà tanti aneddoti da raccontare...

    Se uno volesse, si potrebbe scrivere un libro. Però ci sono tante cose che non si possono raccontare.
    Mi ricordo la mia prima partita al sud: vado ad Isernia, parcheggio la macchina e mi trovo circondato dai celerini. Mi chiesero subito se fossi l’arbitro e, di conseguenza, mi dissero: "La accompagniamo noi!". Poi non è successo nulla, però non ero certo abituato a questo clima.