Culture | storia

Dalla liberazione alla ricostruzione

I primi tre anni del dopoguerra: un periodo molto studiato sui versanti diplomatico e politico-istituzionale, ma ancora inesplorato per gli aspetti sociali, economici e culturali della ricostruzione.

Il progetto è stato avviato alcuni anni fa dal Circolo culturale dell’ANPI di Bolzano e ha coinvolto una quindicina studiosi locali di lingua italiana e tedesca. “Un dato quest’ultimo che ci pare giusto sottolineare, in considerazione dell’importanza che, soprattutto in Alto Adige, la storia rimanga terreno di ricerca e di confronto comune”. Lo storico Giorgio Mezzalira è uno dei curatori della ricerca. “Da più di dieci anni il Circolo ha avviato un lavoro di raccolta, ricerca e documentazione storica sul periodo della guerra di liberazione in regione. Per dare respiro e diffusione a questo lavoro è nata nel 1999 anche la collana dei Quaderni della memoria, che fino ad oggi ha ospitato memorie di partigiani altoatesini, sudtirolesi e trentini, diari inediti sul Durchganslager di Bolzano e ancora memorie di Internati Militari Italiani altoatesini”.

È nell’ambito di questo impegno rivolto in particolare alla conoscenza e all’approfondimento di questioni relative alla storia contemporanea locale che matura l’idea di spingersi a considerare il triennio 1945-1948, ovvero gli anni della cosiddetta ricostruzione. “Si tratta di un periodo localmente molto studiato sui versanti diplomatico e politico-istituzionale, basti pensare allo spazio che hanno avuto temi quali l’Accordo Degasperi-Gruber e il primo statuto di autonomia. Poco si conoscono, invece, di quel periodo gli aspetti sociali, economici, culturali, nonché come sia stata affrontata sul territorio l’emergenza della ricostruzione. Senza avere l’ambizione di arrivare a ricomporre l’intero quadro storico di quel periodo – spiega Mezzalira – si è pensato di avviare una ricerca che, affrontando diverse tematiche e spingendosi dalla storia alla cronaca, potesse almeno offrire una cornice di riferimento”.

Il volume che ne è uscito, edito da Raetia, s’intitola Dalla liberazione alla ricostruzione. Alto Adige/Südtirol 1945–1948 ed è curato, oltre che dallo stesso Mezzalira, da Fabrizio Miori, Giovanni Perez e Carlo Romeo. Viene presentato sabato 26 ottobre (alle 16.30) al centro Trevi di Bolzano, nell’ambito di Spazio lib(e)ro, piccola fiera dell’editoria locale.

Giorgio Mezzalira, il libro contiene notizie inedite?

Più che di notizie, parlerei di capitoli storici inediti. È motivo di sicuro interesse storiografico il fatto che nello studio sia possibile leggere e interpretare le importanti vicende dei primi anni della ricostruzione dalla prospettiva privilegiata e comparata delle più importanti realtà cittadine della provincia (Bolzano, Merano, Brunico e Bressanone). Si tratta, in questo caso, del primo lavoro pubblicato che crediamo possa aiutare una migliore ricezione della storia.

A quali fonti si è potuto attingere?

I fondi conservati negli archivi comunali e presso l’archivio del Commissariato del governo si sono rivelati molto ricchi di documenti, in gran parte inediti, sul periodo in questione. Per fare un esempio, il volume contiene un contributo di Fabrizio Miori sulle relazioni della Prefettura e della Questura per l’intero periodo che va dal maggio 1945 all’aprile 1948.

Dai vari approcci emergono alcuni elementi comuni, riferibili al periodo 1945-1948?

La risposta alle emergenze dell’immediato dopoguerra e le esigenze di un rapido ritorno alla “normalità” nel quadro della rinascita democratica delle istituzioni e della società, sono sicuramente i tratti comuni e di contesto del periodo. La difficoltà di fare fino in fondo i conti con i passati regimi costituisce un altro elemento peculiare, da interpretarsi nel caso della nostra particolare realtà anche come esigenza di superare presto le divisioni e di iniziare a costruire il futuro.

Ci sono questioni nate in quel periodo, che condizionano a tutt’oggi la vita di chi abita in Alto Adige?

Nel dopoguerra la nostra provincia rinasceva come territorio in cui le tre comunità – quella tedesca, quella ladina e quella italiana – erano chiamate a costruire rapporti di convivenza che poggiavano sulle basi di una nuova vita democratica. Era l’unica strada maestra possibile per guardare avanti e non essere condannati a rivivere tragedie e travagli degli anni dei regimi. Trovare modalità e strumenti, oltre alle norme, per crescere insieme e alimentare una cultura dello scambio e dell’incontro restano di fatto una delle eredità che a tutt’oggi ci impegnano.